Accordo neocoloniale tra Meloni e Rama
L'Italia apre due centri profughi in Albania
Una Guantanamo italiana. Infranto il diritto d'asilo
I capi di governo di Italia e Albania, la neofascista Giorgia Meloni e il socialista Edi Rama, hanno firmato lo scorso 6 novembre a Roma un protocollo sul “rafforzamento della collaborazione in materia di migrazione” che prevede la costruzione entro la primavera del 2024 di due centri profughi in territorio albanese, uno al porto di sbarco di Shengjin circa 70 chilometri a nord di Tirana, e un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) a Gjader, con costi e gestione a carico dell'Italia. L'accordo ha una durata di cinque anni con rinnovo automatico, salvo disdetta di una delle due parti. Nel Cpr potranno essere presenti in totale fino a 3mila migranti, per un totale previsto di circa 36.000 all'anno, e dovrebbe avere la capacità di esaminare entro 28 giorni le richieste di asilo; chi non ne avrà diritto sarà trattenuto fino a 18 mesi in attesa di un rimpatrio o trasferito in Italia. Intanto il migrante resta carcerato.
L'idea di valutare le domande di asilo nelle ambasciate italiane nei paesi di origine prima della partenza, di usare normali mezzi di trasporto per un viaggio sicuro a costi sostenibili e via dicendo non sfiora nemmeno la mente della neofascista Meloni che continua a dare una mano ai ben noti e impuniti trafficanti a cui aveva giurato di dare la caccia su tutto il globo terracqueo. Sono invece finite nel nulla le iniziative palesemente propagandistiche dei viaggi della neofascista presidente del Consiglio in estate a Lampedusa con la compiacente presidente della Commissione europea von del Leyen, così come i tentativi di intesa per bloccare i migranti nei lager in Tunisia e la via delle espulsioni facili col decreto Cutro bocciate clamorosamente dalle sentenze della magistratura che le ha ritenute illegali. Ecco che con un accordo neocoloniale preparato col compiacente compare di Tirana nel viaggio estivo e tirato fuori al momento ritenuto politicamente più opportuno, Meloni insiste e rimette al centro il tema della guerra del suo governo ai migranti con la costruzione di una sorts di Guantanamo italiana in Albania, un carcere fuori del territorio nazionale che a una prima analisi del protocollo e degli allegati presenta una serie di palesi violazioni della Costituzione e di una lunga serie di leggi italiane e comunitarie a partire dalla negazione del diritto d'asilo.
Presentata dalla propaganda di regime a reti unificate come un’intesa storica e una svolta sugli sbarchi, ha intanto sollevato l'attenzione di Bruxelles dato che il protocollo firmato a Roma rappresenta il primo tentativo di un paese membro Ue di esternalizzare l’esame delle richieste di asilo in un Paese terzo, contrariamente a quanto previsto dalle norme comunitarie.
Un percorso simile aveva tentato di attuare la Gran Bretagna, libera dai regolamenti Ue, ma nel giugno dello scorso anno la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva ordinato a Londra di fermare le deportazioni per i rischi di violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Diritti che risultavano palesemente violati nell'accordo stipulato col Rwanda per il trasferimento dei migranti nel Paese africano incaricato di esaminare le domande di asilo. L'idea aveva però fatto breccia e altre ipotesi erano state studiate in Danimarca, Austria e Germania, tanto che il socialdemcratico tedesco Olaf Scholz sta guardando con interesse agli sviluppi dell'iniziativa della neofascista Meloni. In fondo così come la Meloni deve tenere il primato dell'iniziativa politica razzista sull'alleato di governo Salvini, il cancelliere tedesco ha la stessa esigenza di tenere a bada la destra democristiana di Berlino che ha strizzato l'occhio alla Meloni per le future alleanze all'europarlamento e i neonazisti alleati di Salvini. La corsa a destra è sempre più aperta a danno dei popoli europei e dei migranti per i quali vengono calpestate con una faccia di bronzo senza pari leggi e regolamenti nazionali e internazionali. E la Meloni può difendere il protocollo d’intesa con Tirana per i migranti sbandierandolo e indicando come “un modello per le altre nazioni dell'Unione europea”.
Il protocollo firmato a Roma non sarà applicato ai migranti già sbarcati sulle coste italiane ma a quelli salvati in mare esclusivamente dalle navi dello Stato italiano, e non da quelle delle Ong, senza specificare se recuperati in acque territoriali o internazionali. Comunque vada, nel primo caso si deve applicare il diritto di asilo secondo la legislazione comunitaria e il principio del non-respingimento sancito dall’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue); nel secondo caso si applica il diritto internazionale e la fondamentale Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (la cosiddetta Convenzione di Amburgo del 1979, ratificata dall’Italia ed entrata in vigore nel 1989), che prevede che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro”, sia per prossimità geografica sia per rispetto dei diritti umani. Così come si dovranno comunque applicare le norme minime per l’accoglienza dei richiedenti asilo previste dal Sistema Europeo Comune di Asilo (Ceas). La deportazione preventiva non è ammessa.
