Lo certifica il Rapporto civico sulla salute 2023
La sanità pubblica è allo sfascio
Tre mesi per un intervento di tumore, due anni per una mammografia, liste di attesa infinite,103 Pronto soccorso tagliati

 
L'organizzazione Cittadinanzattiva, presente nel nostro Paese dal 1978, ha presentato giovedì 11 maggio scorso, presso il Ministero della Salute, il Rapporto Civico di Cittadinanzattiva sulla Salute 2023.
Il rapporto fornisce una fotografia della sanità vista con gli occhi dei cittadini attraverso due analisi: una realizzata a partire dalle segnalazioni giunte, nel corso del 2022, al servizio PiT Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i Diritti del Malato (per un totale di 14.272 segnalazioni) l’altra finalizzata ad analizzare il federalismo sanitario con l’intento di coglierne la complessità, l’articolazione organizzativa, la capacità di amministrare e fornire risposte in termini di servizi e assistenza sanitaria.
Il Rapporto è stato diffuso all’interno di una giornata più generale dal titolo “Urgenza sanità”, un primo momento pubblico della mobilitazione permanente promossa da Cittadinanzattiva a difesa del Servizio Sanitario Nazionale.
Dopo la presentazione del Rapporto dalle ore 14 gli attivisti dell’organizzazione provenienti da numerose regioni sono scesi in piazza davanti al Ministero per manifestare le urgenze sanitarie dei loro territori.
“I dati presentati in questo Rapporto e le storie che le persone raccontano ai nostri attivisti sul territorio, ci mettono nella urgenza di proclamare come cittadini lo stato di emergenza sanitaria e una mobilitazione permanente a difesa del nostro SSN, come annunciamo nel nostro Manifesto e nella petizione su Change”, ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva.
“Per superare l’Urgenza Sanità chiediamo che siano riaffermate cinque condizioni, cinque chiavi di accesso alla casa comune del Servizio Sanitario Nazionale: l’aggiornamento periodico e il monitoraggio costante dei Livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti ed esigibili su tutto il territorio nazionale; l’eliminazione delle liste di attesa, attraverso un investimento sulle risorse umane e tecniche, una migliore programmazione e trasparenza dei vari canali, un impegno concreto delle Regioni per i Piani locali di governo delle liste di attesa; il riconoscimento e l’attuazione del diritto alla sanità digitale per ridurre la burocrazia, comunicare meglio con i professionisti e accedere a prestazioni a distanza; la garanzia di percorsi di cura e di assistenza dei malati cronici e rari e, in particolare, delle persone non autosufficienti, finanziando la nuova legge per gli anziani non autosufficienti e riprendendo l’iter normativo per il riconoscimento dei caregiver; l’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR, con il coinvolgimento delle comunità locali e dei professionisti del territorio”.
Nel Rapporto accanto ai mai risolti problemi generali legati alle liste di attesa e all'accesso alle prestazioni (che raccolgono quasi una segnalazione su tre, 29.6%), i cittadini denunciano carenze in tutti e tre gli ambiti dell’assistenza sanitaria:quella ospedaliera (15,8%), territoriale (14,8%) e l’area della prevenzione (15,2%). Al quinto posto la sicurezza delle cure (8,5%).Seguono poi le segnalazioni su accesso alle informazioni e documentazioni (4,5%), assistenza previdenziale (2,8%), umanizzazione e relazione con operatori sanitari (2,6%), spesa privata e ticket elevati (1,7%) e assistenza protesica e integrativa (1,4%).
Il Rapporto evidenzia come a crescere, rispetto al 2021, sono soprattutto le problematiche che riguardano l’accesso alle prestazioni (+5.8%) e quelle legate all’assistenza in ospedale (+4,4%).
Il problema delle tristemente note "liste di attesa" si aggrava ulteriormente nell'ambito della sanità pubblica,cosa prodotta dallo smantellamento del SSN e dal tentativo di favorire lo spostamento dell'utenza nel privato per ridurre o azzerare del tutto i tempi di attesa,per chi può permettersi di pagare le prestazioni presso il privato ovviamente cosa non per tutte le tasche, tant'è vero che è anche grazie a questo fenomeno che aumenta ancora il fenomeno della rinuncia alle cure e all'odioso "turismo sanitario" specie dal Sud verso il Nord.
Ecco alcuni esempi presenti nel Rapporto: "Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’utero, che andava effettuato entro un mese,due mesi per una visita specialistica ginecologica urgente da fissare entro 72 ore, due mesi per una visita di controllo cardiologica da effettuare entro 10 giorni. Sono alcuni esempi di tempi di attesa segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità, difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate.
