Discorso di Andrea Cammilli, a nome del CC del PMLI, per il 47° Anniversario della scomparsa di Mao
Gli insegnamenti di Mao sul ruolo del proletariato nella rivoluzione e nel socialismo
Care compagne e cari compagni, amiche e amici,
vi saluto calorosamente, in particolare saluto coloro che sono venuti da lontano per essere presenti a questa 47ª Commemorazione della scomparsa di Mao. È sempre una grande gioia rivoluzionaria ritrovarsi assieme, questo è un appuntamento che rinsalda la nostra unione e il nostro spirito rivoluzionario. Per me è un grande onore essere stato designato come oratore e per questo ringrazio per la fiducia che mi è stata concessa il Comitato Centrale del PMLI con alla testa il Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi.
La Commemorazione di Mao che facciamo ogni anno non è un rituale fine a sé stesso, non è solo un doveroso omaggio a questo grande Maestro del proletariato internazionale. Noi riteniamo che i suoi insegnamenti siano tutt'ora validi e che la sua vita sia un esempio per tutti i rivoluzionari, perciò ci ispiriamo ai suoi insegnamenti nella lotta di classe per conquistare il socialismo e il potere politico del proletariato. Il pensiero di Mao, unitamente a quello di Marx, Engels, Lenin e Stalin, è la bussola della Lunga marcia del PMLI sulla via dell'Ottobre verso l'Italia unita, rossa e socialista. Senza di essa brancoleremmo nel buio, non sapremmo come uscire dal capitalismo e difficilmente esisterebbe ancora il PMLI. Grazie a questa bussola, che abbiamo preso tra le nostre mani fin da subito, il PMLI vive e lotta fermamente attestato sulla via dell'Ottobre e del socialismo.
Ignorare uno dei cinque grandi Maestri del proletariato internazionale equivale a togliere un dito a una mano. Se si stacca un qualsiasi dito la mano non è completa e non funziona nella sua interezza, così è per il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Il quale rappresenta un'unica dottrina, arricchita via via dagli sviluppi della lotta di classe e dal progresso sociale. Mao, affrontando le contraddizioni del suo tempo, ha apportato nuovi sviluppi al marxismo-leninismo. In particolare riguardo alla lotta contro il revisionismo moderno, individuando come nel socialismo la borghesia continui ad esistere per molto tempo e si batta per la restaurazione del capitalismo. Come l'ideologia borghese continua ad agire negli stessi partiti comunisti al potere, come nel socialismo si sviluppa la lotta di classe attraverso la lotta tra le due linee e le due vie, chiarendo che “la salita del revisionismo al potere è la salita della borghesia al potere
”(1). Egli ha apportato fondamentali contributi alla lotta di classe nei paesi socialisti, in quelli capitalistici e in quelli semi-coloniali, erigendosi a paladino del marxismo-leninismo e a nemico giurato dei falsi comunisti.
Il PMLI ha un legame speciale con Mao. Ma in che cosa consiste di preciso questo legame? Fra il PMLI e Mao esiste un profondo rapporto di carattere storico, ideologico, di classe, rivoluzionario. Come Mao ha scoperto il marxismo grazie a Lenin e Stalin e alla Rivoluzione d'Ottobre, e si è ispirato a loro per la fondazione e costruzione del Partito comunista cinese (PCC) e per elaborare la rivoluzione cinese, così i fondatori del PMLI hanno scoperto il vero marxismo-leninismo grazie a Mao e alla Grande rivoluzione culturale proletaria e hanno agito di conseguenza sul piano ideologico, politico, programmatico e organizzativo. Se sul piano concreto la fondazione del PMLI è merito del compagno Scuderi e degli altri tre primi pionieri del Partito e delle compagne e compagni che li hanno affiancati, l’influenza del pensiero e dell’opera di Mao sono stati determinanti, Mao ci ha sottratti all'influenza della borghesia e dei revisionisti di destra e di “sinistra'', ci ha attirato nella lotta di classe per il socialismo e il comunismo, ci ha fatto capire che senza il Partito rivoluzionario e la teoria rivoluzionaria non è possibile condurre una lotta rivoluzionaria, fare, vincere e difendere la rivoluzione proletaria, che una causa giusta con una linea corretta può trionfare anche se all'inizio siamo pochi a credervi e disposti a operare concretamente per la sua vittoria.
L'effigie di Mao messa nel simbolo del PMLI al posto della stella che tradizionalmente nei simboli dei partiti comunisti rappresenta il socialismo ricorda il ruolo e la funzione che il pensiero e l'opera di Mao hanno avuto e hanno sull'ideologia, il programma, la politica e l'organizzazione del nostro Partito. Inoltre indica che l'unione della classe operaia e dei contadini, rappresentati nella simbologia rispettivamente dal martello e dalla falce, è insufficiente per combattere il capitalismo e conquistare il socialismo se essa non è fondata sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao, che il socialismo si può conquistare e costruire solo applicando nella pratica i grandiosi sviluppi che Mao ha apportato al marxismo-leninismo.
Dopo il colpo di Stato di Krusciov nel 1956 in Urss, il fango gettato su Stalin aveva gettato nella confusione e nello sconforto milioni di proletari. Mao apparve subito come un faro, una guida, un esempio, per tanti sinceri comunisti, specie per le nuove generazioni che, a ragione, individuarono in lui e nel Partito comunista cinese, il nuovo centro nevralgico della rivoluzione mondiale, un esempio per contrastare i revisionisti che stavano prendendo o avevano già preso il sopravvento nei partiti comunisti di vari Paesi.
Per questo motivo Mao, questo gigante proletario rivoluzionario, è combattuto oltre che dalla borghesia di destra e di sinistra, dai revisionisti, dai riformisti, dai trotzkisti, dagli operaisti, dagli anarco-sindacalisti, dagli avventuristi.
In questa Commemorazione tratteremo il tema “Gli insegnamenti di Mao sul ruolo del proletariato nella rivoluzione e nel socialismo” perché senza l’opera cosciente e organizzata del proletariato è impossibile dare una svolta rivoluzionaria alla lotta di classe per uscire dal capitalismo. La storia e i fatti dimostrano che nessuna altra classe o gruppo sociale sono in grado di sostituire il ruolo del proletariato nella lotta di classe per il cambiamento della società.
Il problema è che il proletariato non si è ancora posto il compito di prendere la testa della lotta di classe, di unire e dirigere tutte le forze anticapitaliste, di combattere e abbattere il capitalismo, di instaurare il socialismo e il proprio potere politico. Agisce come classe in sé lottando su un piano riformista e non come classe per sé che mira a conquistare il potere politico e un nuovo mondo.
Sta quindi a noi marxisti-leninisti convincerlo ad assumere i suoi connotati di classe per sé e a operare di conseguenza. È dalla fondazione del PMLI che lavoriamo in questo senso e che facciamo anche in questa occasione. Senza mai stancarsi perché l’influenza dei revisionisti e dei riformisti sul proletariato è di antica data e molto profonda.
Cenni biografici di Mao
Prima di proseguire parliamo un po’ di Mao.
Mao nacque il 26 dicembre 1893 da una famiglia di contadini, non poverissima ma comunque umile. A scuola, poco più che bambino, inizia ad opporsi ai metodi medioevali del suo maestro. È curioso, ama la lettura, è un combattente, in poco tempo diventa un leader degli studenti. Poco più che ventenne, prende parte alle lotte contro l'imperialismo giapponese e i signori della guerra cinesi. Ricoprendo ruoli dirigenti e dando prova di essere un ottimo organizzatore.
Inizia il suo avvicinamento al marxismo-leninismo, che quando cominciò ad impegnarsi in politica conosceva poco o nulla, come ammetterà lui stesso. In breve tempo ne viene conquistato e capisce che quella “è la sua strada”. Da marxista-leninista organizza il lavoro politico e sindacale dei lavoratori e fonda cellule del PCC tra minatori, ferrovieri, contadini. Non ancora trentenne partecipa al primo congresso del PCC del 1921 e viene eletto membro del Comitato centrale (CC). Dopo pochi mesi diventa segretario del partito della provincia dell'Hunan.
Mao aveva una mente acuta e una profonda conoscenza della realtà sociale ed economica della Cina. Questo lo ha portato a scontrarsi con le tendenze revisioniste “ultrasinistre” o di destra all'interno del PCC, che non tenevano di conto delle peculiarità della Cina. Attenersi alla realtà cinese non era per lui un pretesto per deviare dal marxismo-leninismo, come avvenne con “la via italiana al socialismo” di Togliatti e del PCI, ma la via giusta per arrivare al socialismo in Cina.
