ll ministro della giustizia Nordio: “L'obiettivo sarà la Costituzione”
“Riforma” della giustizia alla Berlusconi
Abolito l'abuso d'ufficio. Bavaglio alle intercettazioni. Assoluzioni inappellabili. Cancellato il “millantato credito”
Il Segretario generale dell'ANM Casciaro: “Nordio vuole ridisegnare il ruolo delle toghe”
Il 15 giugno, trascorsi appena quattro giorni dalla morte di Berlusconi, il Consiglio dei ministri ha approvato la “riforma” della giustizia presentata dal ministro Nordio che assomiglia tanto ad una vendetta postuma del cavaliere piduista sugli odiati magistrati. Tante e tali sono infatti le misure ispirate direttamente, se non addirittura copiate, dai tentativi legislativi di Berlusconi e dei suoi avvocati fatti eleggere parlamentari e nominati ministri per conculcare l'indipendenza della magistratura assoggettandola al governo e imbavagliare l'informazione che non era ancora finita al suo libro paga.
Non a caso il Guardasigilli Nordio ha dedicato la sua controriforma “nel nome di Berlusconi” e come “un tributo per la sua battaglia”, appositamente anticipata rispetto all'agenda governativa per cogliere al balzo l'emozione popolare suscitata ad arte dal circo mediatico a reti e giornali unificati organizzato in onore del defunto pregiudicato. Nel ricordare costui anche la neofascista Meloni ha detto che “il governo deve proseguire sulla strada tracciata da Berlusconi”. Alla fine della riunione il Cdm gli ha pure tributato un lungo applauso. Nella successiva conferenza stampa per illustrare i provvedimenti approvati, il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani ha poi sottolineato commosso che “voleva la giustizia giusta e sarebbe contento di vedere la riforma che abbiamo approvato oggi”. Idem il ministro della Giustizia, che ha espresso il suo “rammarico che Berlusconi non abbia potuto assistere” al lieto evento. E ha promesso, quasi rivolgendosi idealmente al compianto delinquente di Arcore, che “la riforma è un primo passo. Puntiamo a cambiare la Costituzione sulla separazione della carriere. Questo ddl deve essere approvato prima possibile e auspichiamo una convergenza dell'opposizione che non sia emotiva”. Intanto Renzi e Calenda si sono subito messi a disposizione per votarla, dal momento che essa rispecchia in toto le loro posizioni “garantiste”.
L'abolizione dell'abuso d'ufficio legalizza il favoritismo
Che cosa prevede infatti la controriforma di Nordio? Il pacchetto è piuttosto corposo, e comprende ben cinque provvedimenti, tutti destinati ad incidere pesantemente sull'indipendenza dei magistrati, la lotta alla corruzione e la libertà di informazione. Il primo è l'abolizione dell'abuso d'ufficio
(art. 323 del codice penale), che fino ad oggi puniva i pubblici ufficiali e amministratori che violano la legge per procurare a sé stessi, parenti o amici, un ingiusto vantaggio; ovvero un ingiusto danno ad altri soggetti considerati “nemici”. É un tipico reato da colletti bianchi e da corruzione politica. La sua abolizione è stata applaudita con entusiasmo dai sindaci (e in prima fila da quelli del PD, in contraddizione con la linea ufficiale del partito), che da tempo ne chiedevano la “riforma” accampando l'effetto paralisi provocato dalla “paura della firma”.
Ma l'averlo abolito del tutto, anziché tipizzarlo meglio e per casi specifici, in combinazione con il nuovo codice degli appalti “liberalizzato”, rende di fatto perfettamente legale che un amministratore pubblico assegni appalti fino a 150 mila euro ad un parente o ad un amico. E ciò è di una gravità estrema, specie pensando alla valanga di soldi da assegnare con il PNRR. Rispondendo alla domanda di una giornalista ad un convegno a Taormina, Nordio si è pure vantato di essersi guadagnato il plauso di Renzi e Calenda e il consenso degli amministratori del PD, tra cui Ricci, Nardella, Emiliano, Gori ecc.: “Per il risultato che abbiamo raggiunto, anche di far innervosire le opposizioni che si sono divise, mi darei un dieci”, ha detto compiaciuto.
Sterilizzato il reato di traffico di influenze
Il secondo provvedimento riguarda le modifiche al reato di traffico di influenze illecite
(Art. 346 bis c.p.), che non è stato cancellato come l'abuso d'ufficio, ma l'intervento è talmente radicale dall'averlo praticamente fatto evaporare, al punto dall'essere quasi impossibile da dimostrare. Infatti si tratta del reato che commette chi, sfruttando le relazioni con un pubblico ufficiale, si fa dare o promettere, a sé o ad altri, da parte di un corruttore, denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita (reale o millantata che sia) verso un pubblico ufficiale corruttibile. Ma siccome la nuova legge stabilisce che il traffico è ritenuto illecito solo quando è finalizzato a “far commettere un reato”, che tipicamente sarebbe l'abuso d'ufficio, il gioco è fatto: il traffico di influenze illecite non sussiste più per estinzione del reato collegato.