Tempi di attesa per prime visite specialistiche: per le visite che hanno una Classe B-breve (da svolgersi entro 10 giorni) i cittadini che ci hanno contattato hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica. Senza codice di priorità, si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica.
Tempi di attesa per visite specialistiche di controllo: Una visita specialistica ginecologica con priorità U (urgente, da effettuare entro 72 ore) è stata fissata dopo 60 giorni dalla richiesta. Per una visita di controllo cardiologica, endocrinologica, fisiatrica con priorità B (da fissare entro 10 giorni) i cittadini di giorni ne hanno aspettati 60. Per una visita ortopedica, sempre con classe d’urgenza B ci sono voluti addirittura 90 giorni. Una visita endocrinologica senza classe di priorità è stata fissata dopo 455 giorni, dopo 360 giorni una visita neurologica.
Tempi di attesa per prestazioni diagnostiche: ci sono stati segnalati 150 giorni per una mammografia, con classe di categoria B breve (da svolgersi entro 10 giorni), e 730 giorni sempre per una mammografia ma con classe di categoria P (programmabile), 365 giorni per una gastroscopia con biopsia in caso di classe non determinata.
Tempi di attesa per interventi chirurgici: per un intervento per tumore dell’utero che doveva essere effettuato entro 30 giorni (Classe A), la paziente ha atteso 90 giorni, 3 volte tanto rispetto ai tempi previsti. Per un intervento di protesi d’anca, da effettuarsi entro 60 giorni (classe di priorità B), c’è stata un’attesa di 120 giorni, il doppio rispetto al tempo massimo previsto.
La quasi totalità delle Regioni non ha recuperato le prestazioni in ritardo a causa della pandemia, e non tutte hanno utilizzato il fondo di 500 milioni stanziati nel 2022 per il recupero delle liste d’attesa. Non è stato utilizzato circa il 33%, per un totale di 165 milioni. I dati raccontano che il Molise ha investito solo l'1,7% di quanto aveva a disposizione, circa 2,5 milioni. Male anche la Sardegna (26%), la Sicilia (28%), la Calabria e la Provincia di Bolzano (29%).
Dalle indagini Istat si rileva nel 2022 una riduzione della quota di persone che ha effettuato visite specialistiche (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) o accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32,0%) – nel Mezzogiorno quest’ultima riduzione raggiunge i 5 punti percentuali. Rispetto al 2019 aumenta la quota di chi dichiara di aver pagato interamente a sue spese sia visite specialistiche (dal 37% al 41,8% nel 2022) che accertamenti diagnostici (dal 23% al 27,6% nel 2022).
Il ricorso a prestazioni sanitarie avvalendosi di copertura assicurativa sanitaria risulta più diffuso nel Lazio (nel 2022 il 10,8% delle persone dichiara di averne fatto ricorso in caso di visite specialistiche), in Lombardia (9,7%), nella Provincia autonoma di Bolzano (9,1%) e in Piemonte (8,1%); si attesta intorno al 5% in Liguria, Emilia Romagna e Toscana, mentre nelle regioni del Mezzogiorno copre in media solo l’1,3% per le visite specialistiche."
Gravissimi e in aumento i problemi legati al Pronto Soccorso, sempre secondo il Rapporto: "Negli ultimi 10 anni facciamo i conti con un riduzione costante e cospicua delle strutture di emergenza, si conta una riduzione sul territorio nazionale di 61 dipartimenti di emergenza, 103 pronto soccorso, 10 pronto soccorso pediatrici e 35 centri di rianimazione; per quanto riguarda le strutture mobili negli ultimi 10 anni abbiamo avuto una riduzione di 480 ambulanze di tipo B, un incremento di sole 4 ambulanze di tipo A (ma nel 2019 il decremento rispetto al 2010 era di 34 unità), un decremento di 19 ambulanze pediatriche e di 85 unità mobili di rianimazione.
A livello regionale vi sono delle realtà con delle percentuali sicuramente più esigue e sotto la media sia per la presenza di DEA sia di pronto soccorso; è l’esempio di Basilicata (22,2% di DEA e PS), Calabria (43,5% di DEA e 69,6% di PS), Molise (20% DEA e 60% PS).