La linea di Mao non è sempre stata maggioritaria nel partito, i suoi avversari interni sono riusciti a non farlo rieleggere nel CC del PCC, al IV e al V congresso, anche se in quest'ultimo i delegati dello Hunan imposero la sua inclusione tra i membri del CC supplenti. Mao, verso la fine degli anni '20, ha dovuto affrontare chi sosteneva una linea di ultrasinistra, o per meglio dire avventurista e trotzkista, che non teneva di conto delle condizioni della Cina e vedeva nella lotta antimperialista già le caratteristiche di una rivoluzione socialista, e contro quella di destra che invece non voleva andare oltre una rivoluzione borghese e restare prigioniera dell'alleanza di fronte unito con i nazionalisti del Guomintang.
Nel gennaio del 1930, al quarto plenum del VI CC del PCC prevale la linea di Wang Ming, che seppur in forma diversa porta avanti la linea deviazionista di “sinistra” di Li Lisan. Vengono criticati i principi militari di Mao sostenendo che il compito dell'Esercito rosso era di impadronirsi delle città. Nel gennaio del 1934, al quinto plenum, vi sono aspre divergenze sul problema delle alleanze nella lotta contro l'invasore giapponese. Viene riconfermata la linea di Wan Ming e dei “28 bolscevichi” che non ammettono distinzioni all'interno della borghesia. Mao viene destituito da quasi tutte le sue funzioni.
Nell’ottobre del 1934 comincia la Lunga marcia da parte dell'Esercito rosso per sfuggire all'accerchiamento delle forze armate del Guomintang. Zhu De era il comandante militare e Mao il comandante politico, che cominciava ad essere riconosciuto come il dirigente comunista più lungimirante e di più ampie vedute, che sapeva dirigere sia la lotta politica che quella militare sul campo di battaglia. A gennaio dell'anno successivo viene destituita la vecchia direzione opportunista di “sinistra”, Mao viene eletto presidente dell'Ufficio politico, e trionfa la strategia della guerra popolare di lunga durata elaborata da Mao. Nell'agosto del 1937 scrive due saggi fondamentali dal titolo “Sulla pratica” e “Sulla contraddizione”. Questi saggi confutano con formidabile dialettica, basandosi sulla teoria della conoscenza marxista-leninista, gli errori di dogmatismo esistenti nel PCC. Il mese successivo scrive “Contro il liberalismo” per indirizzare correttamente la critica e l'autocritica all'interno del partito e per spronare i suoi membri ad essere dei buoni marxisti-leninisti.
Intanto il Giappone aveva occupato Pechino, Tianjin e successivamente Shangai. Nell'autunno del 1938 viene costituito il fronte unito antigiapponese tra il PCC e il Guomindang. A gennaio del 1940 Mao scrive un saggio fondamentale dal titolo: “Sulla nuova democrazia”, nel quale sistematizza la strategia della rivoluzione cinese, apportando un prezioso sviluppo al marxismo-leninismo. Tra il 1941 e il 1942 guida un movimento di rettifica contro il soggettivismo e il settarismo, invitando tutto il partito a integrare la verità universale del marxismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese. Nel 1945 presiede il VII congresso del PCC. Trionfano il pensiero, la linea e la direzione di Mao. Questi pronuncia il rapporto politico dal titolo: “Sul governo di coalizione”, in cui traccia il futuro cammino della rivoluzione cinese.
Nel luglio 1946, dopo ripetute violazioni dell’“Accordo per la tregua” da parte del Guomindang, ha inizio la terza guerra civile rivoluzionaria. L'imperialismo americano si schiera col Guomindang, fornendogli tutto l'aiuto necessario, anche militare, per reprimere i comunisti. Ad agosto in un’intervista alla giornalista americana Anna Louise Strong Mao espone la famosa tesi: “Tutti i reazionari sono tigri di carta
”. Nel 1948 l'Esercito rosso non è più sulla difensiva ma saldamente all'offensiva. Mao dirige le forze comuniste nel teatro nord ovest, poi nell'Hubei, nella Cina centrale. In un anno di combattimenti le truppe dirette da Mao, 20mila uomini, hanno distrutto le armate di Hu Tsung-nam, composte da 230mila uomini.
A gennaio del 1949 viene liberata Pechino, e a marzo vi arriva Mao, accolto da un grande entusiasmo della popolazione. Ad aprile e maggio vengono liberate prima l'allora capitale, Nanchino, poi Shanghai e Wuhan. Il 30 giugno Mao scrive l'importante opera “Sulla dittatura democratico popolare” in cui, facendo un bilancio della storia del PCC, mette in risalto l'importanza che il marxismo-leninismo ha avuto sul Partito, sulla rivoluzione cinese e su lui stesso, inoltre spiega i caratteri politici e di classe della dittatura democratica popolare che sarà instaurata dopo la conquista del potere politico.
Il 5 marzo 1949, alla seconda Sessione plenaria del VII CC del PCC Mao traccia la linea politica per la fase successiva alla conquista del potere politico da parte del proletariato in Cina. Con lungimiranza marxista-leninista mette per tempo in guardia contro le “pallottole ricoperte di zucchero
” della borghesia, che sarebbero diventate il pericolo maggiore una volta conquistato il socialismo. Sono qui gettati i primi germi della teoria della continuazione della rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato che esploderà successivamente nella Grande rivoluzione culturale proletaria.
Il primo ottobre 1949 ha luogo sulla Piazza Tien An Men di Pechino, tornata capitale, la proclamazione della Repubblica popolare cinese (RPC). Di fronte a milioni e milioni di persone che lo acclamano Mao tiene un discorso dove, tra le altre cose dirà: “il popolo cinese si è alzato in piedi... nessuno ci insulterà più”.
Il giorno successivo, il 2 ottobre, l'Urss di Stalin riconosce la RPC e decide uno scambio di rapporti e di ambasciate. La guerra contro i nazionalisti proseguirà ancora per alcuni mesi, e l'anno successivo tutte le città saranno raggiunte dall'Armata rossa cinese, che adesso si chiama Esercito popolare di Liberazione e tutta la Cina, ad esclusione di Taiwan dove si rifugiarono Chiang Kai-shek e i suoi seguaci, fu liberata.
Fino alla morte ha tenuto testa ai revisionisti di tutto il mondo, con al centro quelli dell’Urss che avevano tradito Stalin, nonché ai revisionisti cinesi che con l’imbroglio ideologico volevano restaurare il capitalismo in Cina. Negli ultimi dieci anni di vita ha tenuto nell’angolo quest’ultimi attraverso la Grande rivoluzione culturale proletaria, un grandioso capolavoro di Mao, uno strumento di valore universale per salvaguardare la dittatura del proletariato e il socialismo da ogni tentativo di rovesciarli e di sostituirli con la dittatura della borghesia e il capitalismo. Lottando contro il revisionismo e l’imperialismo, apportando al marxismo-leninismo dei contributi fondamentali e universali, Mao è diventato un grande Maestro del proletariato internazionale.
Il proletariato, la sua missione e il suo ruolo
L’obiettivo di Mao era di portare al potere il proletariato e instaurare il socialismo nel suo Paese. Mao ha posto l'attenzione sull'importanza dei contadini e ha sostenuto come essi dovevano diventare la massa d'urto della rivoluzione cinese, anche per un semplice fattore numerico, ma ha sempre indicato nella classe operaia la classe dirigente della rivoluzione e del futuro Stato socialista cinese.
Queste le sue parole: "La classe operaia è la classe più lungimirante e più disinteressata, la classe dallo spirito rivoluzionario più coerente. Tutta la storia della rivoluzione dimostra che, senza la direzione della classe operaia, la rivoluzione fallisce, mentre con la direzione della classe operaia, essa trionfa. Nell'epoca dell'imperialismo nessun'altra classe in nessun paese può condurre una vera rivoluzione alla vittoria”
(2). Mao assegna alla classe operaia il ruolo dirigente in tutte le fasi della rivoluzione e dell'edificazione del socialismo. Anche se nella Cina di allora essa era ancora giovane e poco sviluppata doveva esercitare la dittatura del proletariato, il controllo diretto sulla produzione e su tutti gli aspetti della società socialista: dal Partito allo Stato, dal governo all'esercito, dalla scuola alla cultura e alle arti.
Mao non è soltanto il leader che ha spinto per la collettivizzazione dell'agricoltura con le comuni popolari. Anche gli operai nelle fabbriche erano incitati a partecipare attivamente oltre che alla produzione, alla direzione collettiva e alla propria trasformazione in senso rivoluzionario. Per Mao, come per gli altri grandi Maestri del proletariato internazionale, il proletariato ha una missione storica da portare avanti: la sua emancipazione sociale e, contestualmente, l'emancipazione dell'intera società. "Nella lotta di classe e nella lotta contro la natura la classe operaia trasforma tutta la società e, nello stesso tempo, trasforma se stessa"
(3) diceva. Ciò richiedeva di portare la rivoluzione a un livello ancor più profondo, risolvendo le contraddizioni in seno al popolo e fra l’uomo e la natura.
