Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda ruote di scorta del governo Meloni
Cancellato il reato di abuso d'ufficio che punisce i pubblici ufficiali corrotti
Svuotato il reato di traffico di influenze. Bavaglio sulle intercettazioni
Il 9 gennaio la prima tranche della controriforma della giustizia del governo neofascista Meloni ha fatto un passo decisivo verso l'approvazione definitiva in parlamento. Si tratta del pacchetto di provvedimenti a firma del ministro della Giustizia Nordio varato in tutta fretta dal Consiglio dei ministri il 15 giugno 2023 per sfruttare l'effetto mediatico della recente morte di Silvio Berlusconi, al quale infatti tali provvedimenti erano stati dedicati: “un tributo per la sua battaglia”, come li aveva orgogliosamente definiti il Guardasigilli neofascista, rammaricandosi che il defunto delinquente di Arcore non avesse potuto vederne la luce.
Una dedica del tutto appropriata, perché si tratta di un insieme di misure per nulla originali ma prese di peso dal repertorio infinito di leggi ad personam
escogitate dagli Azzeccagarbugli di Berlusconi per salvarlo dalle innumerevoli inchieste della magistratura in cui era impelagato (cancellando reati, depenalizzandone altri, cambiando le regole dei processi, e così via), come dimostra un rapido esame del pacchetto in questione.
Le misure del pacchetto giustizia di Nordio
Si comincia con l'abolizione di sana pianta del reato di abuso d'ufficio (articolo 323 del Codice penale) che punisce i pubblici ufficiali e amministratori che violano la legge per procurare a sé stessi, parenti o amici, un ingiusto vantaggio; ovvero un ingiusto danno ad altri soggetti considerati “nemici”. È un tipico reato da colletti bianchi e da corruzione politica, molto atteso dai sindaci, compresi quelli del PD, che lamentano la “paura della firma”, e che hanno fornito l'alibi al governo per la cancellazione pura e semplice del reato.
Si prosegue con lo svuotamento del reato di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.), che commette chi, sfruttando le relazioni con un pubblico ufficiale, si fa dare o promettere, a sé o ad altri, da parte di un corruttore, denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita (reale o millantata che sia) verso un pubblico ufficiale corruttibile. Ma siccome la nuova legge stabilisce che il traffico è ritenuto illecito solo quando è finalizzato a “far commettere un reato”, che tipicamente sarebbe l'abuso d'ufficio, di fatto il traffico di influenze illecite evapora per mancanza del reato collegato. Per soprammercato, dalle relazioni dei faccendieri sono state escluse quelle millantate (vantate ma non reali) e sono stati esclusi i vantaggi non strettamente economici (per esempio prestazioni sessuali, assunzioni ecc.).
Il terzo provvedimento cerca di mettere il bavaglio alla stampa e agli stessi magistrati inquirenti: da una parte c'è il divieto di pubblicare intercettazioni, anche se non coperte da segreto istruttorio, ad eccezione di quelle riportate da un giudice nelle motivazioni di un provvedimento o utilizzate all'interno di un processo. Dall'altra non potranno essere trascritte in alcun modo le conversazioni di soggetti terzi non indagati, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.
Il quarto provvedimento ripropone la cosiddetta “legge Pecorella”, dal nome di un famoso avvocato di Berlusconi, legge che però fu bocciata dalla Corte costituzionale, e che vieta al pm di ricorre in appello contro una sentenza di assoluzione in primo grado, rendendola definitiva. Regola di indubbio vantaggio per gli imputati, che comunque non rischiano nulla perché possono sempre ricorrere in appello se condannati. Il che può rappresentare però un danno anche ai diritti di parti lese. È applicabile per ora ai “reati minori”, ma con la “riforma” Cartabia sono diventati “minori” reati gravi come falsa testimonianza, evasione, istigazione a delinquere, rissa aggravata, lesioni personali, truffa (privata e ai danni dello Stato), ricettazione e alcune violazioni al codice antimafia.
Infine c'è il preavviso di 5 giorni per notificare l'arresto a un imputato, con l'obbligo del magistrato di interrogarlo preventivamente, nel caso non sia previsto pericolo di fuga ma solo di reiterazione del reato. Per di più l'interrogatorio e l'arresto sono effettuati non da un Gip ma da tre giudici, e l'arresto stesso deve essere convalidato da altri tre, per un totale di sei giudici che poi non potranno prendere parte alle successive fasi del procedimento, creando gravi problemi di personale alle procure già cronicamente sotto organico.
In fumo migliaia di sentenze per abuso d'ufficio
Adesso il “pacchetto” sta passando il primo vaglio della commissione Giustizia del Senato (presieduta dall'avvocata leghista Giulia Bongiorno), che ne ha già approvato alcuni pezzi, e presto sarà in aula per il voto e successivamente alla Camera per l'approvazione definitiva. Cadono così miseramente le illazioni delle opposizioni che avevano interpretato il ritardo dell'approdo del “pacchetto” in parlamento come una sorta di insabbiamento dovuto ai litigi interni alla maggioranza. La quale invece dimostra un'unità di ferro nell'attaccare l'indipendenza della magistratura e la libertà di stampa, come ha confermato Nordio appena la Commissione ha approvato l'articolo 1 sull'abrogazione dell'abuso d'ufficio: “Non vi sarà nessuna esitazione da parte del governo e da parte di questo ministero sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio e non esiteremo di un pollice rispetto a quanto abbiamo fatto, detto e promesso”, ha tuonato infatti il Guardasigilli.
