Documento del Comitato centrale del PMLI
Teniamo alta la grande bandiera antimperialista di Lenin
In occasione del centenario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale
Il 21 Gennaio 2024 ricorre il centenario della scomparsa di Vladimir Ilic Ulianov Lenin, grande Maestro del proletariato internazionale, principale artefice della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, creatore del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, fondatore dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, primo Stato socialista del mondo, ideatore, dirigente e organizzatore instancabile della Terza Internazionale. Con la sua lotta di abnegazione per gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori della Russia, dell’URSS e di tutto il mondo, con la sua instancabile attività per la trasformazione rivoluzionaria della società, con le sue fondamentali opere ideologiche e politiche, tra cui quella attualissima sull’imperialismo, si è conquistato l’amore e il riconoscimento illimitato del proletariato e di tutta l’umanità progressista e rivoluzionaria.
Il nome di Lenin è una bandiera mondiale per la lotta antimperialista, per la rivoluzione, per l’indipendenza, la libertà e la sovranità dei Paesi, per l’autodeterminazione dei popoli e delle nazioni, per le libertà democratiche, per l’avvenire luminoso di tutti i popoli, per il socialismo.
Il pensiero, l’opera e l’esempio di Lenin costituiscono un tesoro inestimabile e inesauribile cui possono attingere liberamente tutti i rivoluzionari e i fautori del socialismo in Italia e nel mondo intero.
Noi marxisti-leninisti italiani commemoriamo Lenin domenica 21 gennaio tenendo gloriosamente alta la sua grande bandiera antimperialista nei cieli di Cavriago e di Capri, dove campeggiano i due monumenti a lui dedicati. Commemorare questo gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari è un dovere militante e internazionalista proletario a cui il Partito del proletariato, della riscossa e della vittoria, il PMLI, non può mancare. Così come ha fatto nel 2020 con un importante documento dell’Ufficio politico in occasione del 150° Anniversario della nascita di Lenin e con un numero speciale de “Il Bolscevico”, e anni prima con la pubblicazione del volume sulla vita e l’opera di Lenin.
Facciamo nostre le parole del suo più stretto compagno d’armi e continuatore della sua opera, Josif Vissarionovic Dzugasvili Stalin, che sembrano scritte oggi e non quasi cento anni fa. Nell'“Intervista con la prima delegazione operaia americana - 9 settembre 1927”
egli afferma:
“Lenin non ‘ha aggiunto’ nessun ‘nuovo principio’ al marxismo, cosi come non ha abolito nessuno dei ‘vecchi’ principi del marxismo. Lenin è stato e rimane il discepolo più fedele e coerente di Marx ed Engels, un discepolo che si è basato interamente e completamente sui principi del marxismo. Ma Lenin non è soltanto stato I'esecutore della dottrina di Marx ed Engels. Egli è stato nello stesso tempo il continuatore di questa dottrina. Che cosa significa ciò? Significa che egli ha sviluppato ulteriormente la dottrina di Marx ed Engels in conformità con le nuove condizioni di sviluppo, con la nuova fase del capitalismo, con l'imperialismo. Significa che sviluppando ulteriormente la dottrina di Marx nelle nuove condizioni della lotta di classe, Lenin ha apportato al comune tesoro del marxismo qualcosa di nuovo rispetto a quanto era stato dato da Marx ed Engels, rispetto a quanto si poteva dare nel periodo del capitalismo preimperialistico, e quel che di nuovo ha apportato di Lenin al tesoro del marxismo si basa interamente e completamente sui principi enunciati da Marx ed Engels.
Appunto in questo senso noi diciamo che il leninismo è il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie.
Ecco alcune questioni, sulle quali Lenin ha apportato qualcosa di nuovo sviluppando ulteriormente la dottrina di Marx. In primo luogo, la questione del capitalismo monopolistico, dell'imperialismo, inteso come nuova fase del capitalismo. Nel Capitale Marx ed Engels hanno analizzato le basi del capitalismo. Ma Marx ed Engels vivevano nel periodo del capitalismo premonopolistico, nel periodo della evoluzione senza scosse del capitalismo, della sua ‘pacifica’ diffusione in tutto il mondo.
Questa vecchia fase è terminata tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, quando Marx ed Engels non erano più in vita. Si capisce che Marx ed Engels potevano soltanto intuire le nuove condizioni di sviluppo del capitalismo, sopravvenute come risultato della nuova fase del capitalismo subentrata alla vecchia, come risultato della fase monopolistica, imperialistica di sviluppo, quando all'evoluzione senza scosse del capitalismo è subentrato uno sviluppo a salti, catastrofico, in cui l'ineguaglianza dello sviluppo e le contraddizioni del capitalismo si sono manifestate con particolare forza, in cui la lotta per i mercati di sbocco e di esportazione del capitale, data l'estrema ineguaglianza di sviluppo, ha reso inevitabili le guerre imperialistiche periodiche per nuove periodiche spartizioni del mondo in sfere d'influenza.
Il merito di Lenin, e di conseguenza quel che c'è di nuovo in Lenin, è che egli, sulla base dei principi fondamentali del Capitale, ha fatto una argomentata analisi marxista dell'imperialismo come fase suprema del capitalismo, mettendone a nudo le piaghe e scoprendo le condizioni che ne determinano la fine inevitabile. Questa analisi costituisce la sostanza della nota tesi di Lenin secondo cui nelle condizioni dell'imperialismo è possibile la vittoria del socialismo in singoli paesi capitalistici presi separatamente”.
Lenin ha detto profeticamente che “Non sarà mai vinto il popolo in cui la maggioranza degli operai e dei contadini ha saputo, ha sentito e visto che essa difende il suo potere sovietico, il potere dei lavoratori …”
. La storia ha dimostrato che Lenin aveva ragione. Numerosi interventisti e imperialisti hanno sperimentato a proprie spese la solidità dello Stato sovietico. Durante la seconda guerra mondiale, nella lotta contro il nazifascismo, il popolo sovietico non solo difese la sua libertà e la sua indipendenza, ma salvò anche i popoli dell’Europa e dell’Asia dalla minaccia dell’asservimento hitleriano. Fu Lenin a gettare le basi della politica estera dello Stato sovietico, politica di pace e di collaborazione internazionale, di rispetto della sovranità così dei grandi come dei piccoli Stati. Egli motivò scientificamente la possibilità della coesistenza prolungata e dell’emulazione pacifica fra i due sistemi, socialista e capitalistico.
Richiamandoci ancora a Stalin, nella “Lettera” apparsa sul Giornale Operaio “Rabociaia Gazeta” ha detto: “Ricordate, amate, studiate Ilic, nostro educatore, nostro capo. Lottate e vincete i nemici interni ed esterni, come insegnava Ilic. Edificate una vita nuova, nuove condizioni di esistenza, una cultura nuova, come insegnava Ilic. Non trascurate le piccolezze nel lavoro, perché dalle piccole cose nascono le grandi: questo è uno dei comandamenti essenziali di Lenin”
.
Gli insegnamenti di Lenin hanno consentito ai diversi popoli dell’Asia e dell’Europa di trovare, sotto la guida dei partiti comunisti, la strada della liberazione dalle catene del capitalismo e dell’imperialismo. Mao, per quanto riguarda il popolo cinese l’ha riconosciuto apertamente. Nello scritto “Sulla dittatura democratica popolare” ha rilevato: “I russi fecero la Rivoluzione d'Ottobre e crearono il primo Stato socialista nel mondo. Sotto la guida di Lenin e di Stalin, l'energia rivoluzionaria del grande proletariato e del grande popolo lavoratore russo, rimasta fino ad allora latente e sconosciuta agli stranieri, scoppiò improvvisamente come un vulcano, e i cinesi, insieme a tutto il genere umano, cominciarono a vedere i russi sotto una luce diversa. Allora, e soltanto allora, si aprì un'era completamente nuova per il pensiero e la vita dei cinesi. Essi scoprirono quella verità universalmente valida che è il marxismo-leninismo, e la fisionomia della Cina cominciò a mutare. Fu attraverso i russi che i cinesi scoprirono il marxismo. Prima della Rivoluzione d'Ottobre, non soltanto Lenin e Stalin, ma persino Marx e Engels erano sconosciuti ai cinesi. Le salve della Rivoluzione d'Ottobre ci portarono il marxismo-leninismo. La Rivoluzione d'Ottobre ha aiutato i progressisti cinesi, come quelli di tutto il mondo, ad adottare la concezione proletaria del mondo, come strumento per studiare la sorte di un paese e riesaminare i propri problemi. 'Seguire la via tracciata dai russi, questa fu la loro conclusione’”.
Come ebbe a scrivere il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nel saluto ai partecipanti alla Commemorazione di Lenin a Cavriago del 24 gennaio 2016, “Lenin non è solo il principale artefice della prima rivoluzione proletaria del mondo, ma un grande Maestro del proletariato internazionale, la cui opera continua a illuminare la strada dei veri comunisti e di tutti gli sfruttati e oppressi del globo. Nel pensiero di Lenin, espresso nel ‘Che fare?’, ‘Stato e rivoluzione’, ‘L’imperialismo fase suprema del capitalismo’, noi troviamo le giuste indicazioni per essere degli autentici militanti comunisti, per costruire un vero Partito comunista, per combattere e abbattere il capitalismo e conquistare il socialismo e il potere politico da parte del proletariato, per capire l’attuale situazione internazionale e per orientarci sulla complessa e inedita questione dello Stato islamico, sottoposto a bombardamenti di tre coalizioni imperialiste che vogliono avere campo libero in Medio Oriente e spartirselo.