Mao sosteneva che la lotta di classe deve stare al primo posto, tesi avversata dagli esponenti del revisionismo cinese come Liu Shaoqi e Deng Xiaoping che pensavano troppo all'economia trascurando la lotta di classe. Mao è stato accusato, all'estero e anche nella stessa Cina, di non capire nulla di economia e di aver causato tremende perdite economiche con milioni di morti, specie con il Grande balzo in avanti e con la Grande rivoluzione culturale proletaria.
Ricostruzioni storiche superficiali e servizi giornalistici condizionati da posizioni preconcette, anche da parte di esponenti che si dichiarano “di sinistra”.
Ricostruzioni smentite dall’economista e sociologo cinese Minqi Li (docente all'università dello Utah negli Stati Uniti), il quale ha scritto che l’andamento economico della Cina “non è stato disastroso tra il 1952 e il 1978. Nel corso di questi anni il Pil cinese è cresciuto a una media annua del 4,39%”
. E non ci dobbiamo dimenticare che al momento della fondazione la RPC presentava condizioni estremamente difficili sia dal punto di vista economico che sociale. Il Paese, infatti, era arretrato e quasi totalmente rurale sia per le attività economiche prevalenti che per l’insediamento abitativo. Per di più si trovava in una situazione critica a seguito delle lunghe e travagliate vicende belliche che si erano susseguite per circa 25 anni.
L’opera che si presentava alla dirigenza del PCC era di enormi dimensioni: far fronte alle necessità impellenti di una popolazione provata, creare la struttura di un nuovo Stato e organizzare l’economia su basi collettivistiche. In quest’ottica il governo procedette all’attuazione di una riforma agraria integrale smantellando i grandi latifondi, alla creazione delle Comuni popolari nelle campagne, alla realizzazione di infrastrutture economiche e di servizi, infine col primo piano quinquennale (1953-57) al decollo dell’industrializzazione. Nei suoi studi sulla Cina lo scomparso economista Giovanni Arrighi rilevava che “Già nel 1970 la Cina aveva una base industriale che impiegava qualcosa come 50 milioni di operai e pesava per più di metà del suo Pil. Il valore del suo prodotto industriale lordo era cresciuto di 38 volte e quello dell’industria pesante di 90 volte”.
Anche in campo sociale a seguito delle politiche economiche socialiste in quegli stessi anni del secondo dopoguerra sono stati raggiunti risultati impensabili. Infatti, continua Arrighi, “oltre alla parificazione dei diritti fra uomini e donne, alla maggior parte della popolazione, prima analfabeta, era stato insegnato a leggere e scrivere (il tasso di alfabetizzazione era infatti salito dal 20% nel 1949 ad oltre 80% di trenta anni dopo), un sistema sanitario pubblico era stato creato dove non era mai esistito alcuno. La speranza di vita media era aumentata da 35 a 65 anni”. Alla faccia dei milioni di morti causati dalle politiche economiche di Mao.
Mao sosteneva che per i marxisti-leninisti lo sviluppo della produzione e dell'economia socialista è uno dei compiti fondamentali dello Stato a dittatura del proletariato. Ma ciò esige che la politica proletaria sia messa al primo posto e che la rivoluzione socialista sia considerata la forza motrice. Mao si rifaceva all'insegnamento di Lenin secondo cui “La politica non può essere privata della supremazia nei confronti dell'economia”
(4). Convinto che lo sviluppo economico, necessario ed ineludibile, non doveva prendere il sopravvento sulla politica proletaria e sulla lotta di classe. Se questi due ultimi fattori non saranno prevalenti, non si riuscirà a consolidare i nuovi rapporti di produzione e impedire il sorgere di nuovi strati sociali privilegiati. Si potranno momentaneamente raggiungere degli obiettivi concreti a breve termine, ma a lungo termine la società socialista subirà un regresso e la restaurazione capitalista diventerà possibile. “Dobbiamo educare i compagni dei sindacati e le masse degli operai a capire
- raccomandava Mao - che essi non devono guardare semplicemente gli interessi immediati e parziali della classe operaia e dimenticare gli interessi generali e a lungo termine”
(5).
Questi concetti generali Mao li ha ulteriormente sviluppati dopo il XX Congresso del PCUS, dopo la controrivoluzione ungherese, dopo il tradimento del marxismo-leninismo da parte della cricca di Tito e l'uscita della Jugoslavia dal campo socialista. Mao aveva capito che solo la centralità della classe operaia e della lotta di classe nel socialismo, un proletariato e una gioventù rivoluzionaria provvisti dell'ideologia marxista-leninista erano le uniche armi efficaci per impedire la restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti, Cina compresa. Le sue riflessioni su quelli e su altri avvenimenti porteranno successivamente Mao ad elaborare la teoria della continuazione della rivoluzione nelle condizioni del socialismo e a dirigere la Grande rivoluzione culturale proletaria. Sarà Mao, pressoché da solo, ad intraprendere la dura lotta contro il revisionismo moderno a livello internazionale che aveva la sua massima espressione in Krusciov e nei nuovi dirigenti sovietici, e in Palmiro Togliatti, oltre che all'interno del PCC.
Togliatti, come Krusciov, è stato messo subito nel mirino da Mao. Come ricordava il compagno Scuderi nel suo discorso commemorativo di Mao di due anni fa Togliatti, storico segretario generale del PCI, era una mente sopraffina che ha ingannato anche Stalin, rimanendo sempre “coperto” finché esso era in vita, per venire allo scoperto dopo la sua morte. Ma il revisionismo e il riformismo si erano radicati nel PCI già da tempo. Dobbiamo risalire alla direzione opportunista e di destra di Gramsci, che seguì a quella opportunista di “sinistra” di Bordiga per capire il percorso fatto dal PCI.
Il proletariato italiano nella lotta di classe
Il movimento operaio italiano, pur formatosi con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi per il minore sviluppo industriale dell’Italia, si è organizzato velocemente. Ma c’è voluto tempo affinché il marxismo-leninismo prendesse piede.
Fin dall'inizio si sviluppò la lotta tra riformisti e rivoluzionari per l'egemonia che si svolgeva anche a livello internazionale. Una lotta che continua tutt'ora, essa divide chi propugna un cambiamento graduale attraverso forme pacifiche e chi invece sostiene che l'abbattimento del capitalismo e l'instaurazione del socialismo possa avvenire solo con una cesura netta con il sistema esistente da concretizzarsi attraverso un’insurrezione di massa violenta.
Non si deve pensare che in quel periodo, oltre 150 anni fa, questa lotta non esistesse e il proletariato avanzasse di trionfo in trionfo, senza sconfitte e senza contraddizioni. Furono Marx ed Engels ad elaborare il materialismo dialettico e storico, il socialismo scientifico, che ha dato gli strumenti teorici, ma anche organizzativi, al proletariato per combattere e abbattere il capitalismo e conquistare il potere politico e il socialismo. Ma nel fondare la loro teoria rivoluzionaria essi lottarono strenuamente contro i riformisti e gli anarchici, i Proudhon, i Bakunin, contro le ideologie idealistiche dei giovani hegeliani e quelle riformiste e piccolo borghesi di Dühring.
“Il manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels diventò fonte d'ispirazione e guida per l'azione dei comunisti. Solo che in Italia il partito che riuniva gli operai, i lavoratori e i contadini era il PSI di Turati, imbevuto di riformismo e di ideologia borghese che svuotava la carica rivoluzionaria del marxismo. Prova lampante di questo fu l'atteggiamento che assunse durante il “Biennio rosso” 1919-1920, quando il PSI abbandonò gli operai che occupavano le fabbriche del Nord Italia e che a un certo punto, sull'onda della Rivoluzione d'Ottobre, chiedevano di “fare come in Russia”. L'inadeguatezza del gruppo dirigente del PSI rispetto alle aspettative del proletariato italiano furono evidenti. Lenin dichiarò: “Il Partito socialista italiano se vuole essere realmente per la III Internazionale, scacci dalle sue file i signori Turati e consorti
(riferimento alla Kuliscioff) e diventi un partito comunista, non soltanto di nome, ma anche per le sue azioni”
(6).