Anche rispetto alla tempestività dell'arrivo dei mezzi di soccorso, la situazione è peggiorata significativamente e in modo preoccupante; è il caso della Calabria in cui il mezzo di soccorso arriva mediamente in 27 minuti, Basilicata 29 minuti e Sardegna 30 minuti, quando la media nazionale è di circa 20 minuti."
Non vanno bene le cose, secondo le segnalazioni degli utenti raccolte nel Rapporto, neanche dal punto di vista della prevenzione e dei Livelli essenziali di assistenza (LEA):
"Sono sei le regioni (erano tre nel 2019) che non raggiungono la sufficienza rispetto ai criteri LEA per la prevenzione: in particolare a Sicilia, PA di Bolzano e Calabria, che mostrano i dati più bassi, si aggiungono nel 2020 Liguria, Abruzzo, Basilicata.
Vaccini:Aumentano le coperture per morbillo, varicella, meningococco ecc., ma diminuiscono nella stagione 2021-22 quelle per il vaccino antinfluenzale soprattutto negli anziani, la cui copertura scende di ben 7 punti percentuali rispetto alla stagione precedente (58,1%). In particolare sono la P.A di Bolzano e Trento, la Valle d’Aosta, e la Sardegna ad avere i dati di copertura più bassi. Le migliori risultano la Basilicata (68,5) e l’Umbria (68,8%). Chi mostra i dati peggiori è la P.A di Bolzano (36,1%) e Sardegna (41,2%).
La copertura vaccinale nazionale per HPV nelle ragazze nella coorte più giovane (2009), che compiono 12 anni nell’anno di rilevazione, è al 32,22%, nessuna Regione o PA raggiunge il 95%; idem per la copertura nazionale nei ragazzi nati nel 2009 che è appena al 26,75%.
Screening oncologici: calano nel 2020 gli inviti per gli screening organizzati: -29% per quello mammografico, -24% per quello colorettale e per il cervicale. La riduzione negli inviti si registra soprattutto al Nord mentre in generale è al Sud che le percentuali di adesione agli stessi restano le più basse: per lo screening mammografico fanalino di coda sono Calabria (9% di adesione) e Campania (21%); per il colorettale Calabria (2%) e Puglia (5%); per lo screening per il tumore alla cervice Campania (13%) e Calabria (31%)."
Il Rapporto si sofferma poi sui gravi problemi legati al personale sanitario, raccontando di un'indagine su 10mila professionisti che hanno partecipato alla prima indagine condotta da Cittadinanzattiva, in collaborazione con FNOPI e FNO TSRM e PSTRP, con l’obiettivo di sondare le motivazioni dei professionisti a restare o lasciare il SSN.
"Oltre il 46% afferma di essere soddisfatto del proprio percorso professionale, ma non altrettanto del proprio ambiente di lavoro che stimola poco o niente la realizzazione personale (per il 42,6%) e la crescita professionale (48,5%)
Oltre il 40% dichiara di avere carichi di lavoro insostenibili e uno su tre non riesce affatto a bilanciare i tempi lavorativi con quelli della vita privata. Il 31,6% denuncia di essere stato vittima, negli ultimi tre anni, di aggressione (verbale o fisica) da parte degli utenti, il 20,7% da parte di un proprio superiore e il 18,4% da parte di colleghi. E l’assenza nel posto di lavoro di un punto di ascolto psicologico è lamentata in particolare dal 65,9% degli intervistati.
Nonostante queste difficoltà, i professionisti sanitari credono fermamente nel valore del SSN e nella salute come bene pubblico: la maggioranza si sente orgogliosa di contribuire personalmente a dare risposta ai bisogni sociali e sanitari del cittadino (66,9%) e quindi di poter contribuire al benessere della comunità (71,6%). Soprattutto, la maggioranza (83,5%) crede che ogni persona debba avere diritto alle cure di cui ha bisogno indipendentemente dalla gravità delle patologie o dal costo delle cure. Ciò detto, gli interpellati si dividono a metà tra chi sente di essere parte di un sistema che garantisce cure sanitarie a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro condizione economica e sociale (46,9%) e chi non ci crede (53,1%), e praticamente solo uno su due si sente parte di un'organizzazione che tutela l'interesse pubblico (52,1%) e l'equità sociale (47,9%).
Il Rapporto pone l'accento poi su assistenza domiciliare, consultori, servizi di salute mentale.