Nonostante ciò, per ridurre al massimo il rischio che qualche faccendiere e politico corruttore o corrotto possa cadere ugualmente nelle maglie della giustizia, dalle relazioni dei faccendieri sono state escluse quelle millantate (vantate ma non reali), e sono stati esclusi anche i vantaggi non economici, come ad esempio le prestazioni sessuali (la cosiddetta “norma salva escort”). “Anche i venditori di fumo vanno perseguiti, perché alimentano nella gente l'idea che le funzioni pubbliche siano in vendita, scoraggiando oltretutto le vittime a denunciare”, ha detto a proposito dell'esclusione del millantato credito Antonio Balsamo, magistrato di Cassazione con una lunga esperienza in incarichi internazionali, anche in ambito Onu. E a proposito dell'argomentazione di Nordio che il reato di abuso d'ufficio esisterebbe solo in Italia, ciò che la rende un'anomalia, Balsamo ha osservato che “25 Paesi europei su 25 prevedono un reato di questo tipo. Piuttosto, l'Italia diventerebbe un'anomalia abrogandolo”.
Con questa norma, in combinata con l'abolizione dell'abuso d'ufficio, salterebbero per esempio inchieste come quelle sull'acquisto di mascherine in cui è imputato l'ex commissario straordinario Domenico Arcuri e il traffico di influenze contestato dalla procura di Firenze all'ex presidente della fondazione renziana Open, Alberto Bianchi, e a Luca Lotti; non sarebbe stato condannato l'ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per uno dei filoni dell'inchiesta “Mondo di mezzo”, e l'ex pm Luca Palamara non avrebbe neanche avuto bisogno di patteggiare la condanna ad un anno per il filone principale dell'inchiesta di Perugia sui suoi rapporti con l'imprenditore Centofanti, e così via.
Un'altra pesante stretta al diritto di informazione
La terza misura interviene sulla pubblicazione delle intercettazioni. Da una parte c'è il divieto di pubblicare intercettazioni
, anche se non coperte da segreto istruttorio, ad eccezione di quelle riportate da un giudice nelle motivazioni di un provvedimento o utilizzate all'interno di un processo. Dall'altra non potranno essere trascritte in alcun modo le conversazioni di soggetti terzi non indagati, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini. “Questa tutela finirà col valere solo per i processi con indagati eccellenti. In quelli nei confronti di spacciatori, terroristi e criminali di strada nessuno porrà concretamente la questione”, ha dichiarato l'ex magistrato di Magistratura democratica e attuale direttore della rivista “Questione giustizia”, Nello Rossi.
Finora in teoria si potevano pubblicare tutte le intercettazioni non secretate e depositate agli atti, anche se con la “riforma” Orlando già veniva operata una filtraggio molto stringente e con quella Cartabia l'accessibilità agli atti è stata ulteriormente limitata, tanto che negli ultimi anni le pubblicazioni contestate erano quasi cessate. Ma adesso la stretta è molto più drastica. “Cala il silenzio su quasi tutto, ostacolando il diritto dei cittadini di essere informati su eventi di rilevante interesse pubblico”, ha protestato l'Ordine dei giornalisti, che in tema di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni ha sottolineato che “l'unico criterio di riferimento deve essere il diritto dei cittadini a essere pienamente informati, come ha ribadito in più sentenze anche la Corte europea dei diritti umani”.
Solo per fare qualche esempio tra i più recenti, con questa norma non avremmo saputo nulla delle intercettazioni tra i poliziotti della Questura di Verona accusati di torture, nonché le immagini tratte dalle registrazioni video dei pestaggi; le conversazioni dei deputati e assistenti del Parlamento europeo coinvolti nel Qatargate; i progetti criminali dei nuovi boss mafiosi palermitani; le telefonate di Marcello Dell'Utri intercettate nell'ambito dell'inchiesta sulla stragi mafiose del 1993; le riunioni notturne tra politici e magistrati emerse dall'inchiesta su Luca Palamara.