Fu grazie allo stimolo di Lenin e dell'Internazionale comunista, che aveva rotto con la II internazionale riformista, che si giunse alla scissione del PSI e alla fondazione del PCd'I. Lenin si occupò a più riprese della “questione italiana”, come fece in un noto discorso al 3° Congresso dell'Internazionale comunista nel maggio del 1921. La scelta di fondare un nuovo partito comunista fu una scelta giusta, ma fu gestita da un gruppo dirigente composto da riformisti (Gramsci e Togliatti) e da dogmatici, settari e trotzkisti (Amedeo Bordiga, Onorato Damen).
Gramsci era fortemente influenzato dall'idealismo liberale di Benedetto Croce. Entrambi dividevano nettamente l'Oriente dall'Occidente. Per Gramsci in Occidente lo Stato non è tutto, non è contrapposto alla società civile come affermavano Marx ed Engels, bensì la assorbe in sé. Si presenta piuttosto come "una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e casematte''. Lo Stato esisterebbe in quanto e nella misura in cui la classe dominante esercita l'egemonia, per dimostrare che il proletariato si affermerà come classe dirigente "nazionale'' solo dopo aver conteso e strappato alla borghesia la "direzione intellettuale e morale'' della società. Tutto si riduce a una battaglia culturale, ideale, morale per l'affermazione di una superiore capacità di interpretazione della storia e di soluzione dei problemi che essa pone. La rivoluzione, l'insurrezione delle masse, la distruzione del vecchio sistema economico e sociale sono sfumate e messe in secondo piano.
Ma lasciamo parlare Gramsci, che sostiene: “In Europa centrale ed occidentale lo sviluppo del capitalismo ha determinato non solo la formazione di larghi strati proletari, ma anche perciò creato lo strato superiore, l’aristocrazia operaia con i suoi annessi di burocrazia sindacale e di gruppi socialdemocratici. La determinazione, che in Russia era diretta e lanciava le masse nelle strade all’assalto rivoluzionario, nell’Europa centrale ed occidentale si complica per tutte queste superstrutture politiche, create dal più grande sviluppo del capitalismo, rende più lenta e più prudente l’azione delle masse e domanda quindi al partito rivoluzionario tutta una strategia e una tattica ben più complessa e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo ed il novembre 1917”
(7).
Mentre Croce definiva i dirigenti rivoluzionari russi “ripetitori di formulette apprese nei caffè e nelle birrerie zurighesi, londinesi o parigine, dove al tempo di pace si accoglievano e sbraitavano gli emigrati e i demagoghi, si ergano a giudici di onestà, a giudici d'interi popoli e Stati”
, e considerava la rivoluzione socialista “possibile se non in Russia, dove era preparata da mal governo e da insufficiente sviluppo delle classi dirigenti; ma che non bisogna dimenticare non essere poi, teoricamente, altro se non la conseguenza estrema dell'atteggiamento del moralista politico, che si pavoneggia dappertutto nei nostri più maturi e più saggi paesi”
(8). Per Croce nella Russia di inizio '900 il contatto accelerato tra una cultura nazionale arretratissima e le punte avanzate del pensiero occidentale avevano minato la capacità di ragionare di un’intera cultura causando quello sconvolgimento sociale che è stata la Rivoluzione d'Ottobre e quello che ne è venuto dopo. I toni sono molto diversi ma le conclusioni, ovvero che l'Occidente “più saggio e maturo” è un’altra cosa rispetto all’Oriente arretrato e barbaro, sono molto simili.
Dopo che Lenin, i bolscevichi e le masse rivoluzionarie abbattono il capitalismo in Russia, Gramsci sostiene che la rivoluzione socialista può avvenire solo in paesi arretrati mentre in quelli sviluppati occorrono strade alternative e in sostanza si rinuncia alla rivoluzione socialista. Non è certo un caso se Gramsci non viene attaccato a testa bassa dalla borghesia anzi, essa lo considera un grande intellettuale e un “padre della patria”.
Gennaro Sangiuliano, attuale ministro della cultura del governo neofascista Meloni, che in un dibattito del 1° agosto con Maurizio Molinari, direttore di “Repubblica”, ha dichiarato: “Io ammiro tantissimo Gramsci”. Davvero notevole la differenza di trattamento rispetto ai cinque grandi Maestri del proletariato internazionale. Il sessantottino pentito Gard Lerner sta portando in giro per l'Italia uno spettacolo teatrale dal titolo “il sogno di Gramsci” di cui la grande stampa borghese dice un gran bene. Immaginiamoci quali sarebbero invece i commenti se al posto di Gramsci ci fossero stati Lenin, Stalin o Mao.
La dirigenza revisionista del Partito comunista italiano riguardo alla rivoluzione agiva con cautela perché era costretta a tenere di conto dello sviluppo della situazione interna e mondiale e del prestigio di cui godevano l'Urss, Stalin e i bolscevichi tra il proletariato del nostro Paese e di quello mondiale.
I comunisti italiani, tra cui tanti operai, sono poi stati i principali protagonisti nella Resistenza al nazifascismo. La loro aspirazione non era soltanto liberare il Paese dal fascismo e dall'occupazione straniera, l’obiettivo era instaurare il socialismo. Ma non era l’obiettivo del gruppo dirigente del PCI, Togliatti in testa, che dopo la Liberazione adottò come bussola politica la Costituzione borghese del 1948 accettando quindi il capitalismo, anche se continuava a parlare della necessità del socialismo per non perdere il consenso dei comunisti e del proletariato. Ma poi gradualmente cessò di avere ogni riferimento al socialismo diventando un partito neoliberale con la nuova denominazione di PDS.
La CGIL era il sindacato di riferimento del PCI nonché del PSI. I suoi dirigenti hanno sempre rappresentato la destra di questi due partiti: da Ludovico D'Aragona a Giuseppe di Vittorio, da Luciano Lama a Bruno Trentin.
La CGIL ha sempre fatto da calmante, da mediatore tra le masse lavoratrici e i capitalisti. Nel già citato “Biennio rosso”, quando assieme al PSI cercò di placare lo spirito rivoluzionario degli operai. Con la politica portata avanti nell'immediato dopoguerra, da Di Vittorio, allora Segretario generale della CGIL, che lanciò “il Patto del lavoro”, offrendo alla borghesia il sacrificio dei lavoratori per attuare la ricostruzione post-bellica. Nel Sessantotto e nell'autunno caldo – in gran parte ispirati dalla Grande rivoluzione culturale in Cina - la CGIL fu trascinata nelle lotte operaie e giovanili, ma subito dopo riprese la via della conciliazione con il governo e i capitalisti, rappresentata dalla svolta dell'Eur e la politica dei sacrifici per i lavoratori sottoscritta da Lama.
Una politica confermata con gli accordi del 1992 e del 1993 che eliminarono la scala mobile e bloccarono i salari. Se adesso in Italia ci troviamo con i salari più bassi d'Europa, pensioni da fame, precariato dilagante, lo dobbiamo anche a questa stagione sindacale. I lavoratori e le lavoratrici di allora non stettero però con le mani in mano: comitati per la difesa della scala mobile, scioperi, proteste e dure contestazioni contro i dirigenti sindacali durante i comizi. Proprio qui a Firenze al comizio di Trentin, al quale era presente il PMLI, furono scagliati dei bulloni contro l’allora Segretario generale della CGIL. Alcuni giorni dopo toccò al Segretario generale della UIL Benvenuto, per qualche tempo i leader dei sindacati confederali collaborazionisti dovettero salire sui palchi protetti dagli scudi della polizia.
Adesso ci ritroviamo una CGIL cogestionaria e neocorporativa, un po’ spaesata da quando ha perso i riferimenti politici e partitici. Questo non vuol dire che la CGIL non sia legata al PD, e in maniera minore ad altri partiti della “sinistra” borghese, ma questi hanno ormai una voce molto flebile all'interno del proletariato. Landini cerca alleati nel mondo cattolico, ma invece di portare a sé i settori più progressisti di quel mondo è la CGIL che sposa la politica sociale della Chiesa, basata sulla fraternità e la collaborazione tra le classi. Una CGIL alla ricerca spasmodica della legittimità istituzionale, ovvero di un ruolo riconosciuto nelle scelte dei vari governi borghesi e che per favorire questo non ha esitato ad invitare al suo ultimo congresso nazionale la neofascista e capo del governo Giorgia Meloni.
La CGIL, come la CISL, e l’UIL e i sindacati di base andrebbero sciolti perché i primi oramai rappresentano i sindacati del regime neofascista, cogestionari e neocorporativi mentre i secondi, frammentati e ancorati all'anarco-sindacalismo, si sono dimostrati incapaci di unificare le lotte e rappresentare unitariamente milioni di lavoratori e di pensionati. Vanno sostituiti con un Sindacato unico fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale dell’Assemblea generale di ogni luogo di lavoro e sezione di pensionati.
