Colpo di stato in Niger
Destituito il presidente Bazoum, alleato con l'imperialismo dell'Ovest
Russia e Cina pronti a contendere il continente africano a USA e UE. Attivismo dell’imperialismo italiano
 
Il colpo di stato in Niger, compiuto il 26 luglio scorso da un’influente unità d’élite dell’esercito, la Guardia presidenziale, di cui il presidente deposto Mohamed Bazoum aveva cercato negli anni di ridurre potere e influenza, ha rappresentato l’ennesimo colpo al dominio e all’ingerenza dell’imperialismo dell'Ovest in Africa, in particolare al neocolonialismo francese. I militari nigerini hanno motivato il golpe con la necessità di porre rimedio a una serie di problemi di sicurezza, economici e di corruzione nel paese: Bazoum è stato arrestato, sono stati chiusi i confini di terra, e il generale Abdourahmane Tchiani, il capo della Guardia presidenziale del Niger noto anche come Omar Tchiani, si è autoproclamato nuovo leader del paese del Sahel. Sostenitori del golpe hanno saccheggiato e incendiato la sede del Partito nigerino per la democrazia e il socialismo (PNDS-Tarayya), al potere fino al giorno prima, dopo essersi radunati nella capitale Niamey davanti alla sede dell’Assemblea Nazionale sventolando bandiere russe e gridando slogan contro i francesi. La notte successiva, una nota firmata dal Capo di Stato maggiore dell’esercito faceva sapere che l’esercito sostiene l’azione della Guardia Presidenziale con l’unico scopo di evitare spargimenti di sangue, impedire la destabilizzazione del Paese e salvaguardare l’incolumità del Presidente e della sua famiglia. Bazoum era prigioniero nella sua residenza, ma in buona salute. Ad accertarsene è stato Emmanuel Macron, che era riuscito a mettersi personalmente in contatto con lui. Lo riferiva la ministra degli esteri francese Catherine Colonna in una conferenza stampa nella quale offriva una “via d’uscita” ai golpisti qualora avessero accettato di negoziare con i francesi.