Il pensiero di Lenin -
continuava il Maestro del PMLI - non va visto a sé ma considerato assieme a quello di Marx, Engels, Stalin e Mao affinché conservi la sua attualità, eserciti tutta la sua forza proletaria rivoluzionaria e non venga manipolato e rielaborato dai revisionisti di destra e di ‘sinistra’. Esso è fondamentale per emanciparci dalla cultura borghese, dal riformismo, dal parlamentarismo e dal costituzionalismo e per cambiare il mondo. Essere come Lenin, fare come Lenin: questo è il nostro imprescindibile dovere proletario rivoluzionario”.
Sono passati 100 anni dalla sua scomparsa; sono tanti, ma i popoli del mondo non possono e non devono dimenticare Lenin, soprattutto il popolo russo e quelli dell’ex Unione Sovietica che Lenin lasciò, come popoli modello, liberi dallo sfruttamento e dall’oppressione capitalista dopo secoli d'oppressione zarista, e che oggi sono esattamente al punto di partenza, per colpa dei revisionisti russi capeggiati da Krusciov e dai suoi successori, del capitalismo e del neozarismo dell’imperialismo russo guidato dal nuovo zar del Cremlino e criminale di guerra Putin. Non lo dimentichiamo certo noi marxisti-leninisti italiani perché gli saremo grati eternamente e perché abbiamo ancora tantissimo da imparare dalla sua vita e dalla sua opera, come da quelle di Marx, Engels, Stalin e Mao, per condurre bene e fino in fondo la lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo e il potere politico del proletariato.
In questa occasione, tra i tanti temi fondamentali dell’opera di Lenin, abbiamo deciso di trattare quello dell’imperialismo. Perché? Sono gli avvenimenti internazionali che ci riportano a parlare degli insegnamenti di Lenin sull’imperialismo. Una parola che sembrava cancellata dal vocabolario della storia, come avrebbero voluto tutti i reazionari dopo il cosiddetto “crollo del comunismo”. In particolare l’aggressione neozarista russa all’Ucraina, la guerra di sterminio perpetrata dai sionisti e neonazisti di Israele contro la Resistenza e il popolo palestinesi, hanno dimostrato ai popoli e ai Paesi di tutto il mondo che l’imperialismo esiste ancora.
Il PMLI vuole cogliere questa ricorrenza di Lenin in termini marxisti-leninisti e di classe per spiegare come si presenta oggi l’imperialismo e qual è la relativa contraddizione principale del momento, che determina il nemico da combattere. Non è infatti sufficiente conoscere l’imperialismo in generale e in termini teorici, se poi non si è capaci di analizzarlo concretamente in riferimento alla realtà in corso e alle contraddizioni interimperialiste, come dimostrano le posizioni errate che circolano tra i sinceri comunisti e gli antimperialisti sulla guerra all’Ucraina o sul cosiddetto mondo “multipolare”. Quest’ultima posizione perorata da certi partiti con la bandiera rossa di fatto sdogana il socialimperialismo cinese e l’imperialismo neozarista russo quali amici dei popoli e dei paesi poveri del mondo vessati dall’imperialismo occidentale.
Lenin fu un fedele sostenitore della dottrina di Marx e Engels. Nelle nuove condizioni storiche egli sviluppò la scienza marxista in modo creativo e integrale. Nel suo capolavoro “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, scritto nella primavera del 1916, quando era in corso la prima guerra mondiale imperialista, Lenin compì un’analisi approfondita dell’imperialismo, mise a nudo le sue leggi e le sue contraddizioni fondamentali, dimostrò con precisione scientifica che l’imperialismo spinge l’umanità nell’abisso di guerre sanguinose e di catastrofi economiche. Lenin scoprì la legge dell’ineguale sviluppo economico e politico dei paesi capitalistici e motivò le ragioni che rendevano possibile la vittoria del socialismo dapprima in pochi o persino in un solo paese capitalistico. Era una nuova e compiuta teoria della rivoluzione socialista.
Riflettere perciò sugli insegnamenti di Lenin sull'imperialismo e la lotta all'imperialismo è quanto mai attuale, illuminante e utile soprattutto per comprendere la guerra del nuovo zar Putin all'Ucraina, la Resistenza palestinese all’aggressore israeliano e i pericoli di guerra imperialista mondiale che fanno da sfondo alla lotta senza quartiere tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo cinese per la conquista dell'egemonia mondiale.
Il PMLI da tempo ha lavorato per chiarire gli sviluppi della situazione internazionale che ha visto inasprirsi le contraddizioni interimperialiste. L'ha fatto attraverso i Congressi nazionali, in particolare il 5° del dicembre 2008, e gli articoli de "Il Bolscevico". Un passaggio chiave sono stati il discorso “Mao e l'imperialismo” e l'intervento del compagno Scuderi dal titolo "Appoggiamo lo Stato islamico contro la santa alleanza imperialista", il Rapporto del compagno Erne Guidi alla 5ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI dal titolo "La situazione internazionale e la lotta antimperialista del PMLI”, entrambi dell'ottobre del 2015, il discorso dello stesso compagno pronunciato a nome del Comitato centrale del PMLI il 9 settembre 2018 dal titolo "Mao, l'imperialismo e la lotta per il socialismo” in occasione del 42° Anniversario della scomparsa di Mao. Fino ad arrivare all'importantissimo Comunicato dell'Ufficio stampa del PMLI, scritto dal compagno Scuderi, dal titolo "Isolare l'aggressore russo", emesso il 24 febbraio 2022 qualche ora dopo l'aggressione del nuovo zar e criminale di guerra Putin all’Ucraina. Un comunicato con un alto contenuto ideologico, politico e strategico, un modello di analisi marxista-leninista dell'attuale situazione dell'imperialismo e infine il discorso del compagno Erne Guidi per la 46° Commemorazione di Mao dell’11 settembre 2022 “Gli insegnamenti di Mao sull'imperialismo, la situazione internazionale, l'imperialismo italiano”.
Cenni biografici di Lenin
Lenin nacque il 22 aprile 1870 nella città di Simbirsk, oggi Ulianovsk, posta sulla riva del Volga. Suo padre, Jlija Nikolajevic Ulianov era un intellettuale progressista e formalmente osservante della fede ortodossa. La madre, Maria Aleksandrovna, era figlia di un medico, e dette a Lenin due fratelli e tre sorelle: Alexandr, Dmitrij, Anna, Maria e Olga, che ebbero assieme a Lenin una educazione che contrastava con i principi su cui si fondava il dispotico regime dell'assolutismo zarista.
In casa Ulianov si leggevano libri di Gogol, Lermontov, Puskin, Turgheniev, ma anche Darwin, Shakespeare, Griboiedov. I genitori seppero cioè sviluppare in tutti i loro figli la curiosità e la voglia di sapere, unite all'avversione profonda verso la schiavitù e il dispotismo, perni oppressivi del regime zarista, cui contrapporre una società che avesse i suoi cardini ideali nella giustizia e nella libertà. Tutti i fratelli Ulianov, tranne Olga che morì giovanissima a soli diciannove anni, si batterono attivamente contro lo zarismo. Di questi, Alexandr il fratello di quattro anni più grande di Lenin, non ancora maggiorenne fu implicato nell'attentato del 1º marzo 1887 contro lo zar Alessandro III e venne
impiccato. Lenin avvertì il tragico sacrificio come una terribile lezione politica e affermò che era necessario trovare un'altra strada dal terrorismo per abbattere lo zarismo e l'ingiustizia sociale.
Nonostante l'impostazione religiosa del padre, Lenin a sedici anni si staccò definitivamente dalla religione, sulla quale poi condivise le posizioni di Marx e di Engels, contribuendo in maniera sostanziale a sviluppare correttamente i rapporti fra la religione ed il partito socialdemocratico operaio russo e con l'organizzazione socialista dello Stato.
La vita politica di Lenin ha inizio presto, quando 17enne, già immerso nello studio de “Il Capitale” e di altre opere di Marx ed Engels aderisce ai circoli studenteschi rivoluzionari e ne partecipa alle lotte. Ciò gli costa l’espulsione dall’università e l’arresto. A questo ne seguiranno altri, nel 1895, poi nel 1897 quando è deportato in Siberia, e successivamente nel 1900. Complessivamente sconta oltre 14 mesi di prigionia, 3 anni di deportazione ed è costretto a vivere per oltre 10 anni fuori dalla Russia a causa delle continue persecuzioni ad opera del regime zarista rimanendo nell’illegalità per ben 24 anni, dal 1893 sino al 3 (6) aprile del 1917 quando rientrò illegalmente in Russia per dirigere in prima persona la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre.