"Assistenza domiciliare integrata. Ad oggi in Italia meno di 3 anziani over 65 su 100 è inserito in percorsi di ADI, con una forbice tra le diverse aree del paese che va da meno dell’1% in Molise, Valle d’Aosta e Provincia aut. di Bolzano, al quasi 5% (in Abruzzo). Dati decisamente più bassi rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, mentre in controtendenza in Italia si mantiene stabile o in crescita il numero di posti letto in residenze sanitarie assistenziali. Combinando i servizi resi in ADI e le cure residenziali, si evince come diverse Regioni italiane riescano ad offrire assistenza a più di un anziano su 6.
Particolarmente difficoltosa la fase di attivazione dell’assistenza domiciliare, come denuncia quasi il 34% dei cittadini che si rivolge a Cittadinanzattiva. Il 21% ritiene insufficiente il numero di giorni/ ore di assistenza erogati insufficienti, il 17% inadeguata la gestione del dolore (17,4%), l’8% carente l’assistenza psicologica.
Consultori familiari. Istituiti nel 1975, l’attuale Decreto di riforma dell’assistenza territoriale ne prospetta un rilancio prevedendone 1 ogni 20.000 abitanti con possibilità di 1 ogni 10.000 nelle aree interne e rurali. La situazione attuale è molto diversificata nei territori. In Italia ci sono 2.227 consultori attivi a fronte di uno standard minimo di 2.949: rispetto alla popolazione, il rapporto medio è di 1 ogni 35 mila residenti, nel 2008 era 1/28.000, nel 1993 era di 1/20.000. Dunque numeri in costante decrescita per un servizio centrale per la prevenzione e la promozione della salute, soprattutto per le giovani generazioni e per le donne. Solo in 5 Regioni e una Provincia autonoma - Valle D’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Basilicata e PA di Bolzano - il numero medio di residenti è compreso entro i 25.000, mentre in 6 Regioni ed una Prov. Aut.– Lombardia, Veneto, FVG, Lazio, Molise, Campania e PA di Trento - il numero medio è superiore a 40.000 residenti per consultorio, che quindi copre un bacino di utenza più che doppio rispetto a quanto previsto dal legislatore.
Anche a livello di composizione delle equipe che vi lavorano, il quadro è assai variegato: la disponibilità della figura del ginecologo varia da 5,4 (PA Bolzano) a 22,4 ore a settimana (Emilia-Romagna) mentre quella dell’ostetrica da 12,4 (Liguria) a 80 ore (PA Trento). Le ore settimanali dello psicologo variano da 1,9 (Piemonte) a 31,2 (Lombardia) mentre quelle dell’assistente sociale da 0 (Valle d’Aosta) a 29,8 (Basilicata).
Diversificato anche il numero di ore e i giorni in cui i servizi restano aperti: le medie più basse, 22-26 ore a settimana, si registrano per le strutture di Piemonte, Toscana, Umbria, Marche e Basilicata, mentre quelle più elevate, 35-37 ore settimanali, si registrano in Lombardia, PA di Trento, Molise e Calabria. Complessivamente il 10,2% è aperto di sabato, era il 14% nel 2008. In Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Campania questa modalità è del tutto assente ed è poco diffusa in Piemonte, Veneto, Lazio, Sicilia e Sardegna. La quasi totalità dei consultori del Nord, Centro e Sud, svolge attività nell’ambito della salute della donna; le attività nell’area adolescenti/giovani e nell’area coppia/ famiglia e adozioni sono riportate con percentuali più basse soprattutto nelle strutture del Centro mentre in più dell’80% del Sud si effettua attività in tutte e tre le aree.
Salute Mentale. Su cento segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva in tema di assistenza territoriale, il 27,8% di esse fa esplicito riferimento alla salute mentale, in forte aumento rispetto al dato del 2021 pari al 12,8%. Le segnalazioni delineano uno scenario di crescente deficit strutturale dei servizi di salute mentale: l’assenza o quanto meno la palese carenza di intervento del servizio pubblico fa sì che la gestione se non proprio la cura del paziente psichiatrico sia demandata in moltissimi casi interamente alla famiglia. Le segnalazioni più frequenti nell'ambito della salute mentale raccontano le grandi difficoltà che gravano sui pazienti e sule loro famiglie, se non proprio la disperazione per la gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (lo denuncia quasi il 28%), la carenza di figure sanitarie sul territorio (17%), la scarsa qualità dell’assistenza (14,4%), la mancanza o carenza di strutture e centri pubblici (10,8) lo strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (9%), gli effetti delle cure farmacologiche (8,1%), la difficoltà di accesso alle cure pubbliche (4,5%)."
Il Rapporto si conclude annunciando che è stato avviato un monitoraggio sul tema dell’assistenza territoriale a partire dalla mappatura a livello regionale degli interventi previsti dal PNRR.