In caduta libera il vecchio impero francese
Con un accordo di cooperazione la Francia aveva recentemente inviato circa 1500 soldati in Niger, trasformandolo in uno degli hub aerei più importanti per le truppe francesi, costrette a trasferirvi l’anno scorso il proprio centro logistico dal Mali dopo il fallimento dell’operazione Barkhane a seguito del crescente sentimento anti francese della popolazione, accompagnato dall’aumento delle violenze nel Sahel.
L’ennesimo putsch, il settimo in Africa occidentale e centrale dal 2020, ha avuto un impatto notevole non solo nel paese ma in tutta la regione dell’Africa occidentale. Pochi giorni dopo, infatti, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), organizzazione di 15 stati africani presieduta da Bola Tinubu, il presidente della Nigeria, ha minacciato di intervenire militarmente in Niger per reinsediare il presidente Bazoum, deposto dai golpisti. In risposta, altri Stati africani, come Mali, Burkina Faso e Guinea, si sono detti pronti a intervenire in difesa della giunta militare responsabile del colpo di stato. Ci sono state interruzioni di corrente in diverse città dovute al blocco dei rifornimenti energetici da parte della Nigeria, enorme stato africano con cui il Niger confina a sud.
Fin da subito diversi governi imperialisti, che considerano Bazoum un leader affidabile e compatibile coi propri interessi nell’area, hanno iniziato a fare pressioni sulla giunta militare affinché restituisse il potere a Bazoum, definendo in vari modi il golpe un atto illegittimo e pericoloso per la stabilità del paese. Il presidente americano Biden nella sua dichiarazione del 3 agosto ha affermato che “In questo momento critico, gli Stati Uniti sono al fianco del popolo nigerino per onorare la nostra pluridecennale partnership radicata nei valori democratici condivisi e nel sostegno alla governance guidata dai civili. Il popolo nigerino ha il diritto di scegliere i propri leader. Hanno espresso la loro volontà attraverso elezioni libere ed eque, e questo deve essere rispettato. La difesa dei valori democratici fondamentali e la difesa dell’ordine costituzionale, della giustizia e del diritto di riunione pacifica sono essenziali per il partenariato tra il Niger e gli Stati Uniti”. Il 31 luglio il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov aveva sottolineato che "non va posta sulla stessa linea" la posizione di Mosca con quella dell’allora leader del gruppo neonazista Wagner Prigozhin che aveva espresso sostegno ai leader golpisti. "Siamo a favore del rapido ripristino dello stato di diritto nel Paese, chiediamo moderazione da parte di tutti i soggetti coinvolti e chiediamo che nessuno provochi vittime umane. Per questo auspichiamo che il Niger torni sul percorso costituzionale il prima possibile", aveva aggiunto il portavoce del Cremlino. Per il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, l’Europa “non può permettersi un confronto armato, non dobbiamo essere visti come dei nuovi colonizzatori”.
Di fatto l'intero centro Africa è terra contesa tra vecchi e nuovi imperialismi. Una contesa che investe lo scenario mondiale, gli equilibri di potenza tra i blocchi rivali, tanto più dopo l'aggressione neozarista russa dell'Ucraina. L'Africa è ormai da tempo il ventre molle dell'influenza imperialistica dell'Occidente. L'imperialismo francese in particolare ha visto la caduta libera del suo vecchio impero. I recenti golpe militari in Mali e Burkina Faso hanno accelerato questa caduta. L'attuale golpe in Niger è un ulteriore colpo di piccone a ciò che resta dell'eredità coloniale di Parigi. Ma è anche un colpo all'Unione Europea imperialista, che aveva scelto il Niger come avamposto in Africa lungo la linea di esternalizzazione delle frontiere contro i flussi migratori. Appena un mese fa Josep Borrell, quale Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, aveva visitato il Niger definendolo “un partner solido e affidabile”. Le ripetute crisi dei governi filoccidentali del Sahel hanno la loro radice nella disperata miseria sociale ed economica delle popolazioni, prodotta dal saccheggio imperialista, e oggi aggravata dai costi della guerra in Ucraina, a partire dalla scarsità di cibo e dall'impennata di prezzo dei cereali, cui si aggiungono i costi delle campagne destabilizzanti dello jihadismo, e dell'incremento corrispondente della presenza militare imperialista americana ed europea. Oltre sessanta anni di indipendenza formale, e dei cosiddetti aiuti per lo sviluppo e la cooperazione, non hanno assicurato alcun beneficio percepibile alle popolazioni povere del Niger e del Sahel. Hanno solo intensificato il loro sfruttamento. In particolare negli ultimi trent'anni, la presenza imperialista in Africa ha privatizzato ovunque tutto il privatizzabile a vantaggio delle rispettive aziende multinazionali. Anche i piccoli embrioni di welfare sono stati smantellati, a cominciare dai presidi sanitari e dall'istruzione. Un paese straricco di uranio come il Niger, con gigantesche riserve petrolifere, vede la maggioranza dei suoi abitanti priva di elettricità e sotto il livello minimo di sussistenza. Ecco i frutti dell'imperialismo e della “democrazia” borghese.