L'approvazione è avvenuta anche coi voti di Italia Viva (ma anche Azione di Calenda, non presente in Commissione, è favorevole all'intero “pacchetto”), mentre PD e M5S hanno votato contro, il che conferma che il gruppo renziano e quello di Calenda sono ruote di scorta di questo governo neofascista. Così d'ora in poi i pubblici ufficiali potranno assegnare appalti fino a 150 mila euro a parenti e amici, truccare concorsi e altre malefatte del genere in tutta legalità. L'Italia sarà di fatto l'unico paese in Europa a non avere una legge sull'abuso d'ufficio, tanto che non è escluso che la Ue finisca per metterla in procedura d'infrazione. Secondo Nordio e i sindaci l'abuso d'ufficio sarebbe stato un reato inutile perché nel 90% dei casi le inchieste finiscono nel nulla. Sta di fatto però, data la retroattività dell'abolizione, che se ne andranno invece in fumo oltre 3.000 sentenze di condanna di amministratori corrotti già passate in giudicato.
Via la legge Severino e bavaglio alla stampa
Con un emendamento della Lega è stato poi rafforzato ulteriormente il provvedimento che svuota il reato di traffico di influenze, che per essere applicato non basta più dimostrare lo “sfruttamento” delle relazioni ma occorre la loro effettiva “utilizzazione”: norma che guarda caso sembra cucita su misura per mettere le mani avanti sulle relazioni tra Verdini e Salvini in merito al recente scandalo delle nomine all'Anas, anche se in questo caso il reato sarebbe semmai quello di corruzione.
Sempre la Lega ha cercato, con un emendamento di Erika Stefani, di abrogare anche la legge Severino che sancisce l'incandidabilità o sospende dalla carica per 18 mesi i politici condannati in primo grado per condanne superiori a 2 anni. L'emendamento è stato poi ritirato e trasformato in ordine del giorno del governo (vale a dire in indirizzo politico al parlamento), per le contraddizioni nate in FdI, che sull'abrogazione della Severino non è compatto, avendo fra l'altro votato contro il relativo quesito referendario leghista del giugno 2022.
Ma non basta. Il giorno successivo, 10 gennaio, la Commissione ha approvato, sempre col voto di IV, un emendamento del senatore Zanettin (FI), che rende ancor più stringente il provvedimento che impedisce la trascrizione non solo delle intercettazioni di terze parti non coinvolte direttamente nell'inchiesta, ma perfino dei nomi di queste persone, alle quali deve essere “garantito l'anonimato”. Per tornare all'esempio delle intercettazioni su Verdini padre e figlio, il nome di Salvini non sarebbe potuto neanche comparire nelle trascrizioni. Un altro emendamento di Zanettin dispone la distruzione di tutte le intercettazioni tra indagato e avvocato, che non si possono usare neanche oggi ma che rimanevano comunque agli atti.
Cosa non avremmo saputo di scandali e inchieste
Se a questi emendamenti aggiungiamo la bozza di decreto di Enrico Costa di Azione, approvato con un blitz della maggioranza sotto Natale alla Camera, che vieta ai giornali la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, il bavaglio alla stampa come lo aveva sempre sognato Berlusconi è praticamente servito. Se queste norme fossero state già in vigore non avremmo saputo nulla di tanti personaggi politici non indagati eppur coinvolti in inchieste di corruzione: come quella della procura di Firenze sulle “grandi opere” che portò alle dimissioni dell'allora ministro alle Infrastrutture del governo Renzi, Maurizio Lupi; di quella “Tempa Rossa” che fece dimettere un'altra ministra di Renzi, Federica Guidi; l'inchiesta milanese sulla tentata scalata di Unipol a Bnl, che coinvolse il segretario DS, Piero Fassino; l'inchiesta sulla P3 in cui emersero i nomi di non indagati del calibro di Marcello Dell'Utri, Denis Verdini e dell'ex sottosegretario alla Giustizia Caliendo; lo scandalo Palamara, con i partecipanti attivi seppur non indagati, Luca Lotti e Cosimo Ferri; i maneggi di Renzi per un viaggio gratis con aereo privato negli Stati Uniti (oltre 134 mila euro) utilizzando i soldi pubblici del finanziamento ai partiti stornati sulla sua fondazione personale Open, e via dicendo.
“Surreale abrogare il reato di abuso d’ufficio, ridimensionare il reato di traffico influenza, diminuire in modi obliqui i poteri di indagine della magistratura sui reati dei colletti bianchi, ha commentato l'ex magistrato e ora senatore del M5S, Roberto Scarpinato: così, ha aggiunto, “si favorisce la predazione delle risorse pubbliche da parte dei comitati di malaffare”. “Da quando si è insediato – ha denunciato il magistrato ed ex presidente Anm, Eugenio Albamonte - il governo ha introdotto nuove fattispecie criminali su questioni minori come i rave party o gli imbrattamenti dei muri. Sono misure volute per ragioni di demagogia penalistica […]. È un governo che si mostra forte con i deboli e debole con i forti, che combatte una presunta ribellione di marginalità sociale e vezzeggia i politici locali quando commettono reati”.
E siccome l'appetito vien mangiando, come prossima mossa in attesa della separazione delle carriere dei magistrati, che però richiede una modifica costituzionale e quindi più tempo, adesso il governo si appresta a realizzare quello che era un vecchio desiderio di Berlusconi, mutuato dal Piano di rinascita democratica della P2 di Licio Gelli: i test attitudinali per i magistrati, già proposti l'anno scorso dal sottosegretario e consulente giuridico della Meloni, Alfredo mantovano.
7 febbraio 2024