Invitiamo i nostri lettori a leggere l'intero Rapporto, di oltre 600 pagine, direttamente online.
Senz'altro il lavoro di Cittadinanzattiva è importante, ricco di spunti e dati difficilmente contestabili che mostrano lo stato comatoso del SSN. Quello che non ci convince del Rapporto è che viene data per scontata in qualche modo l'esistenza stessa del federalismo sanitario, che per noi marxisti-leninisti è semplicemente da abolire e non costituisce, come sembrerebbe dall'esposizione, una semplice forma organizzativa del SSN, ma una delle cause dello sfascio della Sanità pubblica nel nostro Paese, funzionale agli interessi delle fameliche e filomafiose borghesie regionali(spesso e volentieri in odore di "santità"), interessate solo al profitto, sulle spalle dei pazienti che la sanità privata non possono permettersela e sulle spalle del personale sanitario, spesso e volentieri ricattato, precario e iperflessibile.
Il federalismo sanitario costituisce dunque gran parte del problema della sanità italiana, va affossato senza indugio perché è una delle concause fondamentali della negazione del diritto alla salute alle masse popolari, lo smantellamento del SSN anche in chiave federalista oltre che privatizzatrice rappresenta uno dei crimini più gravi compiuto dai politicanti borghesi di destra e di "sinistra" al servizio delle seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista e della Ue imperialista, questo mostro economico, politico, militare e istituzionale, vero inferno per le masse popolari europee e paradiso solo per un pugno di pescecani capitalisti e per i loro servi, la quale è irriformabile va distrutta, cominciando a tirarne fuori il nostro Paese.
Ogni forma di federalismo neofascista o di "autonomia differenziata" come viene chiamato oggi per riverniciarlo agli occhi delle masse, che lo hanno bocciato e continuano a farlo ad ogni competizione elettorale attraverso l'astensionsmo, specie sul piano sanitario, non va dimenticato che è stato appunto una è stato una delle concause principali delle terribili condizioni delle masse popolari durante la Pandemia in ogni parte del Paese.
Non abbiamo certo dimenticato i morti e lo spettacolo terribile che la fine del SSN hanno posto sotto gli occhi del mondo intero, con tanto di indagini che appoggiamo fino in fondo riguardanti responsabilità politiche ben precise sulla pandemia in generale, la sua gestione fino ad arrivare ai casi concreti sul territorio, a cominciare dal numero spropositato di morti nelle Rsa lombarde e non solo.
Più in generale occorre comprendere che è la legge fondamentale del capitalismo monopolistico ossia la legge del massimo profitto, la vera causa che ha portato alla distruzione del SSN (specie al Sud), la quale non potrà mai garantire il diritto alla salute del popolo italiano e dei migranti, tanto in termini di cura, come di prevenzione, diagnosi, assistenza e riabilitazione, sia sul piano fisico che psichico.
Basti pensare che la pandemia stessa è frutto dei cambiamenti climatici prodotti dal capitalismo.
Da questo punto di vista per noi marxisti-leninisti la questione di fondo è quella di comprendere che occorre lottare per migliorare le condizioni di salute delle masse, per la Sanità pubblica, gratuita, senza ticket, cogestita dai pazienti e dai lavoratori del settore, ma va fatto nel quadro imprescindibile della lotta contro il capitalismo e il suo regime neofascista e per il socialismo, bisogna quindi andare alla causa delle infinite "delizie" prodotte dal capitalismo stesso per liquidarle e distruggerle per sempre.
Continuiamo quindi con forza nella politica di Fronte unito in tutto il Paese per migliorare le condizioni della Sanità in Italia in base alla nostra piattaforma, contenuta nel "Nuovo Programma d'azione del PMLI", che prevede per i Servizi sanitari e socio-sanitari le seguenti rivendicazioni:
197) Diritto alla salute gratuito e universale per tutti.
198) Abrogare la controriforma sanitaria Bindi, legge n. 229 del 19 giugno 1999.
199) Sanità pubblica, universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari, che disponga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e sia finanziata tramite la fiscalità generale.
200) I finanziamenti destinati alla sanità pubblica devono costituire una cospicua percentuale del Prodotto interno lordo (Pil) e confluire in un apposito fondo nazionale gestito dalle masse popolari attraverso gli strumenti della democrazia diretta.
201) Abolire il "sanitometro", tutti i ticket sanitari e i contributi di malattia che gravano sul lavoro dipendente.