Le persecuzioni e le grandi privazioni a cui è costretto non lo fermano, dovunque si trovi, in Russia come all’estero, è sempre tra i lavoratori e gli studenti a fare inchieste, raccogliere informazioni, discutere con loro, a dirigere i marxisti, a tenere lezioni, ad organizzare gli emigrati russi ed a scrivere una quantità enorme di articoli, opuscoli ed interventi. È infatti in uno dei tanti periodi di prigionia che Lenin scrive il progetto di programma del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR), poi fondato nel 1898, che fa seguito all’“Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia” costituita nel 1895 per unire gli operai d’avanguardia ai circoli di propaganda sparsi in tutta la Russia, riuscendo a superare le numerose divisioni ideologiche, politiche e organizzative fin da allora presenti nel proletariato russo e poi, a seguito di lunghe battaglie, anche all'interno del Partito stesso. Fondamentale la tappa del 2° congresso del POSDR svoltosi tra Bruxelles e Londra nei mesi di luglio e agosto del 1903 dove grazie a Lenin i bolscevichi battono i menscevichi di Trotzki e Martov.
Tra marzo e giugno 1893 Lenin aveva scritto “Che cosa sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici?” che fu la prima di una numerosa serie di grandi opere marxiste create dalla sua potente mente e dalla sua pratica rivoluzionaria e nella quale, attraverso una serrata critica al populismo, espose alcuni tra i principali compiti della socialdemocrazia russa. Tra questi, in particolare la missione storica della classe operaia di essere forza egemone della rivoluzione proletaria; la necessità imprescindibile dell’alleanza tra operai e contadini per affossare il potere zarista; la necessità della costruzione del partito marxista della classe operaia per guidare il processo rivoluzionario fino alla conquista del socialismo.
Nell’aprile del 1900 a Pskov Lenin definì compiti e contributi utili alla pubblicazione di un giornale del proletariato, da lì nacque l’”Iskra”, stampato all’estero per eludere la censura zarista. I suoi numeri furono la premessa di un importante lavoro teorico che Lenin scrisse tra l’autunno del 1901 e il febbraio del 1902: “Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento”. Una grande opera marxista nella quale Lenin espose in modo analitico e sistematico la critica al “marxismo legale” e la denuncia contro l’economismo, variante russa dell’opportunismo presente nella socialdemocrazia internazionale.
Passando dalla creazione di una scuola di Partito a Parigi nella primavera del 1911, alla VI Conferenza del POSDR tenutasi a Praga dal 5 al 17 gennaio 1912, dove le strade già diverse del marxismo-leninismo e dell’opportunismo si separeranno definitivamente sancendo ufficialmente la creazione del partito bolscevico, la battaglia di Lenin si combatte anche nel campo internazionale, un ambito che lo vedrà coinvolto in prima persona soprattutto dallo scoppio della prima guerra mondiale imperialista in poi fino alla fine dei suoi giorni, regalando al proletariato internazionale la prima vera lettura di classe della guerra imperialista, sintetizzata nell’opera “Il socialismo e la guerra” scritta nel luglio-agosto 1915, e la creazione della III Internazionale dei Partiti Comunisti. Passando dal capolavoro di analisi marxista dell’imperialismo, fase suprema del capitalismo, la cui opera sarà pubblicata in opuscolo a Pietrogrado nell’aprile del 1917.
Dopo la rivoluzione di febbraio del 1917, quando si fa spazio la tendenza ad appoggiare il governo provvisorio democratico borghese e la resistenza al lancio dell’insurrezione, con le celebri “Tesi di Aprile” Lenin chiarisce in maniera inequivocabile che la questione della guerra o della pace è risolvibile soltanto attraverso la conquista del potere politico da parte del proletariato, delineando le modalità del passaggio dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione socialista. È così che il 7 Novembre (25 Ottobre secondo il calendario giuliano allora vigente in Russia) dello stesso anno la rivoluzione proletaria guidata da Lenin si compie e, per la prima volta nella storia, si creano le premesse per la creazione di un paese libero dal giogo capitalista e dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Nel 1918, non potendo accettare che un nuovo modello economico e sociale si consolidasse sulle ceneri dello zarismo, della dittatura borghese e del capitalismo, gli aggressori imperialisti e le guardie bianche scatenano la loro rabbia anticomunista, stringendo d'assedio la neonata Repubblica sovietica. Furono due anni durissimi, di stenti e di fame, di lutti, rappresaglie e lavoro duro per il popolo sovietico, affrontati però grazie alla guida di Lenin, del suo Partito, e del suo esercito rosso avendo piena comprensione che l'effettiva posta in gioco era il proseguimento dell'edificazione socialista iniziato con la Rivoluzione d'Ottobre, il suo più grande capolavoro strategico, politico e militare.
Il 6 marzo 1919, nel discorso alla Fondazione della Terza Internazionale, Lenin cita Cavriago, in cui gli operai avevano approvato una dichiarazione di sostegno alla Rivoluzione d'Ottobre.
Il 1920 iniziò con la liberazione da parte dell'Armata Rossa di tutto il territorio settentrionale della Repubblica sovietica e, nel febbraio, iniziò, con pieno successo, la riconquista delle zone centrali dell'Asia sovietica. Seguirono la sconfitta di Kolciak, Denikin e Judenic, della Polonia e di Vrangel, poi con la distruzione e la dissoluzione degli ultimi focolai antisovietici in Transcaucasia, avvenuta nelle prime settimane del 1921, ebbe termine con la completa vittoria dello Stato sovietico e del suo esercito, la guerra civile fomentata e sostenuta militarmente da una coalizione di 14 Paesi imperialisti, tra cui Italia, USA, Inghilterra, Francia e Polonia.
Lenin fu l'artefice principale di tutti i successi delle riunioni, delle conferenze e dei Congressi del Partito, nonché della costruzione del socialismo in Russia, della lotta contro l'imperialismo e per la libertà dei popoli, della lotta contro il revisionismo e l'opportunismo.
Un ruolo fondamentale ebbe per fare affermare i diritti e la parità fra i sessi e spingere con grande passione le operaie e le donne a partecipare in prima persona alla costruzione del socialismo e alla conquista della loro piena emancipazione.
Lenin ha prestato una particolare attenzione alla situazione politica italiana.
Tante le citazioni nei suoi scritti e discorsi, fin da 1901.
Il riformista Turati è stato uno dei suoi bersagli principali, dal 1905 in poi. Successivamente ha criticato Bordiga, il primo segretario nazionale del PCd'I, (poi PCI) e Terracini. Tra le opere di Lenin espressamente rivolte all'Italia, citiamo “Il Congresso dei socialisti italiani” del 1912, “Imperialismo e socialismo in Italia” del 1915, “Saluto al Congresso del Partito socialista italiano” del 1916, “Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi” del 1919, “ A proposito della lotta in seno al Partito socialista italiano” del 1920, “Discorso sulla questione italiana”, (Rapporto al III Congresso della Terza Internazionale) del 1921.
Quando Lenin morì prematuramente, a Gorky il 21 gennaio 1924, a causa di un male aggravato dai postumi dell’attentato subito 6 anni prima per mano socialista-rivoluzionaria e dai tanti anni vissuti in difficilissime condizioni, fu Stalin che ne ereditò la linea, difendendola dagli attacchi dei banditi Trotzki, Bucharin, Zinoviev, Kamenev e altri, applicandola e sviluppandola nel corso dell’edificazione del socialismo, della lotta contro i revisionisti dentro e fuori dell’URSS, della guerra patriottica contro l’aggressore hitleriano, della lotta contro l’imperialismo mondiale.
L’imperialismo
Quando Lenin iniziò la sua attività rivoluzionaria, ossia tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, il mondo entrò nell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria. Fu soprattutto nella sua lotta contro l'imperialismo e l'opportunismo di ogni genere, in particolare contro il revisionismo della II Internazionale, che Lenin ereditò, difese e sviluppò il marxismo, il suo grande contributo fu definito “leninismo”. Egli analizzò le contraddizioni dell'imperialismo, rivelò le leggi che lo governano, risolse una serie di importanti questioni concernenti la rivoluzione proletaria nell'epoca dell'imperialismo fino ad affermare e poi provare che il socialismo “vincerà dapprima in uno o alcuni Paesi”
, tesi fondamentale valevole ancora oggi per le rivoluzioni socialiste che si verificheranno in futuro.
Lenin è stato il primo marxista che ha analizzato e spiegato l'imperialismo e che ha indicato come combatterlo e annientarlo. L'ha fatto attraverso la sua celebre opera “L'imperialismo fase suprema del capitalismo”, scritta nella forma di "saggio popolare", ancora attuale, nonostante le ciance dei revisionisti di ieri e di oggi. E' talmente importante e utile che verrà pubblicato integralmente prossimamente su “Il Bolscevico”.
