Strage sul lavoro senza fine
Già nel primo trimestre di quest'anno 196 vittime
Istituire il reato di omicidio sul lavoro

 
I dati forniti dall'Inail relativi alle morti sul lavoro nel primo trimestre di quest'anno in Italia sono davvero allarmanti, perché da gennaio a marzo si sono registrati ufficialmente 196 decessi, con un aumento del 3,7% rispetto al 2022.
Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail nel primo trimestre del 2023 sono state 7 in più rispetto alle 189 registrate nel primo trimestre del 2022, 11 in più rispetto al primo trimestre del 2021 e 30 in più rispetto al primo trimestre del 2020.
Se si pensa che lo scorso anno in Italia ci sono stati mediamente tre morti sul lavoro al giorno – i decessi registrati dall'Inail in tutto il 2022 sono stati 1.090, ossia 4,7 ogni 100mila occupati – è evidente che la sconfortante cifra di questo primo trimestre fa temere che alla fine di quest'anno tale sconfortante media sia destinata ad alzarsi.
L’aumento ha riguardato solo i settori di l’industria e servizi (si è passati da 160 denunce di infortunio mortale nel primo trimestre dello scorso anno a 168 denunce nell'analogo periodo di quest'anno), mentre la pubblica amministrazione è passata da 9 infortuni mortali a 8 e l'agricoltura è rimasta stabile con 20 decessi.
Nel nordovest dell'Italia si è passati da 49 casi dell'anno scorso a 60 di quest'anno, nel centro da 45 a 48, nelle isole da 15 a 16, mentre c'è stato un calo al Sud che passa da 39 morti dello scorso anno a 31 di quest'anno una stabilità nel nordest con 41 decessi in entrambi i periodi.
Tra le regioni con i maggiori incrementi ci sono il Piemonte (9%), l’Umbria (6%), la Liguria e il Friuli Venezia Giulia (3% ciascuna), mentre sono calati in Puglia (6%), in Toscana (5%), in Molise e nella Provincia autonoma di Bolzano (3% ciascuna).
Tali dati devono tener presente la strettissima correlazione che c'è tra il fenomeno del precariato e le morti sul lavoro, come messo bene in risalto nel Rapporto Eures-Uil sugli infortuni sul lavoro, recentemente pubblicato a cura dell'istituto di ricerca Eures in collaborazione con la Uil.
Il rapporto giunge alla conclusione che il rischio di decesso a causa del lavoro è tre volte più alto per un lavoratore precario rispetto a quello di un lavoratore con contratto stabile, con il rischio di infortunio mortale tra i lavoratori a termine che si attesta a 10,2 decessi ogni 100mila occupati contro 3,3 tra i dipendenti a tempo indeterminato.
Ciò dipende indubbiamente dal maggiore controllo sul rispetto delle norme che riguardano il lavoro (comprese, ovviamente, quelle sulla sicurezza) tra le imprese che scelgono l'assunzione a tempo indeterminato piuttosto che tra quelle che ricorrono in modo massiccio e sistematico al precariato e a rapporti a tempo determinato, se non addirittura a lavoro nero.
Lo studio mette in evidenza poi che i lavoratori più anziani sono molto più esposti alla mortalità a causa del lavoro, con una incidenza di 20,3 decessi per 100mila occupati tra coloro che hanno più di 65 anni e di 10,7 per la fascia tra i 55 e i 64 anni, e che i lavoratori immigrati hanno un indice di rischio significativamente più elevato rispetto agli italiani, tanto che per ogni 100mila lavoratori immigrati si sono verificati 9,3 eventi letali contro i 5,9 degli occupati che sono cittadini italiani.
Insomma, chi è più debole per ragioni anagrafiche, come i lavoratori più anziani, o è contrattualmente debole come gli immigrati si espone a maggiori rischi in quanto le imprese tendono a sfruttare al massimo il lavoratore infischiandosene dei rischi che corre.
L'intera popolazione paga costi elevatissimi – a cominciare dalle famiglie delle vittime del lavoratore deceduto – per la piaga delle stragi sui posti di lavoro mentre le aziende che risparmiano non investendo sulla sicurezza lucrano sicuramente ampi profitti.
Per questo motivo le norme attualmente in vigore in tema di sicurezza sul lavoro devono essere non solo adeguatamente applicate con un sistema regolare e pianificato di controlli e repressione della violazione della normativa di sicurezza ma vanno ulteriormente rafforzate con l'introduzione del reato specifico, nel nostro ordinamento giuridico, di omicidio sul lavoro, oggetto nella scorsa legislatura di una proposta di legge in sede parlamentare che poi è decaduta con lo scioglimento delle Camere.
Noi marxisti-leninisti ci battiamo perché sia immediatamente introdotto il reato specifico di omicidio sul lavoro, il quale deve sanzionare con pene rilevanti quei datori di lavoro che, per risparmiare sulla sicurezza, provocano con tali gravissime omissioni la morte dei propri dipendenti.
Analogamente deve essere introdotto anche il reato di lesioni gravi sul lavoro per sanzionare severamente i datori di lavoro che, per risparmiare sulla sicurezza, determinano menomazioni gravi alla salute dei propri dipendenti: la formale richiesta dell'introduzione dei due reati in questione fu fatta il 6 dicembre 2022 a Catania dal compagno Sesto Schembri a nome del PMLI durante la manifestazione di commemorazione della strage della Thyssen Krupp – presenti numerose forze politiche progressiste oltre a rappresentanti di sindacati e associazioni – come ha dato conto “Il Bolscevico” n. 46 del 22 dicembre 2022.
E invece fino ad oggi i datori di lavoro, in caso di incidenti mortali che provochino la morte dei loro dipendenti, se la sono sempre cavata con le pene irrisorie previste per omicidio colposo.

10 maggio 2023