Mentre il taglio del cuneo fiscale si rivela un'elemosina di pochi euro
Il “decreto lavoro” taglia il Rdc e aumenta precarietà, voucher e disuguaglianze
Un “decreto lavoro” contro i lavoratori e i disoccupati. Si potrebbero sintetizzare in queste poche parole le misure che il governo neofascista della Meloni ha annunciato il primo maggio. Una scelta simbolica per sottolineare come per il governo la Giornata internazionale dei lavoratori è una data come un altra anzi, sfidando provocatoriamente i sindacati con una retorica da Ventennio fascista, sceglie questo giorno per varare un decreto che, a leggere i comunicati del Consiglio dei ministri, servirà a “introdurre nuove misure nazionali di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale... rafforzare l’azione di Governo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro... introdurre norme di regolazione della materia dei contratti e dei rapporti di lavoro, per favorire l’accesso al mondo del lavoro”.
“Il governo fa solo propaganda”, ha risposto il segretario della Cgil Maurizio Landini, anche se poi non agisce di conseguenza e assieme ai leader di Cisl e Uil continua a rimandare lo sciopero generale. Di sicuro questo governo di propaganda ne ha profusa a volontà, a partire dal video della Presidente del Consiglio in modalità Istituto Luce del periodo mussoliniano dove si blatera del “più grande taglio delle tasse sul lavoro” mai fatto, evitando conferenze stampa e qualsiasi confronto con i giornalisti. Vergognoso anche il comportamento di una Rai sempre più asservita ai partiti di destra, con servizi faziosi e tabelle presentate in maniera truffaldina che avallavano la propaganda governativa, e gli stessi giornali, che nei loro articoli titolavano di fantomatici “100 euro in busta paga” messi dal governo Meloni che invece, come vedremo, non ci saranno in nessun caso.
La principale misura di cui si è parlato tanto è appunto il cosiddetto taglio del cuneo fiscale. Un provvedimento sostenuto convintamente da Confindustria e padronato che in questa maniera non dovranno versare nemmeno un euro per aumenti salariali che, seppur miseri, andranno invece a carico della collettività. Sta bene anche a Cgil-Cisl-Uil, che difatti criticano la Meloni per la provvisorietà e scarsità di risorse messe a disposizione, ma lo strumento del cuneo fiscale “va nella direzione delle richieste sindacali”. Il governo invece la presenta come una misura concreta per combattere l'erosione dei salari subita dall'inflazione.
Si tratta di una disposizione costosa per le casse pubbliche ma che nelle buste paghe si concretizzerà in pochi spiccioli. Oltretutto i 4 miliardi necessari al taglio del cuneo fiscale vengono utilizzati per giustificare il mancato adeguamento delle pensioni e dei contratti del pubblico impegno che difatti nel “decreto lavoro” e nel Def (la vecchia Finanziaria) non sono neppure nominati. In ogni caso diventa necessario prestare attenzione e capire da dove arriva l’incremento globale degli stipendi, che rappresenta l’unione dei due tagli previsti sulle tasse sul lavoro. Difatti, questi importi sono già comprensivi del primo aumento derivante dal taglio del cuneo fiscale introdotto dall’esecutivo Draghi e poi prorogato a tutto il 2023 dalla manovra di bilancio del governo Meloni.
Insomma, lo sgravio fiscale che viene sbandierato con il decreto lavoro anzitutto vale soltanto per i sei mesi che vanno da luglio a dicembre 2023, la tredicesima ne è esclusa. L’importo aggiuntivo di cui parla Meloni va letto in questa ottica. Secondo un’analisi pubblicata nei giorni scorsi dal quotidiano il Sole 24 Ore, con le ultime novità l’incremento complessivo massimo sarà pari a 96 euro al mese per i lavoratori con una retribuzione fino a 25.000 euro e 99 euro al mese per i lavoratori con una retribuzione fino a 35.000 euro. Bisogna però considerare il passaggio di scaglione di reddito per cui, ad esempio, chi scavalcherà la soglia dei 28mila euro avanzerà anche di una aliquota irpef (dal 25 al 35%) che si mangerà gran parte dell'aumento.
Da sottolineare come tutti i provvedimenti di alleggerimento fiscale escludono e penalizzano i redditi leggermente al di sopra dei 35mila euro lordi annui, creando un vero e proprio “scalone” che colpisce chi guadagna poco più di 2mila euro netti, stipendio non proprio da nababbo, specialmente se è l'unico ad entrare in famiglia. In altre parole il taglio del cuneo fiscale del Decreto Lavoro garantirà un beneficio, nuovo e aggiuntivo rispetto al precedente, compreso tra un minimo di 15 e un massimo di 50 euro mensili a seconda del reddito. Questa cifra servirà a combattere seriamente l'aumento dei prezzi come dice il governo? Ovviamente no, è solo un elemosina. Basti pensare che l'inflazione annua è stimata all'8,3% ma per il carrello della spesa siamo attorno al 13%.