Marx ed Engels avevano studiato il capitalismo premonopolistico che terminerà a cavallo tra il XIX e il XX secolo quando la grande evoluzione del capitalismo venne sostituita da uno sviluppo “a salti”, ineguale e catastrofico, dove le condizioni di sviluppo e le contraddizioni si manifestavano con forza particolare nel momento in cui la lotta dei mercati di vendita e di esportazione del capitale rese inevitabili le guerre imperialiste per le spartizioni del mondo e delle sfere di influenza. Lenin prendendo a base le tesi fondamentali de “Il Capitale” di Marx, fece piena luce su queste novità economiche e politiche che caratterizzarono l'imperialismo. La sua opera citata, che tutti gli antimperialisti dovrebbero studiare, è essenziale per capire l'imperialismo e l'epoca che stiamo attraversando e per avere le armi ideologiche e politiche per combatterlo. Comprendendo in primo luogo, come indica Lenin, che “la lotta contro l'imperialismo se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l'opportunismo è una frase vuota e falsa”.
In quest'opera Lenin sviluppa il pensiero di Marx ed Engels sulle rivoluzioni nazionali e coloniali, legandole alla questione dell'abbattimento dell'imperialismo e proclamando che la questione nazionale e coloniale è parte integrante della questione generale della rivoluzione proletaria internazionale. “Il leninismo
- dice Stalin - ha allargato la nostra comprensione della autodecisione, intesa come diritto dei popoli oppressi delle nazioni dipendenti e delle colonie ad una completa autonomia e quale diritto delle nazioni ad una esistenza indipendente”.
Lenin infatti non si limitò a far chiarezza sull'imperialismo ma fornì anche lo strumento organizzativo internazionale per combatterlo, costituendo, appena un anno dopo la Rivoluzione d'Ottobre, la III Internazionale, che dette un impulso fondamentale alla lotta contro l'imperialismo in tutto il mondo. Come sottolinea sempre Stalin “Lenin non considerò mai la Repubblica dei Soviet come fine a se stessa. Egli la considerò sempre come un anello necessario per lo sviluppo del movimento rivoluzionario nei Paesi dell'occidente e dell'oriente, come un anello necessario per agevolare la vittoria dei lavoratori del mondo intiero sul capitale. Lenin sapeva che solo questa concezione è giusta, non solo dal punto di vista internazionale, ma anche dal punto di vista della salvaguardia della stessa Repubblica dei Soviet. Lenin sapeva che solo in questo modo è possibile infiammare i cuori dei lavoratori di tutto il mondo per le lotte decisive di liberazione. Ecco perché Lenin, il capo più geniale fra i capi geniali del proletariato, il giorno dopo l'instaurazione della dittatura del proletariato, gettò le fondamenta dell'internazionale degli operai. Ecco perché non si stancava mai di estendere, di rafforzare l'Unione dei lavoratori di tutto il mondo, l'Internazionale Comunista”.
Il nostro discorso sull’imperialismo si basa sugli insegnamenti dei grandi Maestri del proletariato internazionale, Lenin, Stalin e Mao che hanno applicato e aggiornato gli insegnamenti di Marx e Engels sul capitalismo non ancora giunto nella fase dell’imperialismo. L’analisi dell’imperialismo come stadio supremo ed ultimo di sviluppo del capitalismo occupa un posto di primissimo piano nell’opera teorica di Lenin. Grazie a quest’opera, colossale per la vastità e profondità dell’indagine, la dottrina marxista ha potuto comprendere e spiegare molti aspetti decisivi degli eventi storici dell’epoca contemporanea. Anche per questo motivo lo pubblicheremo su “Il Bolscevico”.
Lenin è nel senso pieno della parola colui che per primo ha elaborato una critica sistematica dell’economia politica dell’imperialismo. Egli, oltre ad aver dato una descrizione scientifica dei processi connessi con la formazione e lo sviluppo dell’imperialismo, armò il proletariato di un metodo, quello del materialismo dialettico, per conoscerne gli ulteriori cambiamenti.
Di fatto la citata opera di Lenin “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, oggi più attuale che mai, ne è la base. Essa dimostra che l’imperialismo dei nostri giorni conserva infatti interamente le stesse caratteristiche attribuitegli da Lenin, ossia il dominio dei monopoli, la creazione di un’oligarchia finanziaria, l’importanza crescente dell’esportazione di capitali rispetto all’esportazione di merci, la competizione nella redistribuzione di nuovi mercati e territori. Esito ultimo dell’analisi leninista dell’imperialismo è la seguente conclusione: "L'imperialismo è un particolare stadio storico del capitalismo. E questa particolarità è triplice: l'imperialismo è (1) - capitalismo monopolistico; (2) - capitalismo parassitario e imputridente; (3) - capitalismo morente".
Come scriverà Lenin il 6 luglio 1920 nella prefazione alle edizioni francese e tedesca della sua opera “Il presente libro dimostra come il capitalismo abbia espresso un pugno... di Stati particolarmente ricchi e potenti che saccheggiano tutto il mondo mediante il semplice 'taglio delle cedole'.
Si, perché “Uno dei tratti più caratteristici del capitalismo
- afferma Lenin all'inizio del suo scritto sull'imperialismo - è costituito dall'immenso incremento dell'industria e dal rapidissimo processo di concentrazione della produzione in imprese sempre più ampie… La concentrazione, a un certo punto della sua evoluzione, porta, per così dire, automaticamente alla soglia del monopolio. Infatti riesce facile a poche decine di imprese gigantesche di concludere reciproci accordi, mentre, d'altro lato, sono appunto le grandi dimensioni delle rispettive aziende che rendono difficile la concorrenza e suscitano, esse stesse, la tendenza al monopolio. Questa trasformazione della concorrenza nel monopolio rappresenta uno dei fenomeni più importanti - forse anzi il più importante - nell'economia del capitalismo moderno... Allorché Marx, mezzo secolo fa, scriveva Il Capitale, la grande maggioranza degli economisti considerava la libertà di commercio una 'legge naturale'. La scienza ufficiale ha tentato di seppellire con la congiura del silenzio l'opera di Marx, che, mediante l'analisi teorica e storica del capitalismo, ha dimostrato come la libera concorrenza determini la concentrazione della produzione, e come questa, a sua volta, a un certo grado di sviluppo, conduca al monopolio. Oggi il monopolio è una realtà. Gli economisti scrivono montagne di libri per descrivere le diverse manifestazioni del monopolio e nondimeno proclamano in coro che il 'marxismo è confutato'. Ma i fatti sono ostinati - dicono gli inglesi - e con essi, volere o no, si debbono fare i conti. I fatti provano che le differenze tra i singoli paesi capitalistici, per esempio in rapporto al protezionismo e alla libertà degli scambi, determinano soltanto differenze non essenziali nelle forme del monopolio, o nel momento in cui appare, ma il sorgere dei monopoli, per effetto del processo di concentrazione, è, in linea generale, legge universale e fondamentale dell'odierno stadio di sviluppo del capitalismo…”.
L’analisi leninista tendente a porre in luce le principali leggi di sviluppo dell’imperialismo ebbe per oggetto fondamentale proprio il monopolio. Non a caso Lenin scrisse che “se si volesse dare la definizione più coincisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stato monopolistico del capitalismo”
.
Continua Lenin: “È sommamente istruttivo dare almeno uno sguardo all'elenco dei mezzi dell'odierna, moderna e civile 'lotta per l'organizzazione' a cui ricorrono i consorzi monopolistici. Essi sono: 1) Privazione delle materie prime... ('uno dei più importanti metodi coercitivi per fare entrare nei cartelli'). 2) Privazione della mano d'opera mediante 'alleanze' (cioè accordi tra organizzazioni di capitalisti e di operai per cui questi ultimi si obbligano a lavorare soltanto per imprese cartellate). 3) Privazione dei trasporti. 4) Chiusura di sbocchi. 5) Accaparramento di clienti mediante clausole di esclusività. 6) Metodico abbassamento dei prezzi allo scopo di rovinare gli 'autonomi', le aziende cioè che non si sottomettono ai monopolisti; si gettano via milioni vendendo per qualche tempo al di sotto del prezzo di costo (nell'industria della benzina si sono dati casi di riduzione da 40 a 22 marchi, cioè quasi della metà). 7) Privazione del credito. 8) Boicottaggio.
Questa non è più la lotta di concorrenza tra aziende piccole e grandi, tra aziende tecnicamente arretrate e aziende progredite, ma lo iugulamento, per opera dei monopoli, di chiunque tenti di sottrarsi al monopolio, alla sua oppressione, al suo arbitrio...
Che i cartelli eliminino le crisi è una leggenda degli economisti borghesi, desiderosi di giustificare ad ogni costo il capitalismo. Al contrario, il monopolio, sorto in alcuni rami d'industria, accresce e intensifica il caos, che è proprio dell'intera produzione capitalistica nella sua quasi totalità. Si accresce ancora più la sproporzione tra lo sviluppo dell'agricoltura e quello dell'industria, che è una caratteristica generale del capitalismo…”.
In questo quadro si affaccia e si impone l’esportazione del capitale. “Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l'esportazione di merci; per il più recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è diventata caratteristica l'esportazione di capitale. Il capitalismo è la produzione mercantile al suo massimo grado di sviluppo, quando anche la forza-lavoro è diventata una merce. Segno caratteristico del capitalismo è l'aumento dello scambio delle merci così all'interno del paese come, specialmente, sul mercato internazionale. Nel capitalismo sono inevitabili la disuguaglianza e la discontinuità nello sviluppo di singole imprese, di singoli rami industriali, di singoli paesi...
