Per il lavoro e per l'ambiente
Scioperano i lavoratori dell'ex Ilva di Taranto
L'azienda non ha rispettato nessuno degli impegni presi.
Il governo intenzionato a lasciare la maggioranza ad Arcelor-Mittal.
L'acciaieria va nazionalizzata
“Lo sciopero di 24 ore presso lo stabilimento di Acciaierie d’Italia di Taranto, ha riscontrato un’altissima partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori ex Ilva, Ilva in Amministrazione Straordinaria (AS) e ditte d’appalto. Lo sciopero è stato confermato a seguito della mancanza di risposte alle richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali Fiom, Fim e Uilm durante l'incontro avvenuto ieri a Palazzo Chigi”. Si apre così il comunicato della Fiom-Cgil nazionale, soddisfatta per la riuscita dello sciopero di giovedì 28 settembre, e allo stesso tempo molto preoccupata per il futuro dello stabilimento pugliese.
Al momento i lavoratori continuano a non avere certezze sul piano industriale, occupazionale, sugli investimenti nelle manutenzioni ordinarie e straordinarie e sul processo di risanamento ambientale. Preoccupano la situazione drammatica in cui versano gli impianti di Taranto e di tutti gli altri stabilimenti del gruppo, soprattutto a causa dell'assenza di interventi manutentivi con la sicurezza ai minimi storici, il continuo ricorso alla cassa integrazione, le ditte appaltanti piegate dai pesantissimi ritardi nei pagamenti. L’incontro è stato semplicemente l’occasione per ribadire la gravità della situazione all’interno delle fabbriche. La vertenza ex Ilva non può continuare a essere affrontata con decreti d’urgenza e accordi senza il coinvolgimento dei lavoratori rispetto alla prospettiva ambientale ed industriale della siderurgia in Italia.
Nel corso dello sciopero le lavoratrici e i lavoratori hanno manifestato davanti le portinerie, proprio mentre all'interno si stava svolgendo l'evento commerciale “Steel Commitment” con i clienti e fornitori organizzato a Taranto da Acciaierie d'Italia (AdI), dove, secondo le organizzazioni sindacali, l’azienda intende presentare una “realtà distorta”. Qui ha preso la parola l'amministratore delegato Lucia Morselli, che ha tentato maldestramente di illustrare i presunti investimenti fatti dall'azienda, mostrando e criticando al termine del suo intervento il manifesto contro di lei fatto affiggere in città dai sindacati. Sul manifesto campeggiava una foto dell'ad con accanto una medaglia e la scritta "peggior gestione di sempre". Francesco Brigati, della Fiom Cgil, ha risposto: “abbiamo messo in imbarazzo i clienti che l’azienda ha fatto venire. Non volevamo ostacolarli, anzi abbiamo necessità che ci siano clienti e fornitori, ma mandare un messaggio chiaro, ovvero che la realtà di Acciaierie d’Italia non è quella che rappresenta il suo amministratore delegato”.
Fiom, Fim e Uilm, hanno denunciato tutti gli impegni disattesi da parte di Arcelor-Mittal. Un elenco interminabile che parte dalla “mancata applicazione del piano industriale condiviso con i sindacati con l’accordo del 6 settembre 2018”, passa per “la messa in cassa integrazione di circa 5.000 lavoratori, oltre a quelli dell’indotto” e il mancato raggiungimento dell’obiettivo di 6 milioni di tonnellate annue di acciaio fino ai “mancati investimenti per l’efficienza degli impianti, con gravi rischi di sicurezza” e la “mancata trasparenza sull’utilizzo dei 400 milioni per l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale e degli ulteriori 680 milioni immessi quest’anno dallo stesso socio pubblico”.
All’incontro di Palazzo Chigi erano presenti il sottosegretario Mantovano, i ministri Urso, Calderone e Fitto, e i vertici di Fiom, Fim, Uilm, Ugl e Usb. A preoccupare i sindacati, oltre alle inadempienze dell'azienda, l'atteggiamento del governo che sembra presagire l’ennesimo dietrofront. Un rovesciamento della strategia di nazionalizzazione che sembrava portare avanti il ministro delle Imprese Adolfo Urso per evitare il collasso dell’acciaieria, per lasciare invece spazio ai privati accantonando l’ipotesi di portare lo Stato in maggioranza in AdI. I senatori Pd Francesco Boccia e Antonio Misiani hanno dichiarato di essere a conoscenza di un accordo preliminare da oltre 2 miliardi che l’Esecutivo avrebbe fatto con Mittal a cui resterebbe la maggioranza. Il Governo ha smentito qualsiasi intesa ma l’impegno finanziario principale se lo dovrà comunque sobbarcare lo Stato. Il Governo quindi continuerà ad iniettare risorse pubbliche in una società, Acciaierie d’Italia, che è sotto il controllo di una multinazionale straniera.
“Siamo all’eutanasia di fatto di Acciaierie d’Italia”, ha commentato Michele De Palma della Fiom. “Non abbiamo certezza sul piano industriale, anzi neanche gli obiettivi precedenti sono stati centrati, e neanche quelli rimaneggiati successivamente – ha aggiunto – Al contrario, abbiamo maggiori emissioni e maggiori rischi per la salute e sicurezza perché la gente è in cassa integrazione e non si fanno le manutenzioni dentro gli impianti”. Per Roberto Benaglia, segretario Fim, “siamo di fronte a una situazione urgente: il gruppo sta collassando, servono 5 miliardi e il tempo è decisivo”, con l'indotto sono a rischio 20mila lavoratori. Da parte del governo, spiega Rocco Palombella della Uilm, “ci sono stati passi indietro: qualche mese fa ci dicevano che c’era la possibilità di risalire in maggioranza negli assetti, che 680 milioni dati a gennaio servivano come anticipo di capitale e c’era la possibilità che lo Stato assumesse la maggioranza, ora questo ragionamento è cassato. Ma la storia con Mittal è finita, basta”
L’ex Ilva è in bilico da 11 anni, da quando gli impianti dell’area a caldo sono stati sequestrati dalla magistratura per i reati ambientali attribuiti alla gestione della famiglia Riva che aveva assorbito l'azienda dopo la sua privatizzazione, spremendo i lavoratori e inquinando la città per quasi un ventennio, e da allora non si è più risollevata. Neppure i nuovi padroni di Arcelor-Mittal hanno invertito la rotta. Nonostante l'accordo con i sindacati del 2018 prevedesse quasi 3mila licenziamenti, un volume produttivo ridotto e un piano di risanamento ambientale insufficiente, nessun impegno da parte aziendale è stato rispettato.
Di fronte a questa situazione stagnante che prima o poi presenterà il conto in termini occupazionali e sanitari ancora più pesanti, la nazionalizzazione appare l'unica strada per salvaguardare posti di lavoro e salute. Questi due obiettivi possono e devono stare insieme, non si devono contrapporre i lavoratori e la popolazione perché altre esperienze, come Bagnoli a Napoli, dimostrano che le chiusure, oltre a mettere alla fame migliaia di persone impoveriscono tutto il territorio, i soldi delle bonifiche vanno a finire nelle tasche di faccendieri e mafiosi, i terreni in mano alla speculazione e i veleni si mettono sotto il tappeto, la bomba ecologica rimane e la città non viene risanata. Quindi si deve portare avanti la lotta in maniera unitaria per avere il lavoro e al tempo stesso un'acciaieria all'avanguardia sotto il profilo ambientale che salvaguardi la salute di lavoratori e e degli abitant.
4 ottobre 2023