Un altro salvagente a colletti bianchi e politici corrotti
Il quarto provvedimento ripropone la cosiddetta “legge Pecorella”, dal nome di un famigerato avvocato di Berluconi, legge che però fu bocciata dalla Corte costituzionale, e che vieta al pm di ricorre in appello contro una sentenza di assoluzione in primo grado, rendendola definitiva. Il che può rappresentare un danno anche ai diritti di parti lese. Per cercare di scampare ad un'altra bocciatura della Consulta, per l'ingiusto squilibrio che crea tra accusa e difesa, l'inappellabilità dell'assoluzione in primo grado
è stata applicata solo ad una serie di reati cosiddetti “minori”. Ma la furbata trovata è che grazie alla controriforma “garantista” Cartabia tutta una serie di reati gravi e gravissimi erano già stati derubricati a “minori”. Ne consegue che non saranno più appellabili assoluzioni per reati come falsa testimonianza, evasione, istigazione a delinquere, rissa aggravata, lesioni personali stradali gravi o gravissime (anche paralisi, e anche da parte di chi guida ubriaco o sotto stupefacenti), truffa (sia a privati che ai danni dello Stato), ricettazione, e perfino alcune violazioni al codice antimafia.
Preavviso di 5 giorni prima dell'arresto
Infine, il quinto provvedimento super “garantista” di Nordio, istituisce l'obbligo per il magistrato, prima di notificare l'arresto ad un indagato, di interrogarlo recapitandogli l'avviso con 5 giorni di anticipo, e questo nel caso non sia previsto pericolo di fuga ma solo di reiterazione del reato. Anche tralasciando il fatto che ciò può dare tutto il tempo ad un indagato per svignarsela comodamente, o anche solo per nascondere o inquinare prove, c'è pure il fatto che l'interrogatorio e l'arresto devono essere effettuati non da un Gip ma da un collegio di tre giudici. Fermo restando che l'arresto deve poi essere convalidato come avviene adesso dal Tribunale del riesame, anch'esso composto da tre giudici, per un totale di sei che poi non potranno partecipare alle fasi successive del procedimento.
Questo rappresenta un grosso problema per i tribunali minori, ma anche per quelli medio-grandi, che rischiano la paralisi dei lavori e il fermo delle altre inchieste. Per ovviare a ciò Nordio ha previsto il contentino del rinvio di due anni dell'entrata in vigore della norma e l'assunzione nel frattempo di altri 250 giudici, ma si tratta solo di un pannicello caldo a detta di molti procuratori.
Insomma, come ha denunciato l'ex procuratore di Torino Armando Spataro, “questa riforma nuoce a tutti i cittadini, coinvolti o meno in un processo, e giova solo ai responsabili di molti reati, soprattutto quelli dei cosiddetti 'colletti bianchi' o a chi non accetta alcuna forma di controllo sul proprio agire”. Anche l'Associazione nazionale magistrati (Anm), per bocca del presidente Giuseppe Santalucia, ha criticato punto per punto il pacchetto giustizia del governo, provocando la reazione stizzita del Guardasigilli che a Sky
gli rispondeva che “quel che è patologico è che molto spesso la politica abbia ceduto alle pressioni della magistratura sulla formazione delle leggi. Non è ammissibile, il magistrato non può criticare le leggi, come il politico non può criticare le sentenze”.
Un altro giro di vite in preparazione sulle intercettazioni
Una pretesa inammissibile e arrogante, questa del titolare della Giustizia, che ha provocato una vera sollevazione da parte dell'Anm e di parecchi singoli magistrati. Ma Nordio tira dritto come un bulldog e per dimostrare che questa “riforma” è solo un primo passo si prepara a definire una pesante stretta anche alle intercettazioni, che secondo lui sarebbero troppo facili e troppo costose, e andrebbero limitate solo ai casi di mafia e terrorismo. Le misure consisterebbero nel fissare un budget molto ridotto rispetto all'attuale e nel ridurre l'impiego dei trojan
, il software che impiantato nei cellulari degli indagati consente di acquisirne tutte le conversazioni, molto efficace nelle inchieste di corruzione politica e di mafia. E per quanto riguarda la pubblicazione di intercettazioni, vorrebbe vietarla in toto almeno fino al processo. In questo sarebbe aiutato da un apposito ddl presentato dal deputato Enrico Costa, appartenente al gruppo di Renzi e Calenda, già pronto a presentarlo in parlamento, in parallelo con un altro simile di FI.
A supporto di questo ulteriore giro di vite sulle intercettazioni, il ministro neofascista ha tirato in ballo il procuratore nazionale antimafia, Gianni Melillo, millantando di averne discusso con lui e che sarebbe stato sostanzialmente d'accordo. Ma quest'ultimo lo ha sbugiardato pubblicamente, dichiarando che “personalmente non conosco intercettazioni inutili (così definite da Nordio, ndr) perché sono disposte da un giudice con un provvedimento, non privato, procedendo per reati gravi”. La verità, come ha rilevato in un'intervista a Domani
del 9 giugno il segretario dell’Anm, Salvatore Casciaro, le “riforme” della giustizia annunciate dal governo neofascista Meloni rivelano “la volontà di ridimensionare il ruolo della magistratura disegnato dai costituenti”.
28 giugno 2023