Tragedie a Lodi e a Firenze
Due operai morti per il caldo in 24 ore
Ad aggravare la strage quotidiana di lavoratori causata dal bestiale sistema di sfruttamento capitalista nei luoghi di lavoro, ci si è messo anche il caldo torrido di questi giorni sprigionato dall'anticiclone africano “Cerbero” e aggravato dai cambiamenti climatici.
Tra l'11 e il 12 luglio, due operai sono morti nel giro di 24 ore a Lodi e a Firenze a causa dello stress climatico e delle alte temperature a cui erano costretti a lavorare.
Nella cittadina lombarda la vittima è un operaio di 44 anni che è stramazzato sull'asfalto rovente dopo aver trascorso l'intera mattinata sotto il sole, a una temperatura di 40 gradi, mentre stava tracciando la segnaletica orizzontale all'interno della piazzola ecologica di Lodi.
Inutile la corsa all'ospedale Maggiore di Lodi. Il 44enne è deceduto pochi istanti dopo il ricovero per un arresto cardiaco.
La seconda tragedia è avvenuta il 12 luglio a Sollicciano, alle porte di Firenze, dove un operaio di 61 anni, Stefano Olmastroni, addetto alle pulizie è morto per ipertermia mentre stava pulendo un magazzino con un collega per conto di un consorzio agricolo. L'uomo, intorno alle 15,30, mentre la colonnina del mercurio segnava 39 gradi, si è improvvisamente accasciato al suolo ed è stato trasportato d'urgenza all'ospedale di Careggi dove i sanitari gli hanno riscontrato una temperatura corporea di 43 gradi che non gli ha lasciato scampo.
“Morti che potevano essere ampiamente evitata perché gli strumenti ci sono. C’è la cassa integrazione, la sospensione del lavoro e le accortezze che si possono mettere in cantiere”, hanno commentato all'unisono i segretari confederali di CGIL, CISL e UIL pur sapendo benissimo che migliaia di morti sul lavoro all'anno continuano a essere imputati al “mancato rispetto delle regole, delle procedure e dei sistemi di protezione”; alla “mancanza di controlli, di ispettori, corsi di formazione e norme adeguate come ad esempio l'introduzione del reato di omicidio sul lavoro” eppure non si fa niente eliminare e neppure ridurre questa strage.
Non basta lanciare una campagna pubblicitaria come quella della Fillea-Cgil intitolata “Caldo estremo doppio rischio” che addirittura finisce per colpevolizzare gli stessi lavoratori “che spesso non sono a conoscenza né dei rischi che si corrono in presenza delle ondate di calore né delle tutele a cui hanno diritto come ad esempio il ricorso all’attivazione della cassa integrazione in presenza di eventi climatici estremi, in cui rientra appieno il caldo di questa stagione”.
La possibilità per il lavoratore di rifiutarsi di lavorare e di ricorrere alla cassa integrazione in caso di temperature superiori ai 35 gradi esiste solo sulla carta. Si chiama ricorso alla causale “eventi meteo” che può essere invocata per sospendere o ridurre l’attività lavorativa ed è regolata dalla circolare Inps n.139 del 2016 e dalla relativa “nota congiunta Inps-Inail” emanata due anni fa. Anche l’Ispettorato nazionale del lavoro ha pubblicato una analoga circolare “per tutelare i lavoratori dai rischi legati ai danni da calore per rendere più incisiva la prevenzione”. Per non parlare del Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro che prevede: “Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione”; o del “Decalogo” elaborato dall’Inail che informa i datori di lavoro sulle modalità attraverso cui attivare la prevenzione per le patologie da calore tenendo conto dei gruppi di lavoratrici e lavoratori per età, genere, provenienza, fattori che possono accrescere il rischio legato ai danni di calore.
Ma si tratta di leggi, norme, tutele, raccomandazioni e linee guida che di fatto rimangono quasi sempre lettera morta di fronte al ricatto salariale e occupazionale dei padroni come testimoniano gli oltre 4 mila gli infortuni sul lavoro collegati al caldo stimati ogni anno dall’Inail.
Dai dati Inail tra l'altro emerge che i più esposti al rischio climatico sono gli operai addetti al trasporto e alla produzione di materiali, gli addetti ai macchinari e agli utensili e quelli che lavorano all’aperto. Come i manovratori, gli installatori, gli asfaltatori, i cantonieri stradali, chi lavora nell’edilizia, gli agricoltori e gli impiegati nel settore dell’elettricità, gas e acqua.
Il problema è dunque non solo grave ma anche molto esteso e non si risolve con “Una serie di buone pratiche che consentono sia di lavorare senza rischi, con pause e una migliore organizzazione, sia per poter smettere di lavorare quando non ci sono le condizioni” che i padroni non concederanno mai perché della vita, della salute e della sicurezza dei lavoratori non gli interessa un bel fico secco.
Intanto, per tamponare il fenomeno, i sindacati potrebbero imporre l'immediato stop a tutte le attività lavorative a rischio nelle ore più calde su tutto il territorio nazionale. Ad oggi solo le Regioni Puglia, Calabria e Basilicata hanno emesso ordinanze in tal senso, in vigore fino al 31 agosto, che vietano il lavoro in condizioni di esposizione al sole ed al calore tra le 12,30 e le 16, qualora la mappa del rischio indichi un livello alto.
In prospettiva bisogna invece cominciare a dire chiaro e tondo che non si tratta di “semplici incidenti sul lavoro” ma di veri e propri omicidi premeditati che hanno un mandante ben preciso, ossia il bestiale sistema di sfruttamento capitalistico che costringe le lavoratrici e i lavoratori a ritmi di lavoro insopportabili e si nutre del loro sangue per realizzare profitti sempre più alti.
Il caldo può facilitare la perdita di attenzione, favorire l’insorgere di malori, causare appannamento e minore prontezza di riflessi accrescendo il rischio di infortuni. Ma al lavoro non si muore per il caldo o per chissà quale altra “eccezionalità”. Al lavoro si muore di sfruttamento, di ricatti, di precarietà, di massimizzazione di profitti e minimizzazione di costi ed investimenti, sottovalutazione dei rischi e mancata prevenzione tutto sulla pelle dei lavoratori.
19 luglio 2023