Critica alla parola d'ordine e alla piattaforma della Cgil per la manifestazione nazionale del 7 ottobre
“La via maestra, insieme per la Costituzione” non può essere quella del proletariato, degli sfruttati e degli oppressi
La Cgil ha indetto per il 7 ottobre una grande manifestazione nazionale a Roma sui diritti delle masse lavoratrici e pensionate: per il lavoro, contro la precarietà, per il contrasto alla povertà, per l’aumento dei salari e delle pensioni, per la sanità e la scuola pubblica, per la tutela dell’ambiente, per la difesa e l’attuazione della Costituzione contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della Repubblica parlamentare in favore di quella presidenziale e federalista. Nel frattempo è stata lanciata una consultazione tra i lavoratori dove si chiede il sostegno alla piattaforma sindacale e alla mobilitazione. I temi sono importanti, però siamo ancora alle iniziative di sabato, e lo sciopero si allontana.
Basta aspettare, sciopero subito
È passato quasi un anno dall'insediamento del governo neofascista Meloni. Le critiche che le sono piovute addosso hanno la provenienza più disparata. Hanno fatto la voce grossa le associazioni dei consumatori di fronte agli aumenti delle bollette e al carovita, mentre le opposizioni parlamentari, seppur con intenti elettoralistici e strumentali ai loro interessi, hanno messo nel mirino le decisioni del governo che hanno ulteriormente aggravato le condizioni dei lavoratori e delle masse popolari e criticato la sua politica economica e sociale, oltre alle sue iniziative reazionarie che intendono limitare i diritti civili. Persino i rappresentanti padronali a Cernobbio hanno sottolineato come il governo debba fare qualcosa per sostenere i salari a fronte di una realtà che vede “In Italia gli stipendi più bassi”.
I sindacati di base si sono posti subito all'opposizione del governo Meloni tanto da indire uno sciopero già il 2 dicembre dello scorso anno, a poche settimane dal suo insediamento e dopo l'annuncio delle misure contenute nella Manovra di Bilancio varata dal Consiglio dei Ministri. Gli stessi esponenti del nuovo esecutivo davano per scontato che nel breve periodo la Cgil facesse lo stesso, e fin dal primo momento hanno evocato “il solito sciopero preventivo”. Paradossalmente invece il più grande sindacato italiano, quello che storicamente si pone a sinistra nella triade dei Confederali e dove si raccoglie la maggioranza della classe operaia italiana, ha preso tempo chiedendo ripetutamente un tavolo di trattativa al governo “congelando” la mobilitazione.
A dir la verità in un primo momento la Cgil non è stata con le mani in mano anche perché la Finanziaria del Governo destinava solo pochi spiccioli alle masse lavoratrici e popolari mentre era spudoratamente sbilanciata in favore delle imprese, dei redditi più alti e degli evasori fiscali. Dal taglio al reddito di cittadinanza alla mancata indicizzazione delle pensioni, al mancato finanziamento dei contratti dei lavoratori del settore pubblico al taglio della spesa per scuola e sanità, all'estensione della flat tax per gli autonomi, ai condoni per gli evasori e alle agevolazioni fiscali per i capitalisti. Tanto che Cgil e Uil (la Cisl si dichiarò subito soddisfatta della manovra) a dicembre dello scorso anno misero in campo su tutto il territorio nazionale una serie di scioperi regionali di 4 ore (in alcuni casi di 8).
Ma quello fu presentato come l'inizio, a cui sarebbe seguito lo sciopero generale nel caso il governo non avesse dato risposta sui temi posti dai sindacati. Ma ad oggi, a settembre 2023, a parte lo sciopero dei metalmeccanici della Fiom, non c'è stata quella continuità annunciata. Alla Cgil e agli altri sindacati il governo ha sì concesso di sedersi attorno a un tavolo, ma se ne è servito solo per fare propaganda in suo favore senza che nessuna delle rivendicazioni poste dai rappresentanti dei lavoratori fosse presa minimamente in considerazione. Se le cose stanno così, che senso ha ripartire da una consultazione che chiede alle lavoratrici e ai lavoratori se sono d'accordo nel sostenere la piattaforma sindacale, fino allo sciopero generale, “Se necessario”?