Le mani di Cina e Russia sull'Africa
Il vertice Russia-Africa svoltosi a San Pietroburgo negli stessi giorni che andava in scena il golpe militare in Niger ha confermato la convenienza dell'imperialismo russo a investire nel continente. Dalla cooperazione economica al coordinamento in sede ONU, alle forniture militari e al sostegno a regimi dittatoriali in cambio di contratti per lo sfruttamento di materie prime. La Russia di Putin ha offerto più volte una sponda alternativa di riferimento alle classi dominanti corrotte e corruttibili del Sahel. Una sponda innanzitutto militare, spesso garantita dalla protezione banditesca delle milizie Wagner in cambio di concessioni minerarie. Ma anche una sponda economica in termini di rifornimenti alimentari: il blocco militare del grano ucraino sul Mar Nero viene rimpiazzato da donazioni cerealicole russe, quale strumento di pressione per un cambiamento di alleanze. Di certo i golpe recenti in Mali e Burkina Faso hanno avuto uno sbocco filorusso. La Repubblica Centrafricana è esposta a una dinamica analoga. Il nuovo zar del Cremlino e criminale di guerra Putin sta giocando in Africa, anche in Sahel, una partita più vasta, per estendere influenza e relazioni. Non vuole comprometterla col sostegno affrettato a un golpe dall'esito incerto, malvisto da altri paesi corteggiati. Per Mosca è stato importante il vertice di San Pietroburgo di fine luglio a cui hanno partecipato delegazioni di ben 49 Stati africani su 54, per consolidare la cooperazione nel settore della Difesa dei paesi africani, per cui le armi russe costituiscono il 40% degli acquisti complessivi.
Nel frattempo i governi filorussi del Mali e del Burkina Faso si sono schierati coi golpisti nigerini, garantendo loro aiuto militare, se necessario. Quanto al nuovo governo golpista del Niger, non ha ancora scelto la propria collocazione perché sta trattando con diversi interlocutori, alla ricerca del miglior offerente, e deve ancora consolidarsi militarmente sul versante interno. Le manifestazioni antifrancesi, con sventolio delle bandiere russe, non configurano ancora una base d'appoggio sicura. Il socialimperialismo cinese è un altro attore di primo piano della crisi africana. Un attore già egemone economicamente sul continente in termini di controllo di risorse strategiche, in particolare delle terre rare (litio, cobalto, nichel, rame) che sorreggono la competizione mondiale nelle nuove tecnologie e nella cosiddetta transizione energetica. Dal 2013 l’Africa è attore della “Via della seta”, catalizzatore del socialimperialismo cinese nel mondo e dal 2017 a Gibuti è aperta la prima base navale dell’esercito di Pechino.
Tra Cina e Russia non senza contraddizioni, si realizza in Africa una sorta di divisione informale del lavoro. L'imperialismo russo offre prevalentemente protezione militare (ma non solo). Il socialimperialismo cinese compra a prezzi stracciati immense distese di terra africana da sussumere nel proprio sviluppo offrendo enormi investimenti infrastrutturali a debito. L'interesse comune sta nella capitalizzazione del declino imperialistico dell'Ovest. Il costo lo pagano le masse popolari e i proletari africani. La Cina da trent’anni investe in infrastrutture in Africa, al fine di ottenere sostegno diplomatico e prezzi agevolati per le risorse naturali. Oggi in Niger è seconda per investimenti, dopo la Francia. 40 imprese cinesi controllano gran parte delle raffinerie del paese del Sahel, mentre è in costruzione un mastodontico oleodotto lungo 2 mila chilometri verso il Benin.
Il sociaimperialismo cinese controlla interi comparti economici dei vari paesi africani. Concedendo crediti che finiscono per strangolarli economicamente, esportano tecnologie e uomini attraverso la costruzione di infrastrutture come linee ferroviarie e strade di grande comunicazione e combinata alla loro gestione diretta realizzata da tecnici e imprese cinesi.

L'imperialismo italiano e l'Africa
Anche all'interno dell'imperialismo dell'Ovest si giocano sull'Africa diverse partite. L'imperialismo italiano in particolare cerca un proprio spazio nella crisi dell'influenza francese. Il recente summit tra Italia, Arabia Saudita, Qatar e diversi governi africani ha visto non a caso la presenza statunitense, ma non quella francese e tedesca. L'Italia si offre come sponda affidabile all'imperialismo USA in funzione antirussa (e progressivamente anticinese) in cambio di un riconoscimento di ruolo per l'imperialismo italiano da parte americana. Il cosiddetto Mediterraneo allargato è caro alla politica estera meloniana. Mira ad estendere ai confini del Niger, dove è presente dal 2018 con la missione MISIN, con circa 300 soldati, l'area di interesse dell'Italia, anche a scapito della Francia. Serve non solo per bloccare le partenze dei migranti alla fonte ma anche per guadagnare posizioni chiave sul terreno economico ed energetico. L'ENI, non a caso, è la principale azienda del continente africano in termini di volume di capitale e di affari. La presenza militare italiana in Africa, Niger incluso, serve a rafforzare il peso contrattuale dell'Italia nella spartizione delle zone di influenza. Anche per questo il golpe militare in Niger è visto con particolare apprensione dal governo neofascista Meloni. Le masse popolari africane, la popolazione povera del continente, non hanno nulla da guadagnare da questa contesa imperialista sulla loro pelle. Tra i vecchi imperialismi e gli imperialismi nuovi non ci sono alleati possibili per le masse diseredate del continente. Né in Niger né altrove. Non si tratta di scegliere l'albero cui impiccarsi, ma di abbatterlo, liberando il continente da ogni retaggio coloniale o neocoloniale. Solo dei filoputiani prezzolati, come i dirigenti dei partiti con la bandiera rossa come PC, PCI, Carc e Rifondazione comunista potevano salutare i militari golpisti del Niger, del Gabon, Mali, Guinea o Burkina Faso come gli “alfieri dell’antimperialismo” o gli artefici “della rinascita dell’Africa”, mentre, a loro dire, l’Africa si sarebbe “alzata in piedi”. Essi di fatto perorano la causa dell’imperialismo dell’Est, cinese e russo, in contrapposizione a quello dell’Ovest.
Battersi per il ritiro di ogni missione imperialista dall'Africa, tricolore italiano incluso, è un dovere che spetta a ogni antimperialista conseguente.

4 ottobre 2023