Gli scioperi articolati fanno solo il solletico al governo
Landini (Cgil) e Bombardieri (Uil) rinunciano allo sciopero generale che non vuole la Cisl
Anche stavolta lo sciopero generale non viene proclamato ma viene rimandato. Al suo posto scioperi articolati, anzi, sarebbe più corretto chiamarli disarticolati, poiché pezzi d'Italia sciopereranno in date diverse, con manifestazioni generalmente regionali e non sempre tutte le categorie alla stessa maniera. Questo è quanto hanno deciso Cgil e Uil, che ne hanno dato notizia con un comunicato unitario il 26 ottobre scorso.
Venerdì 17 novembre, per 8 ore o per l’intero turno di sciopero, si fermeranno le lavoratrici e i lavoratori delle Regioni del Centro. Nella stessa giornata, inoltre, le lavoratrici e i lavoratori delle categorie del trasporto, di tutto il pubblico impiego e della conoscenza sciopereranno sempre per 8 ore o intero turno, ma su tutto il territorio nazionale. Il 20 novembre a scioperare sarà la Sicilia, mentre la Sardegna dovrebbe scioperare il 27. Venerdì 24 novembre, le 8 ore o l’intero turno di sciopero riguarderanno tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori delle Regioni del Nord. Infine, venerdì 1° dicembre a incrociare le braccia per 8 ore o per l’intero turno saranno tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori delle Regioni del Sud.
Montagne di proclami e di annunci hanno partorito l'ennesimo “topolino”: scioperi articolati che fanno il solletico al governo. “Per cambiare la proposta di legge di Bilancio e le politiche economiche e sociali fino ad ora messe in campo dal Governo e a sostegno delle piattaforme sindacali unitarie presentate, dando seguito ai mandati ricevuti dai propri rispettivi Organismi statutari e dopo gli ultimi confronti di carattere organizzativo interni ai due singoli sindacati, Cgil e Uil hanno deciso di dare vita, per il prossimo mese, a un percorso comune di mobilitazione con scioperi di 8 ore o per l’intero turno, strutturato su base territoriale e regionale”. Questo è quanto si legge nel comunicato.
“L’obiettivo è sia di sensibilizzare l’opinione pubblica, nel modo più capillare e diffuso possibile, sulle gravi criticità della manovra economica sia di chiedere al Governo e alle Istituzioni territoriali di assumere provvedimenti”, così affermano Cgil e Uil. Ma una mobilitazione a scacchiera poteva avere un senso nei mesi passati come costruzione della mobilitazione, ma a questo punto, a oltre un anno dall'insediamento del governo neofascista Meloni, doveva essere già stato proclamato lo sciopero generale nazionale con manifestazione a Roma. Sono ancora a chiedere modifiche e provvedimenti quando è chiaro e lampante come la politica di questo governo è indirizzata, come e più di quelli precedenti, a colpire le lavoratrici e i lavoratori, i pensionati, i giovani e le donne e a favorire i capitalisti, gli evasori e le banche.
Rimanendo ai temi strettamente economici e sociali l'unica misura che prevede un minimo intervento sulle buste paga (pochi euro al mese) è il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro lordi, che altri non è che la riconferma, per un anno, di una misura già presa dal governo Draghi. In ogni caso si tratta di soldi sottratti alle entrate contributive che servono per finanziare sanità e pensioni, per cui in definitiva escono in altro modo sempre dalle tasche dei lavoratori. In questa maniera i capitalisti sono esentati dall'aumentare i salari mentre il governo rimedierà alle falle nei conti dello stato con ulteriori tagli alla spesa pubblica che inevitabilmente ricadranno su lavoratori e masse popolari.
I marxisti-leninisti non hanno dovuto aspettare le prime mosse per denunciare la nascita del governo neofascista Meloni. La composizione di questo esecutivo e il suo programma già facevano presagire un governo filopadronale e ferocemente antioperaio. Le sparate demagogiche e populiste, caratteristiche degli eredi del Ventennio, si sono difatti sciolte come neve al sole e a questo punto anche un sindacato come la Cgil che oramai mette al primo posto la contrattazione, il “dialogo tra le parti sociali”, l'unità delle sigle confederali, dovrebbe aver già perso la pazienza e le speranze che il governo cambi registro.
A distanza di un anno dal suo insediamento sono i fatti a parlare. Le promesse di togliere le accise sui carburanti e di contenere i prezzi sui prodotti energetici si sono volatilizzate, sulle pensioni al posto della cancellazione della Fornero è stata messa in campo un'ulteriore stretta, la progressività fiscale scritta in Costituzione è stata negata e calpestata ulteriormente con la diminuzione delle aliquote, con l'obiettivo finale della flat tax, per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego ha messo sul piatto solo pochi spiccioli, ha liberalizzato il codice degli appalti contribuendo all'aumento delle morti sul lavoro, ha tagliato i fondi alla sanità pubblica, ha cancellato il reddito di cittadinanza.
Dall'altra parte ha fatto marcia indietro persino sulla già ridicola tassazione degli extraprofitti delle aziende, emana a getto continuo provvedimenti che favoriscono l'evasione fiscale e i soggetti che già pagano meno dei lavoratori dipendenti, ha stanziato 1,8 miliardi per le aziende del Sud che comprano beni strumentali, 50 milioni per rifinanziare la nuova Sabatini, 300 milioni per i contratti di sviluppo, e concedendo una super deduzione contributiva del 120% alle imprese che assumono a tempo indeterminato, che arriva al 130% per giovani, donne (ma solo per quelle con figli), disabili ed ex percettori di Rdc. C'è poi il rinvio di altri 6 mesi della Plastic tax (1 miliardo l'anno) e della Sugar tax (300 milioni). Inoltre ci sono altre varie regalie fiscali.
Nonostante tutto questo i vertici confederali hanno concesso un anno di tregua alla Meloni, o al massimo hanno solo minacciato la piazza senza mai andare fino in fondo. Le affermazioni del segretario Luigi Sbarra dimostrano che la Cisl è una sorta di “quinta colonna” del governo, tanto da giudicare quella del 2024, “una legge di Bilancio con molte luci e alcune ombre”. Sembra del tutto inutile inseguire la Cisl nella speranza di riuscire a portarla in piazza assieme a Cgil e Uil, che a loro volta continuano a sperare nell'apertura di un tavolo di trattativa con il governo.
Una scelta, quella degli scioperi articolati, ancora meno giustificabile dopo la riuscita (200mila persone) della manifestazione del 7 ottobre a Roma organizzata dalla Cgil che, al di là della parola d'ordine errata e fuorviante “la via maestra, insieme per la costituzione”, ha mostrato come la classe operaia e le masse lavoratrici del nostro Paese, sono disponibili a lottare contro il governo Meloni e per i propri salari e i propri diritti. Nonostante il PMLI contesti la scelta di rinunciare allo sciopero generale il PMLI non diserterà certo le manifestazioni organizzate da Cgil e Uil, e ovunque sia possibile sarà in piazza con le sue posizioni, dalla parte di chi vuole rompere gli indugi e alzare il livello della mobilitazione contro il governo.
8 novembre 2023