Un Sindacato unico che rigetti la politica delle compatibilità e della collaborazione con il governo e il padronato, che non accetti la limitazione del diritto di sciopero, le deroghe e il ridimensionamento del contratto nazionale, la flessibilità e la precarietà, la cosiddetta produttività, la sanità e la previdenza gestita dagli enti bilaterali, la codeterminazione e l’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Cda delle imprese, l’aziendalismo.
Un Sindacato unico che difenda gli interessi immediati dei lavoratori e dei pensionati, che si batta per: “il lavoro stabile e tutelato, il salario e una pensione dignitosi, il salario minimo contrattuale adeguato, l’eliminazione della flessibilità e della precarietà contro la liberalizzazione del mercato del lavoro e delle agenzie di collocamento private, per il ritorno della previdenza a un sistema retributivo, la pensione a 60 anni o a 35 di contributi, per gli uomini, e a 55 anni per le donne, l’eliminazione della Fornero e del Jobs Act, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’istituzione di un sistema di adeguamento all’inflazione di stipendi e pensioni tipo la scala mobile, la sicurezza sul lavoro.
Questa è da tempo la proposta sindacale strategica del PMLI che dobbiamo portare avanti con determinazione e con i dovuti accorgimenti tattici. Nel frattempo dobbiamo continuare a lavorare dentro la CGIL, salvo eccezioni da valutare, stringendo le alleanze con le forze di sinistra di essa e cercando di creare la corrente sindacale di classe con chi è d’accordo con la linea sindacale del PMLI.
Il 7 ottobre la CGIL farà una grande manifestazione nazionale a Roma per i diritti delle masse lavoratrici e pensionate. Molto bene, anche se non condividiamo del tutto la piattaforma sindacale, a partire dalla parola d'ordine “La via maestra, insieme per la costituzione”. Il PMLI vi parteciperà per porre la questione del potere politico.
Ma perché Landini traccheggia sullo sciopero generale? Le masse hanno bisogno urgentemente di migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro. Che sia indetto subito lo sciopero generale e da tutti i sindacati.
Il giorno precedente si svolgerà una mobilitazione nazionale per il cambiamento climatico promossa dagli ambientalisti. L’appoggiamo in maniera militante.
I compiti del PMLI affinché il proletariato italiano acquisti il suo ruolo nella lotta di classe
In base al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, il compagno Scuderi, riferendosi al proletariato italiano, ha chiarito che “Il proletariato, o classe operaia, è composto dagli operai dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi: ossia gli operai di fabbrica e di officina, dell'edilizia, dei cantieri navali, delle miniere, i braccianti e i salariati agricoli, gli operai dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, gli operai occupati a domicilio, gli operai dell'artigianato e del commercio, gli operai della sanità e dell'intero pubblico impiego, dei servizi pubblici, i disoccupati già operai e che ricercano lavoro come operai, i pensionati ex operai”.
Per alcuni sociologi borghesi, a cui si rifanno i falsi comunisti, invece il proletariato o non esiste più o ha cambiato composizione immettendovi impiegati e altri tipi di lavoratori. Ad esempio il professore Marco Damiani nel suo libro “Sinistra senza classi” sostiene che, a causa del declino del modello fordistico di produzione, l'analisi marxista della società non è più sufficiente. Paolo Perulli e Luciano Vettoretto nel loro libro “Elite, classe creativa e neoplebe” assegnano alla “classe media” il ruolo di cambiare la società (ma all'interno del capitalismo) e alla “neoplebe”,
una nuova specie di proletariato, il ruolo di alleato in posizione subordinata a essa. Il sociologo di area 5Stelle Domenico De Masi, alfiere del reddito di cittadinanza universale, sostiene che a breve non sarà il lavoro, e quindi la condizione sociale, a identificare gli individui, ma il tempo libero.
Poi c'è una corrente apparentemente di sinistra, quella dell’operaismo o post-operaismo che tanti danni ha prodotto in Italia negli anni ’70 del secolo scorso. I sostenitori di questa corrente sostengono che la classe operaia classica non esiste più, al suo posto vi è l'“operaio sociale”, che include altre figure, ad esempio il sottoproletariato e chi svolge “lavoro riproduttivo”, cioè la donna in quanto tale. Nuove rimasticature di vecchie tesi di Mario Tronti (scomparso un mese fa e che ha concluso la sua “carriera” politica nel PD) e di Toni Negri rilanciate, non a caso, dal “Manifesto
” trotzkista. Per Negri la classe operaia è sostituita da una indefinita “moltitudine”, mentre elude la questione del potere politico con una vaga “democrazia partecipativa e rivendicativa”. Si rifanno chiaramente a queste fallimentari tesi Lorenzo Feltrin ed Emanuele Leonardi, giovani docenti e attivisti ambientalisti, che hanno curato la postfazione del volume “Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze, dall'ex Gkn alla fabbrica socialmente integrata". Al Collettivo dei lavoratori ex-Gkn va comunque il sostegno del PMLI, che abbiamo sempre espresso in maniera concreta e militante fin dall'inizio della loro lotta.
Noi marxisti-leninisti siamo ben lontani dall’operaismo, come ha ribadito il compagno Scuderi nel suo Editoriale per l'ultimo anniversario della fondazione del PMLI: “Le classi principali sono due: la borghesia e il proletariato o classe operaia. La borghesia, il gruppo sociale più ricco, ha in mano tutto il potere: da quello politico ed economico e finanziario a quello istituzionale, giuridico, culturale e mediatico. Il proletariato invece non ha niente, tranne le braccia per lavorare. E nel lavoro viene sfruttato per arricchire la borghesia tramite il plus valore, ossia la parte della giornata di lavoro in cui l'operaio, o l'operaia, lavora gratuitamente per il capitalista. Il plusvalore è la fonte del profitto e della ricchezza della classe dei capitalisti e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Il proletariato, sia perché produce tutta la ricchezza del Paese, sia perché è l'unica classe che può sradicare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e le cause economiche che generano le classi e tutti i problemi delle masse, sia perché numericamente è di gran lunga maggiore rispetto alla borghesia, ha il diritto di avere il potere politico. Un diritto che deve rivendicare con forza e determinazione e imporlo con la rivoluzione socialista, quando matureranno le condizioni, perché non gli è riconosciuto dalla Costituzione e perché non è possibile ottenerlo per via parlamentare
”. E a chi blatera di nuove classi, classi scomparse, di analisi marxiste superate, rispondiamo con le parole del compagno Scuderi: “Quantunque si sostenga che siamo passati dall'assetto industriale, che produce prodotti materiali, all'assetto postindustriale, che produce prodotti immateriali, il sistema economico è sempre quello capitalista”
(9).
Dobbiamo utilizzare la lotta legale per accumulare le forze, ma l'obiettivo finale rimane il rovesciamento del capitalismo attraverso la rivoluzione armata. Invece i partiti revisionisti hanno sposato la vecchia tesi della socialdemocrazia e si sono appiattiti sulla democrazia borghese. In particolare il PCI di Togliatti, coloro che lo hanno “rifondato” con lo stesso nome e lo stesso simbolo in anni recenti, nonché il PC, il PRC, il P. Carc, il (n) PCI e Cumpanis che hanno assunto la Costituzione borghese come il loro programma. Per noi la Costituzione del 1948 è una costituzione borghese, pur rappresentando un avanzamento rispetto allo Statuto albertino sabaudo e ovviamente rispetto al fascismo. Considerando però il ruolo fondamentale dei comunisti nella Resistenza si poteva ottenere molto di più. Comunque non è la Costituzione più bella del mondo, come viene definita.
Nei due interventi del PCC, allora sotto la guida di Mao, a cavallo tra il 1962 e 1963 con i quali si rispondeva all'attacco del PCI ai comunisti cinesi accusati di essere dogmatici, dal titolo “Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi” e “Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi” tra le repliche punto per punto ce n'è uno dal titolo illuminante e quasi ironico: “Una costituzione (quella italiana, nda) assolutamente meravigliosa”, dove si contesta la grandissima considerazione che ne aveva la direzione del PCI, che la riteneva capace di rendere liberi gli uomini e le donne e di produrre chissà quale democrazia. I revisionisti togliattiani ne avevano quasi un culto, così come oggi gran parte delle formazioni anticapitaliste e degli intellettuali democratici.