L'esportazione di capitali influisce sullo sviluppo del capitalismo nei paesi nei quali affluisce, accelerando tale sviluppo. Pertanto se tale esportazione, sino a un certo punto, può determinare una stasi nello sviluppo dei paesi esportatori, tuttavia non può non dare origine a una più elevata e intensa evoluzione del capitalismo in tutto il mondo.
I paesi esportatori di capitale hanno quasi sempre la possibilità di godere certi 'vantaggi', la cui natura pone in chiara luce gli specifici caratteri dell'epoca del capitale finanziario e dei monopoli...
Il capitale finanziario ha creato l'epoca dei monopoli. Ma questi recano ovunque con sé principi monopolistici: in luogo della concorrenza sul mercato aperto, appare l'utilizzazione delle 'buone relazioni' allo scopo di concludere affari redditizi. La cosa più frequente nella concessione dei crediti è quella di mettere come condizione che una parte del denaro prestato debba venire impiegato nell'acquisto di prodotti del paese che concede il prestito, specialmente di materiale da guerra, navi, ecc...
I paesi esportatori di capitali si sono spartiti il mondo sulla carta, ma il capitale finanziario ha condotto anche una divisione del mondo vera e propria…”.
Ma veniamo all’imperialismo, particolare stadio del capitalismo. “L'imperialismo
- scrive ancora Lenin - sorse dall'evoluzione e in diretta continuazione delle qualità fondamentali del capitalismo in generale. Ma il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale. In questo processo vi è di fondamentale, nei rapporti economici, la sostituzione dei monopoli capitalistici alla libera concorrenza. La libera concorrenza è l'elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio quest'ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale...
Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti. Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore.
Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell'imperialismo, si dovrebbe dire che l'imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l'essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e dall'altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendendosi senza ostacoli ai territori non ancor dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita…”.
Partendo dall’analisi dei processi di concentrazione e monopolizzazione della produzione, Lenin formulò quei famosi cinque contrassegni economici dell’imperialismo, che contraddistinguono il nuovo stadio di sviluppo della società borghese dal capitalismo della libera concorrenza: “Dobbiamo dare una definizione dell'imperialismo che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè: 1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo 'capitale finanziario', di un'oligarchia finanziaria; 3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche. L'imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici...
Il capitale finanziario e i trust acuiscono, non attenuano, le differenze nella rapidità di sviluppo dei diversi elementi dell'economia mondiale. Ma non appena i rapporti di forza sono modificati, in quale altro modo in regime capitalistico si possono risolvere i contrasti se non con la forza?
L'imperialismo è l'immensa accumulazione in pochi paesi di capitale liquido... Da ciò segue, inevitabilmente, l'aumentare della classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del 'taglio di cedole', non partecipano ad alcuna impresa e hanno per professione l'ozio”.
L’accumulazione di un’enorme massa di capitali nelle mani dell’oligarchia finanziaria continua ad essere la fonte più importante per la loro esportazione all’estero. Lenin caratterizzò l’esportazione del capitale non soltanto come uno dei principali contrassegni dell’imperialismo, ma anche come una delle sue basi economiche più sostanziali. “L'esportazione di capitale, uno degli essenziali fondamenti economici dell'imperialismo, intensifica questo completo distacco del ceto dei rentiers dalla produzione e dà un'impronta di parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro di pochi paesi e colonie d'oltre oceano...
Nel Paese più 'commerciale' del mondo i profitti dei rentiers superano di cinque volte quelli del commercio estero! In ciò sta l'essenza dell'imperialismo e del parassitismo imperialista.
Per tale motivo nella letteratura economica sull'imperialismo è di uso corrente il concetto di 'Stato rentier' (Reinterstaat) o Stato usuraio. Il mondo si divide in un piccolo gruppo di Stati usurai e in una immensa massa di Stati debitori.
L'imperialismo, che significa la spartizione di tutto il mondo e lo sfruttamento... che significa alti profitti monopolistici a beneficio di un piccolo gruppo di paesi più ricchi, crea la possibilità economica di corrompere gli strati superiori del proletariato, e, in tal guisa, di alimentare, foggiare e rafforzare l'opportunismo. L'imperialismo tende a costituire tra i lavoratori categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei proletari”.
Infine vogliamo soffermarci sulla critica leninista dell'imperialismo. Per Lenin “Nella critica dell'imperialismo le questioni fondamentali sono: la possibilità o meno di mutare le basi dell'imperialismo mediante riforme, e l'opportunità di spingere verso un ulteriore inasprimento e approfondimento degli antagonismi generati dall'imperialismo o di tentarne, invece, un'attenuazione. Siccome le particolarità dell'imperialismo sono: reazione politica su tutta la linea e intensificazione dell'oppressione nazionale, conseguenze del giogo dell'oligarchia finanziaria e dell'eliminazione della libera concorrenza, così all'inizio del XX secolo in quasi tutti i paesi imperialistici sorse un'opposizione democratica piccolo-borghese. E la rottura di Kautski e del vasto movimento kautskiano internazionale con il marxismo consiste appunto nel fatto che non solo Kautski non ha pensato di contrapporsi a questa opposizione riformistica piccolo-borghese, reazionaria nei suoi fondamenti economici, ma anzi si è totalmente confuso con essa…”.
Citando Hilferding, Lenin così prosegue: “La risposta del proletariato alla politica economica del capitale finanziario, la risposta all'imperialismo, non può essere il libero scambio, ma solo il socialismo. Non l'ideale ormai divenuto reazionario del ripristino della libera concorrenza, ma solo il completo superamento della concorrenza mediante il completo superamento del capitalismo può essere l'obiettivo della politica proletaria”.
“Kautski
- afferma Lenin - ha rotto definitivamente ogni legame col marxismo, difendendo per l'epoca del capitale finanziario un 'ideale reazionario', la 'pacifica democrazia', il 'semplice peso dei fattori economici', giacché, obiettivamente, simile idea ci ricaccia indietro, dal capitalismo monopolistico al capitalismo non monopolistico, ed è una frode riformista...
Ammettiamo dunque che in regime di libera concorrenza, senza monopolio di sorta, il capitalismo e il commercio si sarebbero sviluppati più rapidamente. Ma quanto più rapido è lo sviluppo del commercio e del capitalismo, tanto più intensa è appunto la concentrazione della produzione e del capitale, la quale a sua volta genera il monopolio. E i monopoli sono già stati generati appunto dalla libera concorrenza! Se anche i monopoli avessero attualmente l'effetto di ritardare lo sviluppo, questa non sarebbe ancora una ragione a favore della libera concorrenza, che è diventata impossibile una volta che ha generato i monopoli.
Da qualsiasi parte giriate i ragionamenti di Kautski, in essi non troverete altro che lo spirito reazionario e il riformismo borghese...
In regime capitalista non si può pensare a nessun'altra base per la ripartizione delle sfere d'interessi e d'influenza, delle colonie, ecc., che non sia la valutazione della potenza dei partecipanti alla spartizione, della loro generale potenza economica, finanziaria, militare, ecc. Ma i rapporti di potenza si modificano, nei partecipanti alla spartizione, difformemente, giacché in regime capitalista non può darsi sviluppo uniforme di tutte le singole imprese, trust, rami d'industria, paesi, ecc... Si può 'immaginare' che nel corso di 10-20 anni i rapporti di forza tra le potenze imperialiste rimangano immutati? Assolutamente no.
Pertanto, nella realtà capitalista, e non nella volgare fantasia filistea dei preti inglesi o del 'marxista' tedesco Kautski, le alleanze 'inter-imperialiste' o 'ultra-imperialiste' non sono altro che un 'momento di respiro' tra una guerra e l'altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un'altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste; le une e le altre forme si determinano reciprocamente e producono, su di un unico e identico terreno, dei nessi imperialistici e dei rapporti dell'economia mondiale e della politica mondiale, l'alternarsi della forma pacifica e non pacifica della lotta...
La tendenza di Kautski a stendere l'ombra sui profondi antagonismi dell'imperialismo - atteggiamento che, inevitabilmente, si trasforma in abbellimento dell'imperialismo - si rispecchia anche nella critica ch'egli fa delle particolarità politiche dell'imperialismo. L'imperialismo è l'era del capitale finanziario e poi dei monopoli, che sviluppano dappertutto la tendenza al dominio, non già alla libertà. Da tali tendenze risulta una intensa reazione, in tutti i campi, in qualsiasi regime politico, come pure uno straordinario acuirsi di tutti i contrasti anche in questo campo. Specialmente si acuisce l'oppressione delle nazionalità e la tendenza alle annessioni, cioè alla soppressione della indipendenza nazionale (giacché annessione significa precisamente soppressione dell'autodecisione delle nazioni)".
