Rapporto Svimez 2023
Tre milioni di lavoratori guadagnano meno di 9 euro all'ora lordi
Un milione vive nel Mezzogiorno, uno su quattro è precario da più di cinque anni
Il 18 luglio scorso stati resi noti da Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) le anticipazioni dei dati contenuti nel Rapporto 2023 sull’economia e la società del Mezzogiorno. Su 3 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro all'ora ben un milione e 32 mila vive nel Mezzogiorno.
Quindi al Sud, si trova in questa condizione ben un lavoratore su quattro, il 25,1% del totale dei lavoratori poveri,contro il 15,9% del Centro-Nord.
"La questione nazionale dei salari si aggrava soprattutto nel Mezzogiorno", rileva la Svimez, secondo la quale la spirale inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali in Italia con una significativa erosione del potere d'acquisto rispetto al periodo pre-pandemia: a fronte di un calo del -7,5% che si è registrato a livello nazionale (contro il -2,2% della media Ocse), nel Mezzogiorno la perdita è stata più alta (-8,4%) per effetto degli stipendi più bassi e quindi colpiti rispetto a retribuzioni più consistenti alla perdita del potere di acquisto.
Fenomeno questo che si colloca all'interno di una tendenza di medio periodo particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno, infatti salari e pensioni mostrano una tendenza sostanzialmente stagnante nel Centro-Nord tra il 2008 e il 2019 e in significativo calo proprio al Sud.
"Va tuttavia considerato che il PIL del Mezzogiorno, nonostante la ripresa sostenuta, rimane ancora di oltre sette punti al di sotto del livello del 2008, da quando ha preso le mosse una lunga stagione di ampliamento dei divari territoriali" affermano da Svimez.
Nel 2022 le retribuzioni lorde in termini reali sono di 3 punti più basse nel Centro-Nord rispetto al 2008 e di ben 12 punti al Sud (cioè 4 volte tanto) dove peraltro il peso della componente del lavoro a termine rimane a livelli scandalosi, con una quota del 22,9%. Non solo, al Sud si resta precari più a lungo: quasi un lavoratore a termine su quattro infatti è occupato a termine da più di cinque anni, quasi il doppio rispetto al resto del Paese.
Per quanto riguarda le prospettive economiche secondo la Svimez quest'anno il Mezzogiorno resterà sostanzialmente allineato al resto del Paese, con un Pil in crescita dello 0,9% appena tre decimi sotto il Centro-Nord, ma intanto la stretta monetaria (cioè le politiche legate al costo del denaro decise dalla BCE volte ad aumentarne il costo per strozzare l'economia e ridurre l'inflazione) potrebbe avere effetti recessivi molto più pesanti che nel resto del Paese,che comunque,come visto è molto più avanti rispetto al martoriato Meridione, quindi la parità della crescita del PIL rispetto al Centro-Nord non deve far credere che vi sia alcun "allineamento".
"Le decisioni prese dalla Bce hanno già avuto un impatto cumulato negativo sul Pil nel triennio 2023-2025 di circa 6 e 5 decimi di punto rispettivamente nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord. Un ulteriore inasprimento (un incremento di 50 punti base dei tassi) avrebbe effetti depressivi più pronunciati al Sud rispetto al Centro-Nord contribuendo ad ampliare la forbice della crescita tra le due aree di due decimi di punto di Pil" (appunto), fanno sapere dalla Svimez.
In altri termini la cosiddetta "ripresa" in tutto il Paese e specie al Sud, della quale tanto cianciano i fascisti in doppiopetto al governo e i mass media del regime, con relativo incremento dell'occupazione, non rappresenta affatto un aumento della ricchezza delle masse popolari italiane in generale e meridionali in particolare, tutt'altro.
Tant'è vero che la maggior parte dei nuovi contratti di lavoro sono precari, sottopagati ed iperflessibili, cosa che in particolare nel Sud porterà "nel 2023 i consumi delle famiglie a crescere più lentamente nel Mezzogiorno (+1,1% contro +1,7% del Centro-Nord) mantenendosi su tassi di crescita tra i cinque e i sette decimi di punto percentuale inferiori al Centro-Nord anche nel biennio successivo". Alla faccia della "ripresa"!
I dati ci dicono di un aumento del divario Nord-Sud, aggravato dalle politiche infami volte a scaricare i costi della crisi sulle masse volute dalla Ue imperialista e dai governi Draghi prima e Meloni oggi, questa è la verità. La Svimez rivela poi che i posti di lavoro, al Sud, rimangono ancora al di sotto di circa 300 mila unità rispetto ai livelli raggiunti nel 2008, anno del crollo della borsa di Wall Street e della crisi economica susseguente dalla quale l'Italia e il Sud in particolare non si sono mai ripresi, considerando che sono passati ben 15 anni, la cosa ci pare particolarmente infame ed è la prova provata che il capitalismo non può appagare i bisogni materiali e intellettuali delle masse e in periodi di crisi ha la necessità di scaricarne i costi proprio sulle masse e non certo sui padroni e su chi, anche in piena pandemia, ha generato profitti stellari, sulle spalle della miseria e della disperazione della maggioranza degli abitanti del pianeta, sferrando fra l'altro colpi micidiali all'ambiente, sempre più devastato, vittima dell'imperialismo e della legge del massimo profitto.