Il protocollo non è applicabile a minori, donne in gravidanza e altri soggetti vulnerabili che perciò dovrebbero essere divisi dagli altri migranti imbarcati, una soluzione che si presenta come un illegale sbarco selettivo. La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati prevede che l’accesso “senza ostacoli alle procedure di asilo” si applica “senza discriminazioni di sesso, età, disabilità, sessualità o altri motivi di discriminazione”, un principio che il Tribunale di Catania nello scorso febbraio aveva applicato al caso della nave della Ong tedesca Sos Humanity che aveva avuto il permesso dal governo di far scendere solo 144 dei 179 naufraghi salvati in mare. Gli altri sbarcarono solo dopo il ricorso al tribunale.
Da considerare inoltre che la deportazione in Albania dei migranti soccorsi in mare, dal momento dello sbarco all’ingresso nei centri di detenzione, ha la figura legale di un respingimento collettivo analogo a quello condannato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel 2009 quando una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche nel porto di Tripoli decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali; una pratica illegale continuata fino al 2010 coi trasbordi in alto mare difficili da rilevare, piuttosto che con l’ingresso palese delle navi militari italiane nei porti libici.
La questione dei traffici con la Libia era stata affrontata nel recente passato anche dal "centro-sinistra" col governo Gentiloni che col famigerato memorandum Italia-Libia del 2017, patrocinato dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti, ha spalancato la strada della collaborazione coi trafficanti contro i migranti. Un accordo vergognoso e criminale e perciò gradito dall'esecutivo Meloni tanto da prorogarlo senza colpo ferire alla scadenza triennale nello scorso novembre. Diversa la strada seguita dall'esecutivo precedente guidato da Matteo Renzi: il 3 agosto 2016 a Roma il Capo della Polizia italiana, Franco Gabrielli, e il suo omologo sudanese, Hashim Osman Al Hussein, firmavano un accordo che prevedeva la collaborazione tra i due paesi nella lotta alla criminalità, nella gestione dei fenomeni migratori e delle frontiere. Un atto del governo Renzi che liquidava il diritto d'asilo con un procedimento illegale di espulsione, stipulato nelle stanze ministeriali tra i capi di polizia, tenuto segreto e venuto alla luce alla fine dello stesso agosto quando una quarantina di profughi sudanesi venivano arrestati a Ventimiglia, trasportati in Puglia all’Hotspot di Taranto e spediti in patria dallo scalo aeroportuale di Torino. Il Capo della Polizia, Gabrielli, spiegava allora che il Memorandum col Sudan era solo uno dei 267 accordi sottoscritti dall’Italia con altri Paesi al fine di "ottimizzare la cooperazione di polizia" e non era stato necessario passare quindi da alcuna verifica parlamentare.
Così come al momento non è prevista nessuna verifica parlamentare sul memorandum Meloni-Rama e l'esecutivo ha ammesso la possibilità di un passaggio parlamentare solo a livello di informazione. Eppure l’articolo 80 della Costituzione prevede che le Camere debbano autorizzare con legge di ratifica i trattati internazionali che comportino oneri alle finanze dello Stato e modifiche alle norme nazionali, come questo protocollo. Il voto in parlamento comunque non potrebbe consentire una deroga alle Direttive e Regolamenti europei, oltre che alla Convenzione di Ginevra del 1951, in materia di diritto d'asilo. Perché fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale fino all'accertamento dei loro presunti diritti mentre il trattenimento in un centro di detenzione dovrebbe essere convalidato dalla decisione di un giudice come impongono sentenze già emesse della Corte Costituzionale.
La neofascista Meloni ha appena presentato il progetto della controriforma che ha l'obiettivo di mutare l'assetto della Repubblica da parlamentare a presidenziale, con l'elezione diretta del presidente del Consiglio. Ma senza attendere l'esito del percorso parlamentare già ha sconfinati poteri presidenzialisti e si comporta da premier, poteri del tutto simili a quelli che Mussolini riuscì a farsi dare dal parlamento liberale borghese prima di passare alla dittatura fascista aperta. Così si è già portata avanti rispetto al maestro, definendo direttamente il memorandum con Tirana all'insaputa dei ministeri interessati, Interno, Esteri e Giustizia, e persino del suo ridotto quadrunvirato, composto da Salvini che ha incassato tacendo e da Tajani che incollato alla poltrona di ministro degli Esteri si è limitato a negare l'evidenza, "l’intesa tra Roma e Tirana non è Guantanamo". Ha confermato l'intenzione di ignorare il parlamento dove pure avrebbe una maggioranza di ferro ma è quasi ridotto al rango di parco buoi di mussoliniana memoria. Ha trovato lo spazio per l'intesa col compiacente Rama che la chiama “sorella di Albania”, scelta come sponsor da lui “fratello d’Italia” per perorare un posto nella Ue, oltre a quello già occupato nella Nato. "Avevamo altre richieste da Paesi diversi ma non potevamo dire no all’Italia”, commentava il socialdemocratico di Tirana che semmai è riuscito a mettersi i panni vergognosi del luogotenente generale albanese alle dipendenze del capo del nuovo impero d'Italia e Albania, la neofascista Meloni. Che prepara l'inaugurazione dei due centri profughi in primavera, giusto in tempo per incamerare nuovi consensi a poche settimane dalle elezioni Europee di giugno, agendo come il regime mussoliniano che dopo l'occupazione militare impose il protettorato italiano del Regno d'Albania.
15 novembre 2023