Il decreto alluvione è insufficiente
Bonaccini soddisfatto, pappa e ciccia con la Meloni sperando di essere nominato commissario straordinario
Al compimento della seconda settimana dalla drammatica alluvione del 16-17 maggio che ha devastato l'Emilia-Romagna la situazione è ancora molto difficile nelle province colpite di Bologna, Cesena-Forlì, Rimini e Ravenna, dove si piangono 14 morti e si contano circa 23.600 sfollati, e molte zone sono ancora coperte dall'acqua che nel frattempo si va facendo putrida con l'aumento del pericolo sanitario, mentre nei paesi e nelle città che si vanno sgombrando dal fango si accumulano ai bordi delle strade tonnellate di masserizie rovinate dall'acqua e da buttare: qualcosa come 100 mila tonnellate da smaltire, equivalenti ai rifiuti prodotti in 10 mesi in tutti i territori colpiti. Non meno grave che in pianura, soprattutto a medio-lungo termine, è la situazione nelle zone collinari e montane, dove si contano un migliaio di frane di cui 305 attive, oltre 600 strade ancora chiuse e decine e decine di paesi e frazioni isolate o di difficile raggiungimento, mentre i collegamenti ferroviari tra Faenza, Rimini e Ravenna sono bloccati con tempi di ripristino ancora da definire.
Ed è appena iniziata la conta dei danni che comunque si stimano non inferiori a 6-7 miliardi, ma che potrebbero arrivare anche a 10. A parte le risorse necessarie a far fronte all'emergenza immediata, si parla di 620 milioni solo per il ripristino di strade e ferrovie; ma occorre affrontare anche il problema dell'industria, dell'allevamento e dell'agricoltura (vigneti, frutteti, serre) che sono in ginocchio e che vanno aiutate a risollevarsi il più in fretta possibile, così come c'è da provvedere alle decine di migliaia di abitanti che hanno perso tutto e alle infrastrutture civili, acqua, luce, gas, da ripristinare al più presto.
Gli attacchi del governo a giovani e ambientalisti
Con tutto ciò, malgrado non ci possa essere alcun dubbio sensato che questo immane disastro sia un risultato del riscaldamento globale che amplifica i fenomeni meteorologici estremi, oltreché della devastazione ambientale, della cementificazione e dall'assenza di prevenzione, da parte del governo neofascista si continua con la politica negazionista per non intralciare la sete di profitto capitalista e si getta anzi la colpa sugli ambientalisti e sui giovani ribelli di Friday for Future e Ultima Generazione, che ostacolerebbero le opere infrastrutturali di difesa del territorio. Il ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin, per esempio, che si era scagliato subito contro gli ambientalisti “che vivono nei loft” e che bloccherebbero le opere, in un'intervista al Corriere della Sera
del 19 se l'è presa coi “comitati che bloccano tutto” e con le perdite di tempo “per monitoraggi e costituzioni di commissioni e valutazioni”, concludendo che “fondamentale per questo governo è avere il coraggio delle proprie azioni e decidere. A costo di subire critiche di abuso di decisionismo”. Il fascista La Russa ha invitato addirittura i giovani di Ultima Generazione, sotto processo per la manifestazione con imbrattamento della facciata del Senato, ad andare a spalare fango in Romagna in cambio del ritiro della costituzione di parte civile. Ricevendo per tutta risposta un comunicato del movimento ecologista in cui si legge: “Signor La Russa, lei è l'ultima persona a poter dire cosa sia giusto o meno fare, lei che è stato uno dei capi della manifestazione violenta neofascista che provocò la morte di un poliziotto di 22 anni al Giovedì nero”, con riferimento all'uccisione dell'agente Antonio Marino il 12 aprile 1973 nel corso di una manifestazione dei neofascisti a Milano.
Bonaccini e Meloni si reggono l'un l'altra il sacco
Il 21 maggio, con un ritardo di diversi giorni perché ha preferito non rinunciare a partecipare al G7 in Giappone, la premier neofascista Meloni si è decisa a visitare le zone alluvionate, ma lo ha fatto sbarcando a sorpresa all'aeroporto di Rimini e senza comunicare l'itinerario, così da evitare giornalisti con domande scomode e possibili gruppi di contestatori con la scusa di non voler fare “passerelle”, ma facendosi riprendere dai suoi operatori in ben studiati incontri con baci e abbracci con alcuni alluvionati e perfino un siparietto fintamente improvvisato con alcuni suoi sostenitori: continuando insomma a rinverdire i film Luce di mussoliniana memoria come aveva già fatto con il video del Cdm del 1° maggio. Nell'occasione si è incontrata anche col presidente della Regione Bonaccini, e tra i due è scoccato un vero e proprio idillio, con abbracci e complimenti reciproci e le solite banalità di circostanza, come “la tragedia può essere occasione per rinascere”, “l'Italia tira fuori il meglio in queste situazioni” e così via.