Non siamo certo contro l'esercizio della democrazia, siamo i primi a rivendicarlo, ma a questo punto lo sciopero è più che necessario, senza se e senza ma. Visto che, com'era prevedibile, il governo ha proseguito imperterrito per la sua strada, la mobilitazione doveva essere già avviata e sostenuta da tempo, già la data del 7 ottobre è in ritardo per uno sciopero che doveva essere già stato indetto, figuriamoci per una manifestazione di sabato. Se Landini e il gruppo dirigente della Cgil fossero in sintonia con i lavoratori, in questo caso non avevano nessuna necessità di chiedere la loro approvazione. Sembra invece che la decisione sia ancora in bilico e si chieda la “certificazione” dei lavoratori. E in questo modo è stata presentata la consultazione, come un sì o un no allo sciopero, anche se poi, nel caso molto probabile prevalga il sì, c'è sempre quel “se necessario” che lascia la porta aperta a un ulteriore rinvio.
Linea incerta e inadeguata
Riteniamo la condotta di Landini del tutto inadeguata e inconcludente rispetto all'emergenza che stanno vivendo le lavoratrici e i lavoratori, i precari, i pensionati, penalizzati dal carovita, da salari e pensioni da fame, dalla privatizzazione dei servizi, a partire da quello sanitario. Una condotta rinunciataria e capitolarda che fa perdere alla Cgil ulteriore credibilità tra coloro che dovrebbe rappresentare, alla ostinata ricerca della concertazione con il governo che si beffa dei sindacati e dell'unità a tutti i costi con Uil e sopratutto Cisl che non ne vuol sapere di scendere in piazza. Insomma, si intravede all'orizzonte uno scenario che abbiamo già vissuto con i governi Conte II e Draghi, con scioperi generali a fine anno che rimangono isolati, quasi di testimonianza, e che non portano ad alcun risultato concreto per i lavoratori.
La stessa piattaforma sindacale è molto articolata, anche troppo. Le richieste, anche quelle condivisibili, riguardano un ampio spettro di questioni, che sembrano più il programma di un partito riformista che le rivendicazioni di un sindacato che sta per dichiarare uno sciopero generale, che per avere efficacia devono essere chiare, concise e convincenti. Anche il tono è istituzionale: anziché avanzare precise e stringenti richieste e attaccare il governo, che nella piattaforma non viene neanche nominato, si “porta all'attenzione” la “necessità di convocare un incontro con le parti sociali comparativamente più rappresentative”.
Entrando nel merito ci sono anche dei punti su cui non siamo assolutamente d'accordo. A partire dal salario minimo per legge che per noi dovrebbe essere sancito per via contrattuale. Una rivendicazione che tra l'altro non è conseguente con l'operato concreto dei sindacati confederali, Cgil compresa, che hanno firmato svariati contratti nazionali che prevedono una paga oraria ben al di sotto del salario minimo richiesto e proposto a 9 euro. L'ultimo esempio è il contratto nazionale dei lavoratori degli istituti di vigilanza firmato pochi mesi fa che non raggiunge nemmeno i 6 euro l'ora.
Anche continuare a sostenere la decontribuzione, al posto di aumenti sui minimi tabellari, così come la previdenza e la sanità complementare come fa la Cgil, è in conflitto con la successiva richiesta di avere maggiori finanziamenti per le pensioni e la sanità perché è evidente che se si riducono le entrate e si dirottano le risorse verso il privato tutto ciò va a discapito del pubblico. Non c'è neppure la richiesta della cancellazione della legge Fornero ma solo la sua modifica, il Jobs Act non viene mai nominato. Ai padroni e al governo si chiedono aumenti adeguati all'inflazione, allo stesso modo viene chiesto un adeguamento sulle detrazioni da lavoro e da pensione (il cosiddetto fiscal drag), ma non si ha il coraggio di chiedere la reintroduzione di un meccanismo universale di recupero realmente efficace come la scala mobile.
La costituzione non è “la via maestra”
C'è poi un altro punto, che per l'importanza che riveste noi lo mettiamo al primo posto. Ci riferiamo allo slogan “La via maestra insieme per la costituzione”, che poi è la stessa parola d'ordine utilizzata per la manifestazione del 7 ottobre a Roma. In sostanza si ripropone la vecchia tesi dei riformisti e dei revisionisti per i quali la Costituzione italiana può dispensare benessere e giustizia sociale per tutti. Nel documento sindacale si legge: “Applicare la costituzione significa, per la Cgil, battersi concretamente per rimuovere gli ostacoli che impediscono l'uguaglianza e la partecipazione di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori alla vita politica, economica e sociale del nostro Paese (art.3)”, a cui segue l'elenco di tutta una serie di diritti, come quello al lavoro e a una retribuzione dignitosa, alla salute, alla tutela dell'ambiente, a un fisco progressivo eccetera che la Costituzione garantirebbe. Inoltre il documento si richiama alla Costituzione per esprimere contrarietà all'autonomia differenziata, al presidenzialismo e alla separazione delle carriere dei magistrati. Ma un conto è l'opposizione alla modifica in senso reazionario e fascista della Costituzione, battaglia che vede schierato in prima fila anche il PMLI, altra cosa è illudere le masse lavoratrici che applicando la costituzione del 1948 si possano eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche e tanto meno assicurare loro un “peso” nella società italiana, adeguato al ruolo centrale che essi hanno in quanto produttori di tutta la ricchezza del Paese.
