Al Forum della Nuova via della seta presenti 23 capi di stato, oltre 140 paesi e più di 30 organizzazioni
Il capofila del socialimperialismo cinese Xi si propone come leader del "Sud globale"
Xi e Putin stringono la collaborazione strategica tra Cina e Russia
 
Nel ricevimento a Pechino organizzato alla vigilia dell'apertura del terzo Forum per la cooperazione internazionale della Belt and Road Initiative (BRI), la Nuova via della Seta tenuto il 17 e 18 ottobre, dieci anni dopo il lancio dell’iniziativa, il capofila del socialimperialismo cinese Xi Jinping teneva a sottolineare che "la cooperazione Belt and Road, solida e fruttuosa nel suo primo decennio, è ora piena di dinamismo e vitalità. Dobbiamo intraprendere con slancio ed entusiasmo il nuovo viaggio verso un altro decennio d'oro". Immancabilmente il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, nella conferenza stampa al termine dei lavori, definiva il forum un "successo completo" perché dopo che la BRI aveva ottenuto negli ultimi 10 anni dei "risultati storici" poneva le basi per aprire una nuova fase di cooperazione in grado di "modernizzare congiuntamente il mondo" a vantaggio soprattutto di molti paesi in via di sviluppo che avrebbero potuto "accelerare il loro cammino verso la modernizzazione”. Messo così il progetto sembrerebbe la panacea di tutti i mali del mondo e non quello che è in realtà, uno degli strumenti del socialimperialismo cinese per compattare il proprio fronte nello scontro colla rivale superpotenza imperialista americana che tra l'altro dopo aver modificato la sua strategia per fronteggiare direttamente la Cina nell'Indopacifico, a partire dalle provocazioni su Taiwan, si trova di nuovo impelagato sui "vecchi" fronti dell'Europa e del Medio Oriente.
Due situazioni che per Xi non sembrano problemi che minacciano di incendiare il mondo tanto che secondo i resoconti ufficiali persino nell'incontro bilaterale con il "caro amico" Putin tenuto a margine del Forum avrebbero tenuto banco i temi economici, con i due compari imperialisti impegnati a elogiare lo sviluppo dei rapporti economici e una sempre più stretta collaborazione strategica tra Cina e Russia. Che vede Putin in un ruolo secondario e Xi impegnato a costruire un fronte sempre più solido contro l'imperialismo Usa e il fronte dei paesi imperialisti dell'Ovest, anche attraverso il rilancio della BRI, una piovra economica e commerciale che stende i suoi tentacoli sui paesi del cosiddetto Sud globale di cui ambisce a diventare leader.
Per questo disegno aveva bisogno di dare una lucidata al progetto lanciato appunto nel 2013, con un richiamo alle rotte commerciali della Via della Seta che in epoca medievale legavano la Cina all’Europa attraverso il continente euroasiatico. La nuova via era progettata lungo un asse terrestre, la Silk Road Economic Belt da costruire tra Asia Centrale, Medio Oriente e Russia diretta in Europa e da un asse marittimo, la Century Maritime Silk Road sul percorso dal Sudest asiatico, all’oceano Indiano e il Mediterraneo che si è esteso anche all'Africa fino a comprendere 113 porti in 43 diversi paesi, tra questi il porto di Vado Ligure in Italia. In totale sono oltre 150 i paesi che hanno aderito alla BRI.
Il progetto ha avuto rallentamenti sia perché nei dieci anni la crescita economica cinese, anche per la pandemia, ha rallentato e sottratto capitali da investire all’estero ma anche perché diversi investimenti nei paesi in via di sviluppo con un movente più politico che economico hanno generato non il promesso reciproco interesse ma nuovo debito che strozza il paese più debole. Nei rapporti economici tra le potenze capitaliste più forti, le emergenti India, Brasile, Repubblica sudafricana, Arabia saudita sono capaci di difendere comunque più o meno efficacemente i propri interessi imperialisti, dai rapporti bilaterali al G20 ai Brics; quelli che sono in maggiori difficoltà sono i paesi del cosiddetto "Global South", il Sud del Mondo. Con questo termine, coniato negli Usa nel secondo dopoguerra e largamente utilizzato dopo che è stata considerata non più attuale la suddivisione dei Paesi tra Primo, Secondo e Terzo mondo, si intendono quei paesi poveri e in via di sviluppo dell'intero continente africano, paesi medi e piccoli dell’America Latina, dell’Indo-Pacifico, del Medio Oriente, depredati dalle potenze più forti e non più in grado di difendersi con posizioni comuni come erano una volta quelli del Terzo mondo, i non allineati che potevano contare sulla corretta politica della Cina di Mao.
Sull'insieme degli affari mossi dalla Nuova via della seta ci sono stati due casi significativi, dello Sri Lanka e dello Zambia. Il governo dell'isola dell'Oceano indiano nel 2018 non potendo pagare il debito accumulato con la Cina per costruire il porto di Hambantota ha dovuto cederne il controllo a Pechino per 99 anni. Il paese africano ha più volte rinegoziato il proprio debito col il governo cinese e non riesce a chiudere la vicenda.
La BRI ha un tale valore strategico per il socialimperialismo cinese che da tempo Xi ne ha avviato il rilancio in settori commerciali determinanti con i progetti di una “via della seta digitale”, una “sanitaria” e dal 2016 una “Via della Seta verde”, la Green Silk Road (GSR), non certo per fare un passo indietro a favore della salute del mondo da parte di uno dei paesi capitalisti più inquinatori diminuendo la dipendenza dai combustibili fossili, carbone e gas, e sostituendoli con fonti energetiche a basse emissioni di carbonio, soprattutto legate a fonti di natura idrica, solare ed eolica; l'obiettivo di Pechino è quello di mantenere quel vantaggio già accumulato rispetto ai concorrenti capitalisti dato che controlla il 72% della produzione dei moduli per l’energia solare e il 50% delle turbine per quella eolica. Le multinazionali cinesi hanno già una solida base industriale che le avvantaggia nelle gare di appalto internazionali nel settore della cosiddetta energia pulita, anzitutto nelle economie emergenti dei paesi aderenti alla BRI.
Nel progetto di Xi prende sempre più campo comunque, accanto all'interesse economico, l'aspetto politico della promozione di una “comunità dal destino condiviso”, la costruzione di un "nuovo modello di relazioni internazionali" incentrato sulla cooperazione che Pechino chiama "win-win", reciprocamente vantaggiosa ma in realtà sbilanciata a favore della Cina. Perché nelle relazioni tra paesi imperialisti il vantaggio maggiore alla fine dei conti va sempre al paese economicamente più forte.
Al terzo Forum di Pechino erano presenti meno capi di Stato del precedenti nel 2019, 23 contro 37, e mancava completamente l'Europa, tranne l'Ungheria di Orban il sodale della neofascista Meloni e la Serbia, coi paesi imperialisti europei schiacciati al rimorchio di quello Usa. Tanto in questo memento a Xi interessano più i rapporti coi governi dei paesi del cosiddetto “Sud Globale” e ha messo nel cassetto la firma di progetti di cooperazione per un valore di oltre 97 miliardi di dollari.
Un passo avanti nel progetto del capofila del socialimperialismo cinese Xi che si propone come leader del "Sud globale" non per un reciproco vantaggio ma per organizzarlo e lanciarlo sotto l'egemonia di Pechino nella sfida per il dominio del mondo alla testa dell'imperialismo dell'Est, coalizzato contro quello dell'Ovest a guida Usa.

15 novembre 2023