202) Nuovi parametri di distribuzione dei finanziamenti sanitari che tengano presente dell'ammontare dei residenti, lo stato e la capillarità delle strutture pubbliche presenti nelle varie zone del Paese, le necessità di prevenzione e le condizioni ambientali, le esigenze socio-sanitarie degli anziani, degli immigrati, dei disabili, dei portatori di handicap, dei tossicodipendenti, dei "malati di mente", privilegiando in ogni caso le regioni più povere e depresse e le periferie delle città.
203) Trasformare tutte le strutture private, accreditate e non, comprese le farmacie, in strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale (Ssn).
204) Nazionalizzare le industrie farmaceutiche.
205) Trasformare i farmacisti in operatori della sanità pubblica.
206) Revisione del prontuario farmaceutico del Ssn per abolire i farmaci doppioni, equivalenti ma di costo più elevato.
207) Abolire la libera professione dei medici ospedalieri esercitata dentro e fuori le strutture sanitarie pubbliche.
208) Assunzione a tempo indeterminato di un numero sufficiente di infermieri, medici, fisioterapisti ed operatori sociosanitari per coprire e potenziare gli organici di tutte le strutture sanitarie del Paese. Prevedere corsi di aggiornamento periodici e obbligatori per tutti, in orario di lavoro.
209) Realizzare un numero sufficiente di distretti sanitari, consultori e centri socio-sanitari, di ambulatori pubblici polispecialisti, di servizi di guardia e di continuità assistenziale, di servizi capillari di assistenza domiciliare per gli anziani e i disabili non autosufficienti, di presidi medico-preventivi sul territorio e nei luoghi di lavoro e studio.
210) Chiudere tutti gli ospedali psichiatrici e tutte le "istituzioni chiuse" per anziani, disabili, "minori a rischio", tossicodipendenti, handicappati fisici e mentali e loro trasformazione in consultori, centri sociali e strutture sanitarie autogestite.
211) Potenziare un servizio di emergenza territoriale che, tramite centrali operative e collegamenti informatici, coordini le disponibilità di posti letto delle strutture pubbliche e lo smistamento dei pazienti "urgenti". In tutte le isole minori e nelle zone scarsamente collegate alla rete di trasporto va istituito un servizio di Pronto Soccorso di alto livello e un servizio pubblico efficiente di eliambulanze.
212) Sviluppare la ricerca medica e biomedica, sganciata dal controllo della industria farmaceutica, adeguatamente sostenuta da finanziamenti statali e finalizzata a debellare malattie gravi come il cancro e malattie infettive come l'Aids e malattie rare, a sviluppare le tecniche del trapianto e a salvaguardare in generale la salute del popolo.
213) Depenalizzare la pratica dell'eutanasia. Lo stato deve garantire il diritto alla "morte assistita" nelle strutture sanitarie pubbliche quando questa sia chiesta spontaneamente e per iscritto, in modo lucido e ponderato, dai pazienti affetti da accertate malattie incurabili e in fase terminale, allo scopo di mettere fine a inutili e prolungate sofferenze causate dal cosiddetto "accanimento terapeutico".
214) Realizzare una capillare rete di strutture pubbliche di medicina preventiva che indaghi, individui e denunci pubblicamente le sostanze nocive o cancerogene presenti negli alimenti, nelle bevande, nei prodotti destinati a rientrare nella catena alimentare umana e animale (coloranti, polifosfati, estrogeni, anabolizzanti, ecc..).
215) Sottrarre al mercato privato la ricerca e le scoperte scientifiche in campo biomedico, vietandone la commercializzazione e la brevettabilità e impegnandovi adeguate risorse e strutture pubbliche e assicurando l'accesso gratuito per tutti alle cure che ne derivano.
216) Favorire la ricerca, le scoperte e la sperimentazione scientifiche concernenti l'uso delle cellule staminali e la clonazione di embrioni umani per scopi terapeutici contro le malattie degenerative.
217) Obbligo per le autorità competenti sanitarie e giudiziarie di intervenire per eliminare totalmente la presenza di sostanze nocive e/o cancerogene in tutte le fasi del ciclo di produzione e del consumo e per punire le sofisticazioni.
Tutto questo va però appunto inquadrato nella lotta più generale contro il capitalismo e per il socialismo,da questo punto di vista la priorità è certamente quella di buttare giù da sinistra e dalla Piazza il governo neofascista Meloni prima che possa fare ulteriori danni al nostro martoriato popolo.

24 maggio 2023