Rapporto Svimez
Il divario tra il Centro-Nord e il Sud si allarga
250 mila poveri in più. Nel 2080 si prevede una perdita di 8 milioni di residenti nel Sud. Basso tasso di occupazione delle donne, specie di quelle con figli. Pochi asili nido
Il Pnrr non aiuta il Sud
Il 5 dicembre scorso presso il Tempio di Adriano a Roma è stato presentato il Rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo e l'industria nel Mezzogiorno) del 2023, con la presenza del presidente Adriano Giannola.
Rispetto al periodo pre-pandemia il Rapporto mostra come la ripresa dell’occupazione è stata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%) ma il paradosso è che all'aumento dell'occupazione corrisponde l'aumento dei salari da fame (complice anche l'inflazione) e della precarietà. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Sud infatti hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord.
Quel che è peggio poi è che nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese e ha raggiunto livelli inauditi.
Nel 2022, secondo Svimez, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: ben 250.000 in più rispetto al 2020, mentre sono in calo di 170.000 al Centro-Nord.
L'aumento della povertà
La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale, cosa del resto da noi marxisti-leninisti sempre sostenuta, da sempre infatti lottiamo non certo per un lavoro "qualsiasi" (e quindi povero e iperflessibile), ma per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte e per tutti, garantendo condizioni di massima sicurezza.
Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita, appunto insieme al tasso di occupazione, di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 , passando dal 7,6% al 9,3%.
Un incremento maggiore si osserva poi tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali.
Dunque un inaccettabile aumento della povertà parallelo all'aumento degli occupati, non a caso tanto sbandierato dal nero governo Meloni, che la dice lunga sul destino dei lavoratori sottomessi alla legge del massimo profitto capitalistico, non basta lavorare quindi anche solo per avere una vita appena dignitosa, nell'Italia del regime capitalista neofascista piuttosto significa se possibile essere comunque poveri, non riuscire a far fronte ai bisogni di un nucleo familiare, complice anche la privatizzazione della sanità, lo smantellamento del cosiddetto "stato sociale", l'inflazione e così via.
La crescita del PIL italiano è stimata dalla SVIMEZ a +0,7% nel 2023:ma solo dello 0,4% nel Mezzogiorno, a fronte del doppio, 0,8%, del Centro-Nord.
Si riapre il divario di crescita tra il Nord e il Sud, cosa imputabile per Svimez al calo dei consumi delle famiglie (–0,5%), che non si riscontra nel Centro-Nord (+0,4%). Questo avviene appunto per effetto di una contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (–2%) esattamente doppia rispetto al Centro-Nord, come nel 2022.
Gli investimenti dovrebbero essere interessati da una dinamica positiva, ma in forte decelerazione rispetto al 2022: +5% dal +9,8 dell’anno precedente nel Mezzogiorno, +3,3% dopo il +9,1 del 2022 nel Centro-Nord. Questo rallentamento riflette l’indebolimento dell’effetto "Superbonus" e lo slittamento temporale degli interventi del famigerato PNRR.
Sulla dinamica territoriale del PIL 2024-2025 per Svimez incideranno gli effetti espansivi degli interventi finanziati dal PNRR, per la concentrazione nel biennio del massimo sforzo di realizzazione infrastrutturale. La SVIMEZ ha stimato in 2,2 punti percentuali l’impatto cumulato sul PIL nazionale nel biennio nell’ipotesi di completo e tempestivo utilizzo delle risorse disponibili,+2,5% nel Mezzogiorno e +2% nel Centro-Nord. Ma questo, ci permettiamo di aggiungere, sarà tutto da dimostrare.
Addirittura secondo le stime della SVIMEZ, il PNRR eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione per quanto riguarda il PIL del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 rispetto ai dati che si determinerebbero “senza PNRR”. Ma questo non siamo sicuri che accadrà, prima di tutto perché i fondi non sono ancora stati spesi e alcuni probabilmente mai lo saranno, poi perché, come abbiamo sempre detto, i fondi del PNRR sono insufficienti, concepiti ad uso e consumo delle fameliche borghesie regionali in odore di massoneria e mafie e sono fondi sui quali le masse non hanno alcun diritto di parola e di gestione.