La Cgil la definisce una “Costituzione democratica e antifascista nata dalla lotta di resistenza”, ma come abbiamo ribadito alla recente commemorazione di Mao svoltasi a Firenze il 10 settembre: la nostra “non è la Costituzione più bella del mondo”, non è neppure tra le più avanzate, non è nient'altro che una classica costituzione borghese che attraverso il riconoscimento e la salvaguardia della proprietà privata da parte delle leggi dello Stato garantisce il potere della borghesia e il sistema capitalistico. Questa “protezione” fa sì che le parole sulla sovranità popolare, l'uguaglianza, sui diritti dei cittadini e sui doveri delle imprese rimangano delle enunciazioni che poi non trovano un riscontro reale.
I partiti che si richiamavano al movimento operaio (Pci e Psi) potevano ottenere di più per il ruolo preponderante assunto nella Resistenza, ma in quella occasione e in quel contesto si doveva comunque raggiungere un compromesso tra le forze antifasciste. E tuttavia raggiunsero un compromesso tutto a favore della borghesia e del capitalismo. Inoltre il Pci, allora guidato da Togliatti, non ha considerato quella solo una prima tappa da cui sviluppare la lotta per il socialismo, ma l'approdo definitivo della politica del suo partito, riconoscendo la democrazia borghese come “valore universale” e la costituzione come la bussola e la cornice a cui ci si doveva attenere. Lo stesso discorso valse per la Cgil, con l'allora segretario Di Vittorio che tenne a freno la classe operaia italiana offrendo il sacrificio dei lavoratori sull'altare della ricostruzione post guerra e dell'unità nazionale.
Il proletariato inevitabilmente lotta per soddisfare i propri bisogni a medio e breve termine, deve contrapporsi al capitale altrimenti in breve tempo sarebbe di nuovo ridotto alla schiavitù più bestiale. Ma la “via maestra” per lemancipazione sua e degli altri sfruttati e oppressi non è certo quella dell'attuazione della costituzione borghese. A maggior ragione oggi che la Costituzione del 1948 non esiste più perché è stata manomessa più volte da destra con la complicità e il concorso della “sinistra” borghese, e sarà interamente distrutta se passeranno il presidenzialismo e l’autonomia differenziata regionale. Comunque né la costituzione originale né quella manomessa, nelle quali si riconosce apertamente il partito neofascista Fratelli d’Italia della Meloni, potranno mai dare al proletariato il potere politico, la madre di tutte le questioni.
Purtroppo ancora oggi partiti e organizzazioni di sinistra, persino alcuni che si dichiarano comunisti, sono appiattiti sulla democrazia borghese e hanno assunto come loro programma la Costituzione borghese. Come ha detto il compagno Scuderi in una conversazione con la direttrice responsabile de “Il Bolscevico”, compagna Monica Martenghi, “La Costituzione è la grande montagna che devono scalare i democratici e i progressisti guardando verso il socialismo e il PMLI, se vogliono davvero cambiare l’Italia”
, intendendo dire che se si rimane ancorati alla costituzione non vedremo mai all'orizzonte il socialismo. Non è la costituzione che assicura il progresso sociale (se inteso come l'emancipazione delle classi un tempo sfruttate), ma è merito dei conflitti sociali, della lotta di classe e delle rivoluzioni.
Parteciperemo alla manifestazione del 7 ottobre con la nostra linea e le nostre considerazioni, anche per non lasciare il proletariato e le masse in balia della borghesia e dei riformisti e per diffondere la nostra parola d'ordine strategica rivoluzionaria sulla questione del potere politico. Per quanto riguarda la consultazione in corso della CGIL, naturalmente i marxisti-leninisti voteranno SÌ allo sciopero generale, e dove possibile interverranno nel dibattito spiegando la necessità di proclamare subito lo sciopero generale e perché la Costituzione non può essere “la via maestra” dei lavoratori.
20 settembre 2023