La lotta all'imperialismo oggi
Tutto l’operato di Lenin e poi l’esperienza di Stalin e Mao ribadiscono e al tempo stesso attualizzano alla situazione odierna un principio fondamentale del marxismo-leninismo-pensiero di Mao che ci permette di orientarci correttamente nei confronti delle lotte antimperialiste, per quanto complesse, peculiari e diverse appaiano tra loro. Come in tutti i fenomeni si tratta sempre di individuare la contraddizione principale che è la lotta antimperialista, la lotta di popolo contro l'occupante militare oppressore, la lotta di liberazione nazionale dall'aggressore straniero. Ed è questa che va appoggiata senza tentennamenti e riserve, senza farsi condizionare dalla propaganda dell'imperialismo, che sia dell’Ovest o dell’Est, che taccia di terrorista qualsiasi forza o movimento osi impugnare le armi e combattere contro la sua rapacità e prepotenza. Abbiamo visto il trattamento riservato a Hamas e alla Resistenza palestinese contro i crimini dei sionisti e nazisti del nuovo Hitler Netanyahu a Gaza.
L’imperialismo occidentale parla di terrorismo palestinese, ma non è terrorista chi spara con i carri armati contro ragazzi che tirano pietre, chi spara missili dagli elicotteri tra la folla, chi spiana case e villaggi, spesso con gli abitanti dentro, chi distrugge gli ospedali, chi erige muri dell'apartheid e rinchiude le popolazioni in lager e rende loro la vita impossibile con migliaia di posti di blocco (esattamente come facevano i nazisti con gli ebrei!), chi ricorre all'assassinio di Stato di leader palestinesi, chi ruba loro sistematicamente la terra e l'acqua per vivere?
I popoli del mondo, a cominciare da quello italiano, non devono avere paura dell'imperialismo. I fatti dimostrano che l’imperialismo, in ultima analisi, non è così potente e invincibile come appare. Può essere sconfitto anche da un piccolo popolo purché questo sia unito, determinato, deciso a impugnare le armi e a proseguire la lotta fino alla vittoria.
Il diritto di ciascuna nazione all'autodecisione è semplicemente un diritto democratico-borghese eppure nell'epoca dell'imperialismo, che vede l'estendersi e l'intensificarsi della rapina e delle vessazioni ai danni dei paesi oppressi, tale diritto è stato abbandonato e calpestato dalle borghesie imperialiste e dai loro servi ed è entrato in conflitto col sistema imperialista, e tocca a noi marxisti-leninisti sostenerlo e difenderlo, battersi per vederlo riconosciuto proprio perché lo iscriviamo e lo subordiniamo nel quadro più ampio della lotta di classe per l'abbattimento della borghesia, del capitalismo e dell'imperialismo e perché sappiamo che solo per questa strada potremo batterci nella prospettiva storica comunista dell'estinzione del frazionamento del mondo in tanti Stati separati e contrapposti nazionalisticamente gli uni agli altri.
E con le stesse motivazioni di Lenin noi marxisti-leninisti italiani abbiamo difeso e sostenuto (prima, durante e dopo) il diritto dei popoli del mondo all'autodecisione contro l'aggressione e l'occupazione militare imperialiste. Consci che sia dovere del proletariato e delle masse popolari italiani combattere i governi borghesi e buttarli giù se non si vuole che l'internazionalismo proletario rimanga, come dice Lenin, "vuoto e verbale"
e nel contempo sostenere fino in fondo i Paesi oppressi dall'imperialismo, nonché "gli elementi più rivoluzionari dei movimenti democratici borghesi di liberazione nazionale, aiutarli nella loro insurrezione e, se il caso si presenta, nella loro guerra rivoluzionaria contro le potenze imperialiste che li opprimono".
(La rivoluzione socialista e l’autodecisione).
Lenin ci insegna che non c'è mai una separazione netta tra la politica e la guerra ma si tratta di due categorie strettamente interdipendenti della storia, e dall'una si passa all'altra quando le armi della politica non bastano più a risolvere una determinata contraddizione, che viene perciò risolta con la politica delle armi. E questo di per sé non è un male assoluto, dipende se gli obiettivi della politica, ed eventualmente della guerra, sono giusti o ingiusti, sono progressivi o reazionari, se si tratta di una guerra di difesa o di aggressione, e così via.
Nella visione idealistica dei pacifisti, invece, la guerra è considerata sempre e comunque una mostruosità anomala, mentre è un prodotto normale del sistema imperialistico che domina nel mondo, perfettamente funzionale alla sua natura sfruttatrice e predatoria nei confronti delle nazioni e dei popoli più deboli, che hanno tutto il diritto di resistere con la lotta armata alle aggressioni degli imperialismi dell'Est e dell'Ovest: vale oggi per gli ucraini contro gli invasori russi e per i palestinesi contro gli oppressori nazisionisti, come valeva ieri per la lotta armata dei popoli afghano e iracheno contro gli invasori USA e della NATO. Come è valso in Italia con la Resistenza contro l’occupante nazista e il fascismo. La nonviolenza non può quindi essere un'arma di lotta per gli sfruttati e gli oppressi. Fa solo il gioco del più forte, dell’aggressore sull’aggredito, decretando la sottomissione perenne di popoli e paesi al dominio dell’imperialismo, che sia esso dell’Ovest o dell’Est.
Ne "Il socialismo e la guerra (l'atteggiamento del POSDR verso la guerra)", scritta nel luglio-agosto 1915 e pubblicata in opuscolo a Ginevra nell'autunno di quello stesso anno, Lenin fa una analisi perfetta delle guerre. Egli afferma che: "I socialisti hanno sempre condannato le guerre fra i popoli come cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori della pace) e degli anarchici. Dai primi ci distinguiamo in quanto comprendiamo l'inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi nell'interno di ogni paese, comprendiamo l'impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi ed edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia. E dai pacifisti e dagli anarchici noi marxisti ci distinguiamo in quanto riconosciamo la necessità dell'esame storico (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) di ogni singola guerra. Nella storia sono più volte avvenute delle guerre che, nonostante tutti gli orrori, le brutalità, le miserie ed i tormenti inevitabilmente connessi con ogni guerra, sono state progressive; che, cioè, sono state utili all'evoluzione dell'umanità, contribuendo a distruggere istituzioni particolarmente nocive e reazionarie (per esempio l'autocrazia o la servitù della gleba), i più barbari dispotismi dell'Europa (quello turco e quello russo). Perciò bisogna prendere in esame le particolarità storiche proprie di questa guerra”.
Lenin è stato altresì il primo a parlare della differenza fra guerra di aggressione e guerra di difesa. “Il periodo 1789-1871 ha lasciato tracce e ricordi rivoluzionari profondi. Fino all'abolizione del feudalesimo, dell'assolutismo e dell'oppressione straniera, non si poteva nemmeno parlare di uno sviluppo della lotta proletaria per il socialismo. Quando parlavano di legittimità della guerra 'difensiva', a proposito delle guerre di tale epoca, i socialisti avevano presenti appunto sempre quegli scopi, cioè la rivoluzione contro il medioevo e contro la servitù della gleba. Per guerra 'difensiva' i socialisti hanno sempre inteso una guerra 'giusta' in questo senso... Soltanto in questo senso i socialisti hanno riconosciuto e riconoscono oggi la legittimità, il carattere progressivo e giusto della 'difesa della patria' o della guerra 'difensiva'. Per esempio, se domani il Marocco dichiarasse guerra alla Francia, l'India all'Inghilterra, la Persia o la Cina alla Russia, ecc., queste sarebbero delle guerre 'giuste', delle guerre 'difensive' indipendentemente da chi avesse attaccato per primo, ed ogni socialista simpatizzerebbe per la vittoria degli Stati oppressi, soggetti e privi di diritti, contro le 'grandi' potenze schiaviste che opprimono e depredano”.
Le tesi su "La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni" furono pubblicate sulla rivista teorica della sinistra di Zimmerwald Der Vorbote (Il Precursore), n. 2, aprile 1916. Esse erano dirette contro i socialisti polacchi della sinistra di Zimmerwald (K. Radek ed altri) e contro il gruppo Bukharin-Piatakov che respingevano la parola d'ordine dell'autodecisione. Il punto di vista dei polacchi, esposto nelle "Tesi sull'imperialismo e sull'oppressione nazionale", era il vecchio punto di vista di Rosa Luxemburg e dei suoi seguaci contro i quali Lenin aveva lottato già prima della guerra (si veda l'articolo "Sul diritto delle nazioni all'autodecisione", scritto nel 1914). Stalin, nella lettera alla rivista Proletarskaia Revolutsia, definisce tale posizione nel modo seguente: "Essi svilupparono una teoria semi-menscevica dell'imperialismo, respinsero il principio dell'autodecisione delle nazioni secondo la concezione marxista (fino alla separazione e alla formazione di uno Stato indipendente), respinsero la tesi della grande importanza rivoluzionaria del movimento di liberazione delle colonie e dei paesi oppressi, respinsero la tesi della possibilità del fronte unico fra la rivoluzione proletaria e i movimenti di liberazione nazionale e contrapposero allo schema marxista dei bolscevichi un pasticcio semi-menscevico che era una grave sottovalutazione della questione nazionale e coloniale".