Per Bonaccini l'appoggio della presidente del Consiglio è prezioso, come scudo alle accuse per le sue evidenti responsabilità nelle dimensioni della catastrofe, dovuta solo fino a un certo punto all'eccezionalità delle precipitazioni ma anche alle carenze nella prevenzione e al lassismo della Regione da lui governata già da molti anni verso la cementificazione del territorio, una delle più alte d'Italia che sfiora quasi il 10% proprio nelle province più colpite dall'alluvione. Per questo motivo è attaccato giustamente dai gruppi ambientalisti e dovrebbe dimettersi, insieme a Elly Schlein che ha condiviso con lui la sua politica ambientale fallimentare. Lui si arrampica sugli specchi per dimostrare che queste accuse sono solo “bufale” e che la tragedia è dovuta esclusivamente al fatto che “in 36 ore è caduta la stessa pioggia di sei mesi”.
E anche la Meloni sostiene la stessa tesi, perché non vuole certo dare fiato alle accuse degli ambientalisti, che ovviamente riguardano anche le politiche di scempio e di saccheggio del territorio nelle Regioni governate dalla destra. E poi gli fa comodo accattivarsi la popolazione di una regione storicamente di sinistra, sicché ostenta comprensione e spirito di collaborazione verso Bonaccini, ma non fino al punto di sbilanciarsi a sostenere la sua candidatura a commissario straordinario per la ricostruzione, come chiedeva il governatore, rimandando per ora ogni decisione a quando sarà quantificato l'ammontare dei danni.
Anche perché, mentre sono gli stessi governatori della destra, come Zaia, Toti, Fontana e Fedriga a caldeggiare la nomina di Bonaccini, perché “si è sempre fatto così”, sono invece contrarissimi sia Salvini che ampi settori di FdI, che non vogliono lasciar gestire una così ingente massa di miliardi per la ricostruzione ad un avversario politico, specie in previsione delle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna tra un anno e mezzo. In particolare Salvini vorrebbe nominare il commissario leghista alla siccità Nicola Dell'Acqua, mentre in FdI si è fatto avanti il viceministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami (quello pizzicato a una festa in divisa da nazista), che è di Bologna e che, guarda caso, si è fatto fotografare con gli stivali nell'acqua a portare soccorsi il primo giorno dell'alluvione.
Il decreto alluvione e le manovre per il commissario
Il balletto tra Meloni e Bonaccini è proseguito anche subito dopo il Consiglio dei ministri del 23 che ha approvato il decreto alluvione, con uno stanziamento di 2 miliardi per far fronte alle prime necessità. Davanti alle telecamere la premier ha annunciato lo stop al pagamento di tasse, contributi previdenziali, mutui, bollette, multe e il rinvio dei processi amministrativi fino al 31 agosto, con ripresa dei pagamenti dal 20 novembre. Ha parlato poi di 580 milioni stanziati per la cassa integrazione in deroga per tutti i lavoratori dipendenti per i prossimi tre mesi, e di 300 milioni per un bonus da da 3 mila euro da erogare ai lavoratori autonomi. 20 milioni destinati ad assicurare la continuità didattica a distanza per gli studenti delle scuole chiuse, e altri 3,5 milioni per un fondo di solidarietà per i docenti delle facoltà. Per le imprese esportatrici ci sarebbe il sostegno della Simest (la società pubblica della Cdp per la promozione del made in Italy) fino a un massimo di 300 milioni. Altri 400 milioni serviranno alla concessione di tassi agevolati a fondo perduto e 100 milioni andrebbero al Fondo di garanzia per le Pmi. Per l'agricoltura ha parlato di 175 milioni, di cui 100 per il risarcimento dei danni e altri 75 dal Fondo per l'innovazione in agricoltura per l'acquisto di nuovi macchinari e attrezzature. E ha promesso infine altri interventi minori come 10 milioni per il turismo, 5 per lo sport e 8 per il ripristino delle strutture sanitarie danneggiate.