L'editoriale apparso a febbraio 1963 su “Bandiera rossa” afferma: “Ma come può un marxista-leninista prendere per realtà queste frasi altisonanti scritte in una costituzione borghese? Vi sono 139 articoli nell’attuale Costituzione italiana. Ma, in ultima analisi, la sua natura di classe è più chiaramente rappresentata dall’articolo 42, il quale prevede che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”; tenendo presente la realtà dell’Italia questo articolo garantisce la proprietà privata della borghesia monopolista. In virtù di questa clausola, la Costituzione soddisfa le esigenze dei capitalisti monopolisti, poiché la loro proprietà privata è resa sacra e inviolabile. Cercare di nascondere la vera natura della Costituzione italiana e parlarne in termini superlativi è solo ingannare se stessi e gli altri. Togliatti e altri compagni dicono che la Costituzione italiana “reca l’impronta di questa presenza della classe operaia”, afferma “il principio della sovranità popolare” e “assegna nuovi diritti ai lavoratori” . Quando parlano di questo “principio” e di questi “nuovi diritti”, perché non fanno un paragone tra la Costituzione italiana e le altre costituzioni borghesi, prima di trarre una conclusione? Si dovrebbe sapere che la clausola concernente “la sovranità popolare”, si trova in quasi ogni costituzione borghese sin dalla pubblicazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo della rivoluzione borghese in Francia nel 1789 e non è una peculiarità particolare della Costituzione italiana. 'La sovranità popolare” era una volta uno slogan rivoluzionario di cui si serviva la borghesia per opporsi a l’Etat, c’est moi (lo stato sono io nda) dei signori feudali. Ma dopo l’instaurazione del dominio borghese, questa clausola è diventata una frase vuota nelle costituzioni borghesi per nascondere la dittatura borghese. Si dovrebbe sapere che la Costituzione italiana non è l’unica costituzione che preveda 'libertà e diritti civili'. Disposizioni di questo genere si trovano in quasi tutte le costituzioni dei paesi capitalisti. Ma dopo aver affermato libertà e diritti civili, alcune costituzioni proseguono con disposizioni che li restringono o li cancellano. Come Marx disse della Costituzione francese del 1848: “
Ciascun articolo contiene la propria antitesi: si annulla completamente
”(
Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, nda). Ci sono altre costituzioni in cui gli articoli non sono accompagnati da provvedimenti che li restringono o li cancellano, ma i governi borghesi possono ben raggiungere lo stesso scopo con altri mezzi. La Costituzione italiana appartiene alla prima categoria; in altri termini, essa è senz’altro una costituzione evidentemente borghese e non può essere in nessun modo descritta come una costituzione “di ispirazione fondamentalmente socialista”. Lenin disse: “Quando le leggi si allontanano dalla realtà, la costituzione è falsa; quando esse sono conformi alla realtà, la costituzione non è falsa”. L’attuale Costituzione italiana ha ambedue questi aspetti: “è falsa” e “non è falsa”. “Non è falsa” negli elementi essenziali quali la protezione aperta degli interessi della borghesia ed “è falsa” nelle frasi altisonanti destinate a ingannare il popolo”.
Che aggiungere a questa analisi fatta di concetti e parole semplici ma allo stesso tempo pungenti e chiare, perfettamente attuali ai nostri giorni? Possiamo solo aggiungere che la Costituzione del 1948 non esiste più perché è stata manomessa più volte da destra con la complicità e il concorso della “sinistra” borghese, e sarà interamente distrutta se passeranno il presidenzialismo e l’autonomia differenziata regionale. Comunque né la costituzione originale né quella manomessa, nelle quali si riconosce apertamente il partito neofascista Fratelli d’Italia della Meloni, sono condivise dal PMLI, anche se è utile utilizzare quegli articoli che giovano alla lotta di classe e alla difesa dei diritti delle masse popolari. Fin dalla sua nascita il PMLI ha lavorato instancabilmente per convincere il proletariato italiano a respingere le illusioni costituzionali sparse dai revisionisti, a non riporre la fiducia nella Costituzione, nel parlamentarismo, nell'elettoralismo nel riformismo e nel pacifismo. Nel già citato Editoriale il compagno Scuderi afferma: “C'è una questione molto importante, fondamentale, che è completamente assente nel dibattito politico. È la questione del potere politico, la madre di tutte le questioni. I partiti del vigente regime capitalista neofascista non hanno alcun interesse a parlarne perché a costoro sta bene che al potere ci sia la borghesia. L'unico partito che ha interesse a parlarne è il PMLI, il cui compito generale è quello di guidare il proletariato, la classe delle operaie e degli operai, alla conquista del potere politico”
.
Come rileva Mao “il risveglio politico del popolo non è una cosa facile. Per eliminare le idee errate diffuse fra il popolo, dobbiamo fare seri e considerevoli sforzi
”(10). Considerando le nostre attuali forze, l’opera nefasta, confusionaria e depistante delle varie forze che si richiamano al comunismo, il frastuono della propaganda riformista, il ferreo silenzio stampa che vige sul PMLI, non è facile convincere le operaie e gli operai a rivoluzionare la propria testa e pratica sociale armandosi del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e agire di conseguenza.
Ciononostante dobbiamo fare bene tutto quanto ci è possibile. Non il minimo ma il massimo concentrandosi sul lavoro locale e nel proprio luogo di lavoro o di studio, senza soluzione di continuità. Alla fine aumentando le nostre forze grazie a questo lavoro e inasprendosi le contraddizioni e i conflitti di classe, riusciremo a far prendere coscienza al proletariato di essere una classe per sé, non solo in sé, il cui compito fondamentale è cacciare dal potere la borghesia con la forza e prenderne il posto come classe dominante, cambiando radicalmente la società, nella struttura e nella sovrastruttura. Comprendendo che senza potere politico il proletariato non ha niente.
Il PMLI è disponibile ad allearsi con tutte quelle forze che combattono il capitalismo e vogliono il socialismo. A questo proposito abbiamo invitato i partiti con la bandiera rossa ad aprire una grande discussione pubblica e privata per elaborare un progetto comune sul socialismo con il proletariato al potere. I primi nostri tentativi non sono andati a buon fine, anche per le diverse posizioni sulla guerra in Ucraina. Secondo noi questo non dovrebbe pregiudicare l'unità d'azione sugli altri temi, primo fra tutti la lotta al governo neofascista presieduto dalla Meloni. In ogni caso ribadiamo che il PMLI è al fianco della Resistenza ucraina e contro l'aggressore russo. Lo siamo fin da quando il nuovo zar Putin ha scatenato l'invasione dell'Ucraina puntando direttamente su Kiev e sul rovesamento del governo Zelensky per sostituirlo con uno fantoccio manovrato da Mosca.
La nostra è una posizione antimperialista classica. Quando appoggiamo un Paese aggredito non guardiamo alla natura di classe del suo Stato e del suo governo valutiamo solo se ha ragione o torto, indipendentemente di chi sono i suoi alleati. Poiché Zelensky ha il sostegno degli ucraini è legittimato a governare il suo Paese e a guidare la guerra di liberazione dell’Ucraina. Questo non vuol dire che accettiamo tutte le sue posizioni come quella del cosiddetto Holodomor, le morti per fame causate dalla carestia e dai Kulaki che si opponevano alla collettivizzazione dell’agricoltura dell’Ucraina. Posizione assunta all’unanimità, salvo qualche eccezione personale, dal parlamento italiano. Un falso storico per screditare l’Urss di Stalin.
Comunque la questione principale, su cui dobbiamo attirare l’attenzione delle masse, degli antimperialisti e dei sinceri pacifisti, non certo quelli fasulli de “Il Fatto” di Travaglio, Putin e Conte, è che Zelensky è fermamente intenzionato a portare fino in fondo la liberazione dell’Ucraina, respingendo ogni tentativo, palese o occulto, in buona o cattiva fede, interno e esterno all’Ucraina, teso a condizionarlo e a fare delle concessioni alla Russia a scapito dell’integrità dell’Ucraina. Certo è che egli è riuscito a fare accettare al G7, alla Nato e alla Conferenza internazionale di Gedda sulla pace la sua “Formula di pace”, e su questa base combatte politicamente, diplomaticamente e con le armi affinché l’Ucraina sia libera, indipendente, sovrana e integrale.
La direzione nazionale putiniana del Partito dei Carc ha attaccato più volte il PMLI cercando di isolarlo perché siamo a favore dell’invio delle armi all’Ucraina da parte dell’Italia. In realtà non è questo il motivo, il vero motivo è che essa è a favore dell’aggressore russo. Per questo non può tollerare che in Italia ci sia un partito marxista-leninista che la contraddice, che sia a favore dell’Ucraina e che abbia smascherato i putiniani con la bandiera rossa.