Le tesi dei polacchi le quali, come osservava Stalin, "furono poi riprese da Trotzki e utilizzate come un'arma contro il leninismo"
si possono riassumere nei seguenti aspetti: 1) L'autodecisione delle nazioni non è possibile nel periodo dell'imperialismo perché l'imperialismo rafforza ed estende inevitabilmente a tutto il mondo l'oppressione sulle nazioni deboli. Quest'oppressione può esser distrutta soltanto colla distruzione dell'imperialismo, cioè colla rivoluzione proletaria. 2) L'autodecisione delle nazioni sarebbe nociva perché farebbe risorgere le frontiere degli Stati già distrutte dall'imperialismo o creerebbe "nuovi pali di confine", ciò che sarebbe soltanto d'intralcio allo sviluppo della lotta solidale delle masse di tutte le nazioni contro l'imperialismo. 3) L'autodecisione non è necessaria nemmeno dopo la rivoluzione socialista, poiché il socialismo distrugge qualsiasi "palo di confine". Perciò, l'unica parola d'ordine contro l'oppressione nazionale può essere quella del rovesciamento dell'imperialismo. I polacchi della sinistra di Zimmerwald sostenevano che il proletariato, fra tutti i movimenti di liberazione nazionale, doveva appoggiare il solo movimento coloniale, giacché la liberazione delle colonie serve direttamente la causa dell'abbattimento dell'imperialismo e della vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti.
Le tesi dei polacchi furono pubblicate contemporaneamente a quelle di Lenin nello stesso numero del Vorbote. Il gruppo Bukharin-Piatakov, nel novembre 1915, inviò al CC del partito delle tesi "Sulla parola d'ordine del diritto delle nazioni all'autodecisione", scritte da Bukharin, e che sostenevano lo stesso punto di vista concludendo: "In nessun caso e per nessuna ragione noi non appoggeremo il governo di una grande nazione che soffoca la rivolta e l'indignazione di una nazione oppressa, ma nello stesso tempo, non mobilitiamo le forze proletarie colla parola d'ordine del `diritto delle nazioni all'autodecisione'. Il nostro compito consiste nel mobilitare le forze del proletariato delle due nazioni (insieme a quello delle altre) con la parola d'ordine della lotta di classe per il Socialismo".
Lenin dimostra appunto che questo "estremismo" opportunista è un vero e proprio tradimento del marxismo rivoluzionario, e avvicina l'"estrema sinistra" agli opportunisti di destra, ai social-sciovinisti. Egli dimostra che la giusta concezione marxista dell'imperialismo e dei compiti della rivoluzione socialista, e precisamente dei compiti dell'unificazione internazionale del proletariato per questa rivoluzione, esige dal partito proletario il riconoscimento e la difesa del diritto dell'autodecisione. Anche dopo, nel 1917, alla conferenza di aprile, e nel 1919, all'VIII congresso del partito, Lenin lottò nuovamente contro l'"estremismo" di Bukharin e Piatakov nella questione nazionale. La questione fu risolta nell'URSS dalla dittatura proletaria, secondo la linea leninista e questa soluzione ha dimostrato quanto fosse giusta e necessaria la lotta che Lenin condusse e quanto fosse dannoso il punto di vista degli "estremisti".
I marxisti-leninisti e i sinceri comunisti devono lottare con decisione in modo che la classe operaia e le masse lavoratrici e popolari non seguano la classe borghese e il suo governo, non restino intrappolati e non si schierino con una delle parti in competizione tra alleanze imperialiste. Solo in questa condizione, possono utilizzare le contraddizioni tra i paesi imperialisti a beneficio degli interessi dei popoli, e rovesciare con la rivoluzione la classe borghese al potere in ogni paese.
Come ci insegna Lenin tutti i popoli del mondo devono unirsi per combattere l’imperialismo. “Proletari di tutti i paesi e popoli oppressi, unitevi!”
(Discorso ai militanti di Mosca). Ciascun popolo deve mettere nel mirino in primo luogo il “proprio” imperialismo. Lo deve fare anche il popolo italiano, denunciando soprattutto le mire egemoniche dell'imperialismo italiano in Africa e nel Mediterraneo. Per partecipare alla spartizione del mondo, l'imperialismo italiano nel passato ha partecipato a due guerre mondiali sacrificando la vita di centinaia di migliaia di giovani, di operai e contadini. Sempre assecondato dai monarchi di casa Savoia, ha dato vita addirittura a un impero attraverso le colonie dell’Eritrea nel 1890, della Somalia nel 1905, della Libia nel 1912, dell’Etiopia nel 1936 e dell’Albania nel 1939.
Il fascismo mussoliniano portò alle estreme conseguenze i piani di conquista dell’imperialismo italiano. Il suo programma di espansione conteneva amplissime rivendicazioni e si estendeva in pratica a tutto il Mediterraneo, che la propaganda fascista, facendo riferimento al diritto “storico” che risaliva ai tempi dell’antica Roma, aveva chiamato “mare nostrum”, nei Balcani e nel bacino danubiano.
Oggi per espandere l’imperialismo italiano in Africa il governo neofascista Meloni ha varato il “Piano Mattei
” definito “il più significativo progetto strategico di questo governo a livello geopolitico di un'Italia che vuole tornare protagonista nel Mediterraneo
”.
Noi siamo solidali con tutti i popoli del mondo che combattono l’imperialismo indipendentemente dalle forze anche anticomuniste che li dirigono. Per questo abbiamo appoggiato lo Stato islamico contro la Santa alleanza imperialista, i talebani che hanno cacciato gli imperialisti occidentali dall’Afghanistan e continuiamo ad appoggiare i movimenti islamici antimperialisti, tra cui il palestinese Hamas, che ancora combattono e non si sono arresi. La loro concezione del mondo, i loro programmi e certi loro metodi di lotta non possono e non devono costituire un ostacolo all’appoggio militante alla loro lotta antimperialista.
Noi siamo al fianco dell’eroico popolo palestinese contro la repressione e lo sterminio da parte dei governanti sionisti e nazisti israeliani, che hanno estromesso con la violenza e il terrorismo le popolazioni arabe autoctone della Palestina, cacciate a forza dalle loro case e dalle loro terre e costrette da allora a vivere come esuli all’estero o come schiavi sotto l’occupazione militare israeliana. Lo Stato ebraico di Israele si comporta col popolo palestinese come Hitler nell’olocausto verso gli ebrei. Noi siamo favorevoli alla posizione uno Stato due popoli, appoggiamo e solidarizziamo con la Resistenza armata palestinese capeggiata da Hamas contro il nuovo Hitler Netanyahu.
Studiare Lenin, ispirarsi a lui e applicare i suoi insegnamenti è stimolante e indispensabile se vogliamo vincere le battaglie di oggi come lui vinse quella di ieri, avendo chiaro che, nelle sue parole: “L'imperialismo è un'epoca di crescente oppressione delle nazioni di tutto il mondo da parte di un pugno di 'grandi' potenze, e perciò la lotta per la rivoluzione socialista internazionale contro l'imperialismo è impossibile senza il riconoscimento del diritto delle nazioni all'autodecisione. 'Non può essere libero un popolo che opprime altri popoli' (Marx ed Engels). Non può essere socialista un proletariato che si dimostri conciliante con la minima violenza della 'sua' nazione su altre nazioni".
Il pericolo di una guerra imperialista mondiale
Attualmente nel sistema imperialista internazionale cresce il capitale accumulato che non trova sbocchi di investimento redditizio. In questo contesto crescono i conflitti tra i paesi imperialisti per il controllo e la redistribuzione dei mercati, le fonti di energia e in generale dei territori con grandi risorse economiche. Le superpotenze imperialiste sono unite nel depredare le ricchezze dei paesi del mondo e nel soggiogare i rispettivi popoli, ma si dividono quando si tratta di spartirsi il bottino e di occupare più terreno possibile.
Le contraddizioni interimperialiste sfociano inevitabilmente in guerre economiche, commerciali e finanziarie e possono generare anche guerre militari, come accade tutt’oggi, finanche mondiali come è accaduto nel passato e come tocchiamo con mano oggi. La tendenza attuale va in quella direzione, tant’è che i pericoli di guerra imperialista mondiale sono i più gravi dalla fine degli anni ‘80.
Se fino a qualche tempo fa la contraddizione principale interimperialista era quella tra USA e Russia, strategicamente lo sarà in maniera più dirompente con la Cina. Le due maggiori superpotenze imperialiste si battono per l’egemonia mondiale. Quella americana cerca di conservare l’attuale ordine mondiale da essa egemonizzato mentre quella cinese si batte per un nuovo ordine “multipolare” da essa egemonizzato. Questa contesa irrefrenabile porta inevitabilmente alla guerra imperialista mondiale. Una qualsiasi questione che colpisca direttamente uno dei due contendenti può farla deflagrare, una miccia potrebbe essere la questione di Taiwan.