Impressionante il dato non solo sull'occupazione giovanile, ma sulla migrazione dei giovani dall'Italia (e dal Sud in particolare) verso l'estero: "L’Italia presenta persistenti saldi migratori negativi di laureati verso l’estero. La serie storica degli espatri dei laureati mostra un “salto” nel 2012, anno dal quale si avvia un trend crescente di emigrazioni intellettuali verso l’estero dal Mezzogiorno e dalle regioni centro-settentrionali. Un trend che si arresta nel 2019 nel caso del Sud, estendendosi a tutto il 2020 per il Centro-Nord. Dall’inizio della “fuga” verso l’estero si amplia anche la componente giovanile delle migrazioni dal Centro-Nord e dal Mezzogiorno verso l’estero. La quota di giovani raggiunge il picco nel 2020: 56,6% e 63,1% rispettivamente nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Se il Centro-Nord è nelle condizioni di compensare questa perdita consistente di capitale umano attraendo “cervelli” dal Mezzogiorno, le migrazioni interne (tra regioni del Paese) amplificano il fenomeno della perdita secca di forza lavoro qualificata nelle regioni del Sud. Tra il 2001 e il 2021 circa 460.000 laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, per una perdita netta di circa 300.000 laureati nell’area. Guardando alle migrazioni complessive, nello stesso periodo, il flusso migratorio annuo Sud-Nord è rimasto sostanzialmente invariato: circa 100.000 persone all’anno hanno lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi in altre regioni italiane. Ma la distribuzione dei migranti per titolo di studio rivela come sia cambiata la “qualità” delle migrazioni. Tra il 2001 e il 2021 la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o titolo di studio superiore) si è più che triplicata, da circa il 9 a oltre il 34%. Nel 2021 su 100 emigrati dal Mezzogiorno oltre 34 possedevano la laurea, 30 almeno un diploma di scuola secondaria inferiore e 36 un diploma di scuola secondaria superiore". Praticamente quasi 6 laureati italiani su 10 emigrano dal Sud al Nord o verso l'estero.
Importante la critica della Svimez ai fondi del PNRR e alla loro erogazione: "L’assegnazione delle risorse a favore di ciascuna regione ha tenuto solo in parte conto di criteri idonei a ridurre i consistenti divari di dotazione di infrastrutture scolastiche che caratterizzano i territori italiani e non si è basata su una preventiva e puntuale mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento. A ciò si è aggiunta la limitata efficacia perequativa della scelta di individuare il livello regionale come ambito territoriale di riferimento per il riparto delle risorse. Una scelta, questa, che ha impedito di tenere conto dell’eterogeneità interna alle singole regioni in termini di fabbisogni di investimento. Ulteriori criticità si sono aggiunte nella fase di allocazione 'competitiva' delle risorse a favore delle singole realtà territoriali. Fatta eccezione per i progetti in essere del 'Piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole', l’allocazione si è basata esclusivamente sulla partecipazione ai bandi ministeriali da parte degli enti territoriali responsabili delle opere. In alcuni casi, il sistema dei bandi ha penalizzato i territori con maggiori fabbisogni le cui amministrazioni locali, meno sensibili a questo ambito di intervento o/e meno attrezzate in termini di capacità progettuali e amministrative, non hanno saputo rispondere adeguatamente alle sfide del PNRR. Sebbene la 'quota Sud' sia stata rispettata, gli enti territoriali delle tre regioni meridionali più popolose – Sicilia, Campania e Puglia – hanno avuto accesso a risorse per studente per infrastrutture scolastiche inferiori alla media italiana, nonostante le pronunciate carenze nelle dotazioni infrastrutturali che le contraddistinguono. La distribuzione provinciale delle risorse assegnate ai Comuni segnala significative differenze intra-regionali, soprattutto nelle regioni più grandi: in quasi tutte quelle meridionali, la provincia con il maggior fabbisogno di investimenti non coincide con 21 quella che ha ricevuto le maggiori risorse pro capite. Questa situazione caratterizza, in particolare, Napoli e Palermo che si trovano tra le ultime quindici province nella graduatoria per risorse per studente assegnate pur avendo, ad esempio nel caso delle mense, una percentuale bassissima di studenti che possono usufruirne..."
Il che conferma quanto noi marxisti-leninisti sosteniamo da sempre sui fondi PNRR: sono insufficienti, a debito e concepiti per la borghesia e le consorterie mafiose e non certo per le masse che sui fondi non hanno diritto di parola e di gestione.
26 luglio 2023