All’inizio della guerra di aggressione russa, il PMLI era contrario all’invio delle armi all’Ucraina, ma di fronte ai crescenti crimini di guerra di Putin e all’avvio della controffensiva dell’Ucraina per liberare le proprie regioni occupate dall’invasore non era più possibile sostenere la vecchia posizione che diventava contraddittoria con la nostra decisione di sostenere l’Ucraina. Bisognava rispondere concretamente alle pressanti richieste dell’Ucraina di avere più e più potenti armi per l’efficacia della controffensiva. Ed è quello che abbiamo fatto, pur sapendo che ciò sarebbe costato un ulteriore sacrificio al già martoriato popolo italiano, Non potevamo fare a meno di rispettare l’aiuto internazionalista proletario che vale qualsiasi sacrificio perché è nell’interesse della causa antimperialista di tutti i popoli del mondo. A questo spirito dobbiamo educare il popolo italiano. Lasciando agli imbroglioni politici e sindacali strumentalizzare i sacrifici delle masse per la guerra in Ucraina.
Per la direzione nazionale del Partito dei Carc la responsabilità della guerra in Ucraina è degli Stati Uniti e della Nato, e la Russia e la Cina non sono dei paesi imperialisti. I fatti però la smentiscono. Putin vuol restaurare l’impero zarista. E la Cina della cricca borghese, revisionista e socialimperialista di Xi Jinping vuole prendere il posto dell’imperialismo americano per dominare il mondo, a rischio di una guerra mondiale imperialista.
Quello che viene definito “socialismo con caratteristiche cinesi” non è altro che capitalismo con caratteristiche cinesi, dove i lavoratori sono brutalmente sfruttati, ancor più che nei paesi imperialisti dell’Occidente.
Il PMLI è contro l'imperialismo americano, che a tutt'oggi è quello egemone, contro la Nato imperialista, contro la UE imperialista, così come è contro l'imperialismo dell'Est, ovvero quello di Cina e Russia, oltre ovviamente contro l’imperialismo di casa nostra che non va sottovalutato e ci interessa direttamente.
Il governo neofascista Meloni
Il governo Meloni è il nemico politico principale del proletariato e delle masse popolari, femminili e giovanili. Non è “un governo inadeguato”, come sostengono i partiti della “sinistra” borghese. I fatti dimostrano che è un governo neofascista il cui principale partito, Fratelli d’Italia, è l’erede diretto del Movimento sociale italiano. Esso va combattuto con determinazione, non solo in parlamento, e abbattuto dalla piazza creando “contro il governo Meloni, almeno nella pratica, un fronte unito più ampio possibile composto dalle forze anticapitaliste, a cominciare da quelle con la bandiera rossa, dalle forze riformiste e dai partiti parlamentari di opposizione. Senza settarismi, pregiudizi ed esclusioni. Deve contare solo l'opposizione a questo governo”
. Questo è l'appello contenuto nel documento del CC del PMLI che è stato lanciato il 25 ottobre, poche ore dopo l'insediamento del nuovo governo.
Questo governo conclude la marcia su Roma elettorale iniziata dal Movimento sociale italiano (MSI) fondato dal fucilatore dei partigiani Giorgio Almirante. La marcia insurrezionale di Mussolini del 28 ottobre 1922 fu premiata dal re Vittorio Emanuele III. Quella elettorale non è stata ostacolata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal premier uscente Mario Draghi, che anzi hanno protetto, consigliato e aiutato la Meloni. In entrambe le marce i partiti della “sinistra” borghese hanno fatto sostanzialmente da spettatori. E così sono saliti al potere ieri i fascisti e oggi i neofascisti. A chi obietta che con il fascismo si usava il manganello, si bruciavano le sedi sindacali e dei partiti antifascisti e gli oppositori dovevano scappare all'estero, rispondiamo che i manganelli vengono già usati contro i lavoratori e le masse in lotta, mentre le sedi degli oppositori iniziano ad essere assalite e devastate, vedi quella nazionale a Roma della CGIL.
Il neofascismo di oggi non si presenta con le stesse forme del fascismo di Mussolini: il capo è donna, non mette le mani sui fianchi e non mostra la mascella in fuori, non fa il saluto romano, e le camicie nere non vengono indossate nelle sedi istituzionali. Ma è innegabile che esso intende completare il regime capitalista neofascista col presidenzialismo e il federalismo. Un regime progettato dalla loggia massonica P2 di Licio Gelli nel 1975, un disegno denunciato dal PMLI fin fal primo momento, sostenuto dai governi Craxi nel 1987 e instaurato dal governo Berlusconi nel 1994. E via via realizzato dai governi Amato, Prodi, D'Alema, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi. Vi hanno contribuito il PRC di Armando Cossutta e di Fausto Bertinotti e il Partito dei comunisti italiani di Diliberto e del rossobruno Marco Rizzo, che sono stati al governo nel 2006.
L'elenco sui misfatti di questo governo, nonostante non sia passato neanche un anno dal suo insediamento, è lunghissimo, ne citiamo solo i principali. Sul fronte economico, pur dovendo tenere di conto delle regole dettate dall'Unione Europea, il governo non rinuncia a portare avanti i suoi specifici obiettivi: la guerra ai poveri col taglio del Reddito di cittadinanza, la repressione come unica risposta alle drammatiche condizioni sociali, economiche e giovanili delle periferie urbane trattate come una questione di ordine pubblico con il “decreto Caivano”, l’attacco alle masse lavoratrici attraverso la reintroduzione dei voucher, il sistema fiscale che favorisce gli evasori e i ricchi, l'incremento della flat tax per autonomi e professionisti, la miriade di condoni e agevolazioni fiscali per evasori e speculatori finanziari, il taglio dell'indicizzazione alle pensioni medio-basse, i tagli di fatto, anziché gli aiuti promessi, alla sanità e alla scuola, il via libera all’inutile e pericoloso faraonico ponte di Messina, il nuovo codice degli appalti, che con la sua liberalizzazione favorisce la corruzione. In coerenza con la dichiarazione programmatica della Meloni: “il nostro motto sarà: non disturbare chi vuole fare”, cioè i capitalisti.
Va avanti con la fascistizzazione del nostro Paese sul piano ideologico e culturale e su quello istituzionale. Il ministro Valditara invece di condannare le aggressioni fasciste agli studenti ha minacciato i presidi e i professori antifascisti, ha messo all'indice i docenti che fanno vedere film che criticano il Ventennio fascista, e vuole militarizzare la scuola riesumando il vecchio motto fascista “libretto e moschetto fascista perfetto”. L'ex direttore di Rai 2 Sangiuliano sta trasformando il ministero della Cultura nel Minculpop
di mussoliniana memoria, riesumando figure culturali del fascismo nel tentativo di dare spessore intellettuale alla destra neofascista. Inoltre citiamo la guerra ai migranti, emblematica la strage di Cutro, il comportamento del presidente del Senato, il fascista La Russa che, tra le altre cose, si è sostituito ai giudici assolvendo suo figlio dall'accusa di violenza sessuale e incolpando la ragazza che lo ha denunciato. La Russa e la stessa Meloni che esaltano l’MSI di Almirante, attaccano la Resistenza, sminuiscono le atrocità del nazismo e rivalutano il fascismo, mentre il ministro e compare di partito della Meloni, Lollobrigida, è arrivato a invocare il blocco dei migranti per “conservare la purezza della razza” contro “la sostituzione etnica” allo stesso modo di Hitler e Mussolini.
Infine, ma non per importanza, ci sono tre provvedimenti tipicamente fascisti. La controriforma della giustizia firmata dal ministro Nordio, che è stata anticipata e dedicata a Berlusconi, cogliendo al balzo il clamore suscitato ad arte dal circo mediatico a reti e giornali unificati dopo la morte del piduista e pluripregiudicato. Una “controriforma” che riprende e copia i tentativi fatti da Berlusconi e dai suoi uomini per assoggettare la magistratura al governo. I punti principali sono: separazione delle carriere tra Giudici e Pubblico Ministero, abolizione del reato di abuso d'ufficio, il ridimensionamento del concorso in associazione mafiosa e del reato di traffico di influenze illecite, la stretta sul diritto all'informazione e il giro di vite sulle intercettazioni che vengono pesantemente limitate.
L'autonomia differenziata di fatto decreta la secessione delle regioni più ricche del nostro Paese da quelle più povere, regionalizzando i poteri su 23 importanti materie, a partire dalla sanità, dalla scuola, dalla gestione dei beni ambientali e dalla cultura allargando il divario territoriale tra i vari servizi sanitari, differenziando i programmi scolastici, facilitando l'aggiramento dei vincoli ambientali e aprendo ampi varchi alla diversificazione dei contratti nazionali di lavoro per diversi settori lavorativi. Una autonomia che ha preso corpo grazie alla “riforma” del titolo V della Costituzione approvata dal governo di “centro-sinistra” e che fino a ieri aveva visto schierati a suo favore tanti esponenti del PD, a partire dal governatore dell'Emilia-Romagna Bonaccini.