Bonaccini era arrivato a Palazzo Chigi con una delegazione di 18 rappresentanti di sindacati, associazioni imprenditoriali e banche, per ostentare che la regione è con lui e che egli sarebbe il candidato naturale a commissario per la ricostruzione. Nell'incontro trasmesso solo a mezzo video senza conferenza stampa in cui lei ha illustrato le misure del decreto, la premier si è vantata per i due miliardi trovati dal governo, “che in passato non so se si erano mai visti”, e ha assicurato il governatore del PD che “il confronto rimarrà costante anche nella fase della ricostruzione. Continueremo a lavorare insieme”.
Bonaccini l'ha ringraziata “per la velocità e lo sforzo”, dichiarandosi soddisfatto perché “abbiamo ottenuto parecchio di quanto chiedevamo per questa prima fase dell’emergenza”, e visto il clima idilliaco ha tentato un'avance richiamando il modello della ricostruzione del post terremoto da 12 miliardi di danni di cui fu l'ultimo commissario, “un modo di lavorare che abbiamo già sperimentato”, riproponendo implicitamente con ciò la sua candidatura e l'ammontare della cifra da gestire. Anche se poi si è schermito dicendo che “l'importante non è il nome del commissario ma un modo di lavorare”.
Ma su questo Meloni si è guardata bene dal pronunciarsi. Anzi, dopo la sua seconda visita alle zone alluvionate compiuta insieme alla presidente della Commissione europea Von Der Leyen, sull'argomento ha mostrato insofferenza e le quotazioni di Bonaccini sono decisamente calate. La premier sembra adesso orientata a nominare una figura “tecnica”, come potrebbe essere il generale Figliuolo o il capo della Protezione civile Curcio o un altro di sua fiducia, che risponda direttamente a lei in modo da gestire in prima persona le ingenti risorse necessarie alla ricostruzione. Così risulta infatti dalla bozza di “decreto ricostruzioni” in 25 articoli a valere per tutti i casi di calamità che il governo sta preparando, dove si parla di un commissario straordinario nominato su proposta del presidente del Consiglio da individuare “tra soggetti dotati di professionalità specifica e competenza manageriale”, tale insomma da assicurare il pieno controllo politico di Palazzo Chigi.
Un decreto fantasma e la furbata sui rigassificatori
Intanto il decreto alluvione, ancorché insufficiente a far fronte anche solo alle necessità più urgenti, non è stato ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e le popolazioni colpite non hanno visto arrivare un centesimo. Tra l'altro non si sa nemmeno come questi fantomatici 2 miliardi siano stati reperiti, visto che non sono conteggiati come scostamento di bilancio. Si sa solo che Meloni ha chiesto ai suoi ministri di “raschiare il fondo del barile”, ma non è dato sapere da quali capitoli della spesa pubblica siano stati “raschiati”. Giacché non è credibile che possano bastare un euro di aumento dei biglietti dei musei, le estrazioni straordinarie di lotto ed enalotto, l'emissione di un francobollo e la vendita delle auto sequestrate a coprire il costo del decreto. E tanto meno si capisce come il governo neofascista potrà trovare gli altri miliardi necessari alla ricostruzione, visto che non intende rinunciare ai condoni, alla flat tax e all'autonomia differenziata, né mettere patrimoniali sulle grandi ricchezze. Se non appunto tagliando ancora la spesa pubblica, cioè sanità, scuola, assistenza e servizi sociali.
In compenso il governo ha sfruttato il decreto per infilarci un provvedimento che non c'entra nulla con l'alluvione ma che gli torna molto utile per bypassare le proteste degli ambientalisti e imporre alla popolazione la sua virata energetica verso le fonti fossili e i rigassificatori. Come recita infatti il comunicato di Palazzo Chigi, col provvedimento “si semplifica la disciplina in materia di realizzazione di nuova capacità di rigassificazione nazionale e si qualificano come opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, quelle a ciò finalizzate mediante unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione”. Col che si spaccia come intervento urgente per la Romagna alluvionata il rigassificatore che la Snam è stata autorizzata - senza alcuna valutazione di impatto ambientale dal commissario straordinario ai rigassificatori Bonaccini (per l'appunto, ndr) - a piazzare al largo di Ravenna, e per il futuro altri rigassificatori in tutta Italia come quello già imposto con la forza a Piombino.
31 maggio 2023