L’imperialismo russo con l’aggressione all’Ucraina è tornato a brandire la minaccia all’arma nucleare. Pericoli di guerra si avvertono anche nel continente asiatico. Navi da guerra USA sono penetrate più volte all’interno dell’arcipelago delle Spratly nel Pacifico, intorno all’isolotto creato da Pechino. Quel corridoio marittimo è uno dei più frequentati del mondo, utilizzato soprattutto per il traffico di petroliere tra il Medio Oriente e il Giappone. Qui gli USA hanno avviato l’installazione di una rete di batterie di missili guidati. La Cina ha risposto con il posizionamento di missili tecnologicamente evoluti e lo schieramento della sua flotta. Flotte contrapposte anche di fronte alle acque di Taiwan. Tali "giochi di guerra" su larga scala difficilmente servono alla comune "difesa contro il terrorismo", come si giustificano di solito i socialimperialisti cinesi, ma piuttosto al posizionamento delle proprie forze militari in competizione con la NATO, che secondo la sua carta costitutiva non avrebbe più senso di esistere dopo il crollo dell'allora socialimperialismo sovietico, il cui attivismo imperialista e militarista è foriero di nuove guerre.
L’operazione antisionista “Diluvio di Al- Aqsa” scatenata da Hamas il 7 ottobre scorso, con l’appoggio attivo delle altre forze palestinesi antisioniste, ha fatto da detonatore ai venti di guerra in Medioriente. L’Iran, il Libano, lo Yemen, sono di fatto entrati in guerra con Israele. L’ex segretario di Stato americano Kissinger, scomparso un mese fa, ha detto a più riprese di “temere il pericolo di una guerra mondiale”, che per papa Francesco è già in corso. La prima e seconda guerra mondiale sono state precedute da conflitti locali: la guerra dei Balcani del 1912 e 1913, l’invasione fascista italiana dell’Abissinia (1936), la guerra civile spagnola (1936-39), la guerra sino-giapponese (1937). Ed oggi l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe rivelarsi il presagio di una guerra mondiale imperialista.
In tal caso, in qualsiasi forma l’Italia entrasse in guerra, chiameremo il nostro popolo a unirsi come un sol corpo e a insorgere. Noi marxisti-leninisti non accetteremo mai che l’Italia partecipi, da sola o insieme ad altri, a nuove aggressioni o guerre imperialiste e agiremo di conseguenza come abbiamo sempre fatto nel passato: denunciando e smascherando politicamente l’imperialismo, partecipando attivamente ai movimenti di massa contro la guerra imperialista, chiedendo al governo nostrano il ritiro di tutte le forze militari ancora impegnate nelle missioni imperialiste in tutto il mondo. Chiedendo con più forza che mai la chiusura delle basi NATO e USA in Italia, a cominciare da quella di Sigonella.
Nel Rapporto al 1° Congresso dei cosacchi lavoratori di tutta la Russia del 1° marzo 1920 Lenin rilevava lucidamente: “Incominciano già nuove alleanze e combinazioni, ci si vuol di nuovo gettare gli uni contro gli altri per la spartizione delle colonie, e la guerra imperialistica si avvicina e non si può impedirla non perché ogni singolo capitalista sia un uomo cattivo, - ciascuno di loro, preso a parte, è un uomo come un altro, - ma perché essi non sono in grado di uscire altrimenti dalle pastoie finanziarie, perché tutto il mondo è indebitato, asservito, perché la proprietà privata ha portato e porterà sempre alla guerra”.
E ne “Il programma militare della rivoluzione proletaria” aggiungeva che “Il proletariato deve non soltanto opporsi a ogni guerra di tal natura, ma anche desiderare la disfatta del ‘proprio’ governo e approfittarne per scatenare l’insurrezione per impedire la guerra”.
Bisogna essere chiari fin da ora. Noi chiameremo il proletariato e tutto il popolo italiano alla guerra civile se l'Italia imperialista parteciperà alla nuova guerra mondiale imperialista.
Appello alle forze sostenitrici di Lenin
Il 21 Gennaio prossimo abbiamo un’occasione importante per far sentire tutto l’attaccamento, la riconoscenza, la dedizione dei partiti e delle forze con la bandiera rossa. Uniamoci per commemorarlo insieme. Non dobbiamo andare a Cavriago e a Capri (visitata da Lenin nel 1908 e nel 1910) per pregare affinché Lenin ci ascolti. Ma per ricordare il suo inestimabile patrimonio ideologico e politico e per impegnarsi solennemente ad applicare i suoi immortali insegnamenti.
Lo dobbiamo fare perché le masse comprendano che Lenin, come gli altri maestri Marx, Engels, Stalin e Mao, non sono quei mostri che la borghesia dipinge ma anzi sono degli esempi a cui il proletariato deve inevitabilmente ispirarsi nella lotta per l'emancipazione e per il socialismo.
Il pensiero, gli insegnamenti e l'opera di Lenin sono per noi marxisti-leninisti quanto mai attuali, vitali e indispensabili se non si vuole abbandonare e rinnegare la causa della rivoluzione e del socialismo per abbracciare il pacifismo e l'interclassismo.
La pratica dell’unità d’azione è una costante del PMLI, accentuatasi negli ultimi anni con le importanti esperienze del Coordinamento delle sinistre di opposizione e Unità Popolare. Noi abbiamo fatto quanto era nelle nostre disponibilità e possibilità per far sì che queste esperienze decollassero, lanciando al tempo stesso calorosissimi appelli alle forze anticapitaliste affinché si uniscano per concordare una linea comune contro il governo Draghi prima e Meloni poi, e, novità assoluta, per elaborare assieme un progetto per una nuova società. Gli appelli sono stati rivolti in primo luogo ai Partiti con la bandiera rossa e la falce e martello, al proletariato perché rifletta sul compito che Marx ha indicato nel 1864 alle operaie e agli operai di tutto il mondo, in occasione dell’inaugurazione dell’Associazione internazionale dei lavoratori, e cioè “conquistare il potere politico è diventato il grande dovere della classe operaia”
, alle anticapitaliste e agli anticapitalisti sempre più numerosi e combattivi presenti nella CGIL, nei sindacati di base, nelle Assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, nei centri sociali e nei movimenti di lotta, compreso quello importantissimo delle donne, perché rompano col riformismo, il parlamentarismo, il costituzionalismo e imbocchino la via dell’Ottobre per il socialismo. Un appello rivolto anche alle ragazze e ai ragazzi di sinistra del movimento studentesco e in ogni altro movimento, compresi quelli ecologisti e per il clima, perché siano gli alfieri della lotta contro il governo e studino il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, a partire dal “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels e “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” di Mao, per verificare se esso è la teoria giusta per conquistare il nuovo mondo a cui aspirano. Infine alle intellettuali e agli intellettuali democratici e antifascisti.
Che le nostre bandiere rosse sventolino assieme creando un’unica grande bandiera di Lenin, la bandiera della riscossa e della vittoria del proletariato, la bandiera del socialismo e del comunismo.
Per abbattere il capitalismo e l’imperialismo e conquistare il socialismo nel nostro Paese, noi siamo fedeli agli insegnamenti di Lenin e della storia del movimento operaio e comunista nazionale e internazionale, e come tali lavoriamo, seppur in organizzazioni diverse.
Il 21 Gennaio dovremo essere insieme per Lenin, ma l'impegno comune dovrebbe essere quello di essere insieme anche domani e negli anni a venire per unire le nostre forze nella lotta per migliorare le condizioni di lavoro, di studio e di vita delle masse popolari e lavoratrici del nostro Paese, contro il governo neofascista Meloni, fino all’abbattimento del capitalismo. Solo così i partiti con la bandiera rossa possono lasciare un segno indelebile nella storia della lotta di classe in Italia.
In ogni caso, come ha fatto Lenin, i marxisti-leninisti italiani con il suo stesso ardore anticapitalista, antimperialista e antirevisionista, porteranno fino in fondo il proprio compito storico rivoluzionario. Poco importa se ci vorranno pochi o cento anni; noi siamo qui per fare la nostra parte e la faremo ad ogni costo, oggi come ieri e come in futuro. Questo è l'impegno solenne che rinnoviamo oggi, a cento anni dalla scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale. Per i marxisti-leninisti italiani non c'è cosa più bella, più utile, più rivoluzionaria, più appagante che servire con tutto il cuore il popolo e lavorare per il trionfo della nobile causa del socialismo.
Facciamo nostro l’Appello della Terza Internazionale quattro giorni dopo la morte di Lenin: “Guidati dal pensiero di Lenin, uniamo tutte le forze contro il giogo del capitale! Proletari di tutti i paesi, preparatevi alle prossime lotte rivoluzionarie! Che nel cuore di tutti noi possa regnare un odio del nemico tanto forte e profondo, quanto forte e profondo è il nostro amore per Lenin! L'Esecutivo dell'Internazionale comunista chiama tutte le sue sezioni alle prossime battaglie. Ai milioni di nostri compagni in tutti i paesi gridiamo: seguite l'insegnamento e l'esempio di Lenin, che vivranno eternamente nel nostro partito! Combattete come lui e come lui vincerete!
”.
Teniamo alta la grande bandiera antimperialista di Lenin!
Con Lenin per sempre, contro l'imperialismo, per il socialismo e il potere politico del proletariato!
Il Comitato centrale del PMLI
Firenze, 15 Dicembre 2023