Il provvedimento più importante è il presidenzialismo. Meloni nel suo discorso di insediamento, ha dichiarato: “La repubblica presidenziale è una delle mie priorità, che mi do come obiettivo quello di riformare le istituzioni di questa nazione in questa legislatura. È un obiettivo al quale io tengo particolarmente”
. Successivamente ha detto che preferisce arrivare al presidenzialismo in maniera “condivisa”, per esempio con una nuova Bicamerale. Ma se ciò non dovesse accadere, la maggioranza avrà i numeri per arrivarci da sola, ha minacciato, pensando evidentemente ai voti già offerti da Renzi e Calenda.
In politica estera l’ambizione più grande di questo governo è avere la centralità dell’Italia nel Mediterraneo e in Africa. Ha già ricevuto l’appoggio di Biden nell’incontro con Meloni alla Casa Bianca.
L’Italia imperialista non è una superpotenza ma ha un grosso peso economico, politico e diplomatico a livello mondiale. Comprovato dalla sua appartenenza al G7. Meloni vuole aumentare questo peso. Da qui l’iniziativa della Conferenza internazionale sullo sviluppo e l’immigrazione a Roma e la visita ai Paesi dell’ Africa, non hanno avuto solo lo scopo di ricercare accordi per fermare i migranti, facendo fare da carcerieri e aguzzini per conto dell'Italia e della UE ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La Meloni e il suo governo stanno rilanciando l'imperialismo italiano che, da Crispi a Giolitti a Mussolini, ha nel bacino del Mediterraneo, nel Corno d'Africa, nella penisola Balcanica e nel Medio oriente le sue direttive storiche. In pratica un nuovo colonialismo mascherato da cooperazione, che si esplicita con la presenza di militari e imprese italiane, a volte in posizione subordinata rispetto ad altri paesi imperialisti come accade o accadeva in Niger e in altri Paesi del Shael rispetto alla Francia, altre volte in posizione dominante come in Kossovo, quasi sempre sotto il cappello di Onu e Nato. I militari italiani all'estero variano dai 7 ai 12mila effettivi impiegati in ben 55 “missioni”, con i contingenti più numerosi in Kossovo, Bosnia, Libano e Iraq, un costo annuo previsto per il 2023 di 1,7 miliardi di euro.
Noi marxisti-leninisti per quanto rientra nelle nostre forze e possibilità faremo di tutto per contrastare il governo neofascista Meloni. A partire dai temi più urgenti che stanno più a cuore al proletariato e alle masse lavoratrici, pensionate e popolari, ossia il lavoro, i salari e le pensioni, la sanità, la scuola pubblica, il fisco, il carovita, la violenza di genere. Continueremo a opporci al revisionismo storico teso a riscrivere la storia a livello internazionale e nazionale. Un'operazione che trova il consenso e la connivenza della “sinistra” borghese, dai riformisti ai trotzkisti. Ci riferiamo all'equiparazione nazismo-comunismo, alla riesumazione di vecchi dossier e cavalli di battaglia dei fascisti come l'Holodomor, i cosiddetti patti segreti tra Hitler e Stalin, le foibe, le presunte crudeltà e gli eccidi dei partigiani rossi. Ci riferiamo ad esempio alle dichiarazioni di poche settimane fa dell' ex portavoce del governatore Rocca del Lazio, il fascista ed ex terrorista nero Fabrizio De Angelis, che ha negato la matrice neofascista della strage di Bologna del 2 agosto 1980, difeso dalla Meloni ma poi costretto alle dimissioni dall'indignazione generale.
Come abbiamo già detto questo governo va spazzato via. Così come qualsiasi altro governo che non distrugga il capitalismo fonte di tutti i mali politici, economici, sociali e culturali. La lotta di classe non deve arrestarsi, quello che occorre strategicamente è cambiare il sistema economico, lo Stato e la classe dominante, abolire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, le classi, le disuguaglianze sociali e di sesso, le disparità territoriali e tra città e campagna, dare il potere al proletariato. Questo si chiama socialismo. Per instaurare il socialismo bisogna abbattere il capitalismo e questo non cade da solo né tanto meno lo si fa cadere con una croce sulla scheda elettorale. Lo si abbatte con la lotta di classe, con la rivoluzione proletaria, e dando tutta la propria forza intellettuale, morale e fisica al Partito del proletariato, ossia al PMLI.
Il proletariato prima o poi lo capirà attraverso il lavoro paziente, perseverante, determinato, tranquillo e lungimirante del Comitato centrale, dell’Ufficio politico, delle Commissioni centrali, della Direzione e della Redazione centrale e dei collaboratori e corrispondenti de “Il Bolscevico” e dei valorosi, preziosi e insostituibili compagne e compagni, membri e simpatizzanti attivi del PMLI. Con la certezza che gli sviluppi delle contraddizioni e dei conflitti di classe aiuteranno questo nostro titanico lavoro, che non ha precedenti simili nel movimento operaio italiano, e non solo.
Lanciamo un accorato appello a tutti coloro che vogliono seguire le orme di Mao e degli altri Maestri a prendere rapidamente posto di combattimento nel PMLI per rafforzarlo e per dargli la forza necessaria ad adempiere gli obiettivi che si è posto fin dalla sua nascita.
Ci rivolgiamo a tutti gli anticapitalisti e a tutti i rivoluzionari e rivoluzionarie, in primo luogo però ci rivolgiamo alle figlie e ai figli migliori, più avanzati e più combattivi del proletariato, che devono costituire la testa e l'ossatura portante del PMLI, e alle ragazze e ai ragazzi che lottano per un mondo nuovo e che abbiano gli stessi sentimenti, la stessa determinazione e la stessa tempra dei coetanei che hanno fondato il PMLI e sono ancora fedeli alla causa.
Sappiamo che sulle loro spalle portano il peso, la responsabilità e la gioia dell’avvento del socialismo in Italia. Che riflettano sulla seguente importantissima e fondamentale citazione di Mao e ne traggano le dovute conseguenze “Nell’epoca presente dello sviluppo della società la storia ha posto sulle spalle del proletariato e del suo partito la responsabilità della giusta conoscenza e della trasformazione del mondo… La lotta del proletariato e dei popoli rivoluzionari per la trasformazione del mondo comporta la realizzazione dei seguenti compiti: trasformazione del mondo oggettivo e nello stesso tempo, trasformazione del proprio mondo soggettivo – trasformazione delle proprie capacità conoscitive e trasformazione dei rapporti esistenti tra il mondo soggettivo e il mondo oggettivo.. il mondo oggettivo che deve essere trasformato include anche tutti gli avversari della trasformazione, essi dovranno passare per la fase della trasformazione forzata prima di poter entrare in quella della trasformazione cosciente. L’epoca del comunismo mondiale sarà raggiunto quando l’umanità intera arriverà alla cosciente trasformazione di se stessa e del mondo”
(11).
Onore e gloria a Mao!
Con Mao per sempre, contro il capitalismo per il socialismo e il potere politico del proletariato!
Viva il proletariato!
Viva le lavoratrici e i lavoratori!
Buttiamo giù il governo neofascista Meloni!
Avanti con forza e fiducia sulla via dell’Ottobre verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI, uniti sulla linea del PMLI vinceremo!
Note
1. Mao, Una conversazione dell'11 maggio 1964.
2. Mao, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949, Opere scelte, vol. 4.
3. Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, 27 febbraio 1957.
4. Lenin, Ancora sui sindacati, sulla situazione attuale e sugli errori di Trotsky e di Bucharin. Pubblicato in opuscolo a Mosca nel 1921, Opere complete, v. 32.
5. Mao, in Mao e la lotta del PMLI per il socialismo, pag. 168.
6. Lenin, Estremismo, malattia infantile del comunismo, 1920, Op. complete, vol. 25.
7. Gramsci, Quaderni del carcere.
8. Benedetto Croce, Pagine sparse, volume secondo.
9. G. Scuderi, 46° Anniversario della fondazione del PMLI, La questione del potere politico, Il Bolscevico, 3 aprile 2023.
10. Mao, La situazione e la nostra politica dopo la vittoria nella guerra di resistenza contro il Giappone, 13 agosto 1945, opere scelte vol. 4.
11. Mao, Sulla pratica, luglio 1927, Opere scelte, vol. 1, pp. 326-327.
13 settembre 2023