Svimez segnala correttamente invece come la crescita dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione e ha colpito maggiormente le famiglie a basso reddito, specie quelle concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. A dimostrazione del fatto che l'inflazione non è la stessa cosa per i ricchi rispetto ai poveri, ovviamente, fatto mai sottolineato dai media borghesi e di regime, anzi spesso la svalutazione della valuta Fiat (in questo caso l'euro) può avere dei vantaggi per la borghesia e per chi ha grandi patrimoni,mentre è inesorabile per i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Rispetto alle altre economie dei paesi della mostruosa Ue imperialista, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani, che tra il II trimestre 2021 e il II trimestre 2023 hanno subìto una contrazione molto più accentuata della media UE (–10,4% del potere di acquisto in Italia contro –5,9% generale dell'intera UE) e nel Mezzogiorno è risultata ancora più accentuata rispetto al dato nazionale (–10,7%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi. Per Svimez questa dinamica si colloca in una tendenza di medio periodo delle retribuzioni lorde reali per addetto, anch’essa particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno: –12% le retribuzioni reali rispetto al 2008 (–3% è il dato del Centro-Nord).
Carenti le infrastrutture
Il Rapporto evidenzia anche le criticità delle infrastrutture italiane, sottodotate al Sud e addirittura "sature" al Nord. Per esempio la rete ferroviaria del Sud presenta un notevole ritardo, con solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale) concentrati in Campania. Il divario nell'elettrificazione ferroviaria è significativo, con il 58,2% al Sud e l'80% al Centro-Nord.
La rete stradale meridionale è inferiore, con 1,87 km di autostrada per 100 km2 rispetto ai 3,29 al Nord e 2,23 al Centro. Il Piano di infrastrutture prioritarie del MIT, con risorse di 131 miliardi (101 miliardi finanziati), assume un ruolo chiave. Nel Mezzogiorno, il 40% delle opere prioritarie è programmato (52,6 miliardi), con oltre l'85% di finanziamento acquisito. Se i dati segnalano correttamente il divario anche su questo punto, non condividiamo però essenzialmente l'accettazione passiva da parte di Svimez di quali debbano essere considerate infrastrutture da realizzare e quali no, per esempio noi siamo contro l'Alta Velocità, pensata per ragioni legate al profitto e non per la mobilità delle masse, così come le infrastrutture del Nord a noi non sembrano affatto pensate per risolvere i problemi legati allo spostamento delle masse, cosa palesemente dimostrata dai dati devastanti sullo smog, i costi per gli spostamenti su gomma(si pensi all'aumento della benzina), gli scuolabus e in generale i mezzi per gli studenti e i pendolari, sia intra che extraurbani, andrebbero ripensati completamente, investendo massicciamente sul trasporto pubblico, alimentato da fonti energetiche rinnovabili e pensato ad uso e consumo delle masse e non degli giganteschi profitti della borghesia.
Ovviamente la situazione del Sud è ancora più grave, ma anche qui non si può pensare di intervenire in termini infrastrutturali nel Meridione appoggiando di fatto le politiche speculative e filomafiose dei governi.
La disoccupazione femminile
Sempre secondo il Rapporto le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto alla UE, a fronte di una media di occupate del 72,5%, nel Sud dell'Italia siamo lontani anni luce:la Campania è al 31%, la Puglia al 32% e la Sicilia al 31%. Le regioni del Centro-Nord si avvicinano di più alla media europea, ma restano lontane dai dati dei Paesi scandinavi e della Germania (78,6%). Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, una donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% e addirittura al 37,8% nel caso delle madri con figli fino a 5 anni (65,1% il dato del Centro-Nord), sono appena la metà rispetto ai padri (82,1%).
Su questo incidono i gravi ritardi nell'offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: la Campania è al 6,5%, la Sicilia all'8,2%, la Calabria al 9 % e il Molise al 9,3.