Un'altra misura del decreto lavoro è l'eliminazione del Reddito di cittadinanza a partire dal primo gennaio 2024. Al suo posto sarà introdotto l'assegno di inclusione che consiste in una integrazione al reddito in favore dei nuclei familiari che comprendano una persona con disabilità, un minorenne o un ultra-sessantenne e che siano in possesso di determinati requisiti. Il beneficio mensile, di importo non inferiore a 480 euro sarà erogato dall’INPS per un periodo massimo di 18 mesi continuativi, con la possibilità di un rinnovo per ulteriori 12 mesi. Per coloro che hanno una età compresa tra i 18 e i 59 anni e non rientrano tra le categorie “fragili” (i cosiddetti occupabili) è prevista la decadenza dal beneficio nel caso di rifiuto di una offerta di lavoro a tempo pieno o parziale che sia a tempo indeterminato, su tutto il territorio nazionale oppure a tempo determinato, anche in somministrazione, se il luogo di lavoro non dista oltre 80 km dal domicilio.
Per i soggetti che non hanno i requisiti per l'assegno d'inclusione, ma che si trovano in povertà assoluta, sarà istituito il Contributo di accompagnamento al lavoro di 350 euro per un massimo di dodici mensilità. In cambio saranno obbligati a sostenere il percorso di inserimento lavorativo, anche attraverso la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, (tra cui anche il servizio civile universale). Gli interessati devono sottoscrivere una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e un patto di servizio personalizzato. In sostanza si tratta regole più stringenti, sanzioni più severe e assegni più bassi che restringono la platea dei beneficiari quando le persone in difficoltà sono in costante aumento, tanto che un italiano su 10 si trova in povertà assoluta.
Altro capitolo riguarda l'aumento del lavoro precario. In arrivo meno vincoli sulle causali per i contratti a termine tra i 12 e i 24 mesi: sono affidate ai contratti collettivi o, in assenza della previsione contrattuale, individuate dalle parti per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva. Per un ulteriore anno non vi sarà più bisogno di causali specifiche per i contratti in somministrazione. Vengono allargate anche le soglie delle cosiddette prestazioni di lavoro occasionale - i famigerati voucher - da 10mila a 15mila euro per chi opera nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e parchi di divertimento. Una misura per aggirare contratti nazionali stagionali che pure esistono ed offrono maggiori tutele dei voucher.
Ci sono anche altre misure che però non incidono nella sostanza, oppure creano nuove disuguaglianze, come nel caso dell'estensione fino a 3mila euro dei fringe benefit (i beni e i servizi aggiuntivi complementari alla retribuzione erogati delle aziende). Uno strumento utilizzabile a discrezione, che esclude lavoratrici e lavoratori delle piccole e medie imprese e dove non c'è contrattazione di secondo livello. Misure da cui in buona parte traggono benefici anche le aziende, che non vi pagano tasse, così come ricevono esenzioni fiscali nelle assunzioni di apprendisti, di chi riceve l'assegno d'inclusione e il contributo di accompagnamento al lavoro. Mentre il tanto decantato rafforzamento delle regole di sicurezza sul lavoro si esaurisce in qualche vaga promessa di maggiori controlli e nell'istituzione di un “Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative”. Ovvero si continuerà a mettere a rischio i giovani nell'alternanza scuola/ lavoro ma si darà qualche spicciolo ai genitori in caso d'infortunio.
Queste sarebbero le “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, nome completo del decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale il 4 maggio. Pochi spiccioli spacciati come misure per combattere l'aumento dei prezzi e delle tariffe, aumento del lavoro precario con l'ulteriore deregolamentazione dell'utilizzo dei contratti a termine e dei voucher, taglio del Reddito di cittadinanza, monetizzazione di eventuali infortuni per gli studenti durante il percorso di alternanza scuola/lavoro.
Qui serve tutt'altro. Per combattere il caro vita la strada della riduzione del cuneo fiscale non è efficace, promuove i tagli alla spesa pubblica e serve soltanto a mantenere bassi i salari, che invece assieme alle pensioni devono aumentare in maniera sostanziosa e immediata, così come si rende necessaria la reintroduzione della scala mobile o comunque di un meccanismo automatico di rivalutazione. In quanto all'accesso al mondo del lavoro non si favorisce certo aumentando la precarietà, una delle principali cause che hanno portato al lavoro povero e sottopagato e a maggiori infortuni. Inoltre servirebbero tariffe bloccate per le famiglie a reddito medio basso e stretto controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, affitti a canone calmierato, sostegno economico a tutti coloro che rimangono senza lavoro.
Queste sono le misure immediate che servono ai lavoratori e alle masse popolari. Cosa aspettano Cgil-Cisl-Uil a mobilitarsi e a organizzarsi, a indire lo sciopero generale e a incalzare il governo neofascista Meloni affinché sia costretto a mettere in campo misure concrete ed efficaci, e non spot propagandistici?
17 maggio 2023