I posti da raggiungere entro il 2027 dovrebbero essere almeno il 33%, ma gli investimenti del PNRR che mirano a colmare queste disparità, non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, ma attraverso procedure a bando legate alle capacità amministrative degli enti locali, in mano alla destra e alla "sinistra" del regime neofascista, che sono inefficienti e impopolari perché totalmente asserviti alla borghesia e alle mafie.
I dati presentati nel Rapporto riguardo al Piano Asili nido fanno emergere diverse criticità proprio sotto questo aspetto: sono stati assegnati ai Comuni 3,4 Miliardi; 1,7 mld al Sud, di cui solo il 36% messi già gara, contro il 51% nel Centro-Nord.
Inoltre la recente e inaccettabile riduzione degli obiettivi del PNRR per i nuovi posti asili nido (ridotti da 248 mila a 150 mila) solleva preoccupazioni sulla possibilità di raggiungere il target europeo. Dalla simulazione effettuata dalla SVIMEZ risulta infatti che, anche se si superassero tutte le difficoltà attuative, le risorse non consentirebbero di raggiungere il target europeo del 33% in tutte le regioni.
I divari di offerta di servizi educativi riguardano anche la scuola primaria. L'Italia, secondo il Rapporto, presenta una delle percentuali più basse di popolazione laureata in Europa, con appena il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, ben 16 punti percentuali al di sotto della media europea, nel Sud questa percentuale si riduce al 22%.
La crescita complessiva dell'occupazione in Italia nel periodo post-Covid è stata del 1,8% tra il 2019 e il 2023, con un aumento degli occupati diplomati del 3,6% e dei laureati dell'8,3%.Nel Mezzogiorno, la crescita è stata del 15,4% per gli occupati laureati (+203 mila occupati)così a livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%).Ma nel Mezzogiorno, il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di soli 13 punti (80,6% contro 66,8%).
Il fenomeno si riflette anche nelle retribuzioni, con un laureato al Sud che guadagna il 41% in più di un diplomato, mentre nel resto del Paese il vantaggio è del 37%.
La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita, hanno portato l’Italia ad essere tra i paesi europei più anziani, le comunità dei migranti si concentrano prevalentemente nel Settentrione "ringiovanendo" così una popolazione sempre più anziana mentre il Mezzogiorno continua a perdere abitanti, soprattutto giovani qualificati.
Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Quindi al netto dei rientri, il Sud ha perso 1,1 milioni di residenti, 808 mila sotto i 35 anni, di cui 263 mila laureati.
Esodo dal Meridione
Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080.
Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni: tra il 2022 e il 2080, infatti il Sud potrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane, pari a 1 milione e 276 mila unità, contro il –19,5% del Centro-Nord (–955 mila).
La popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (–6,6 milioni) al Sud, mentre nel Centro-Nord di circa un quarto (–6,3 milioni di unità).
Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080 in assoluto, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro.
Questo il desolante quadro del Rapporto Svimez che mostra come la Questione meridionale sia la vera Questione Nazionale, come noi marxisti-leninisti sosteniamo da sempre, mostra anche come sia necessario mobilitarsi per la lotta senza quartiere per il lavoro prima di tutto.
Come si vede i dati mostrano come questo governo sia in linea con quanto fatto dai precedenti e che dunque le condizioni di vita delle masse, in particolare meridionali stiano peggiorando a vista d'occhio e il futuro non sarà certo rose e fiori, tutt'altro.
Dal Rapporto vediamo dunque confermata in pieno la necessità politica prioritaria di buttare giù da sinistra e dalla piazza il nero governo Meloni, senza dare alcun credito alla finta opposizione di cartone di PD e M5S, tenendo nel mirino anche le giunte regionali, provinciali e comunali al servizio della borghesia, lottando per il lavoro, i diritti e per lo sviluppo del Mezzogiorno per quanto possibile vigente il capitalismo.
Ma la madre di tutte le questioni e la chiave di volta per risolvere tutti i problemi del nostro popolo e quindi il divario Nord-Sud, è la conquista del socialismo e del potere politico da parte del proletariato, solo il socialismo può salvare il nostro popolo e il nostro martoriato Meridione dalla miseria, dallo sfruttamento e dal regime neofascista al servizio del capitalismo.
13 dicembre 2023