Stellantis ricatta il governo: sussidi o chiudiamo Mirafiori e Pomigliano
Mirafiori chiusa per due mesi, in cassa integrazione 2.260 lavoratrici e lavoratori, che rispondono con tre scioperi consecutivi
Il gruppo automobilistico Stellantis continua nel progressivo smantellamento della sua produzione in Italia. Nei piani della multinazionale nata dalla fusione del gruppo PSA (Peugeot-Citroen) e FCA (Fiat-Chrysler) c'è il licenziamento di migliaia di lavoratori. In certi casi usando il metodo della “carota”, in altri brandendo il “bastone”. A fine 2023 ha inviato a 15mila dipendenti degli stabilimenti italiani (un terzo del totale, visto che sono 45mila), una mail dal beffardo titolo “costruisci il tuo futuro”, offrendo incentivi e bonus per chi lascerà l’azienda per “nuovi progetti personali e professionali”.
L'anno scorso era stata raggiunta un’intesa con tutti i sindacati (tranne la Fiom) per “l’uscita volontaria” di 2mila colletti bianchi: tra questi, 500 avrebbero accettato, soprattutto a Mirafiori. Il fenomeno non riguarda solo l’Italia. L’azienda del presidente John Elkann e dall'Ammnistratore Delegato Carlos Tavares, ha avviato un programma di “autolicenziamenti”, come sono stati chiamati, anche negli Stati Uniti. Su 12.700 dipendenti in America, la proposta ne ha raggiunti 6.400, circa il 50%. L’offerta è stata rivolta a chi presta servizio da più di 5 anni e non è iscritto al sindacato United Auto Workers (UAW), che ha scioperato in massa nei mesi scorsi contro Stellantis, Ford e GM.
La multinazionale dell'auto si è giustificata affermando che questo è il prezzo da pagare (per le lavoratrici e i lavoratori) per la transizione all'elettrico. Con questo tema ha poi preso la palla al balzo per lanciare i suoi ricatti verso l'Italia. Tavares ha detto chiaramente che se si vogliono evitare tagli e chiusure di stabilimenti lo Stato italiano deve mettere soldi nel gruppo. “L’Italia dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis per il fatto che produce meno nel Paese. Si tratta di un capro espiatorio nel tentativo di evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in l’Italia”, ha dichiarato Tavares.
L’amministratore delegato ha poi aggiunto: “Se non vuoi che i veicoli elettrici progrediscano, devi solo fermare gli incentivi. È ovvio che il governo italiano sta facendo questo. Il mercato dei veicoli elettrici in Italia è molto molto piccolo. È la diretta conseguenza del fatto che il governo italiano non incentiva l’acquisto di veicoli elettrici”. Tavares ha indicato anche quelli che sarebbero le prime vittime nel mirino: lo storico stabilimento torinese di Mirafiori, dove viene prodotta la 500 elettrica, e il sito di Pomigliano.
Le affermazioni di Tavares sono una risposta alla Meloni, al ministro dello Sviluppo economico D'Urso e al Governo italiano che hanno tentato di spiegare e giustificare le difficoltà degli stabilimenti italiani di Stellantis esclusivamente con la volontà di penalizzare il nostro Paese a vantaggio della Francia. In quello che dicono i due “contendenti” c'è un fondo di verità. Il governo neofascista della Meloni è pieno zeppo di negazionisti del cambiamento climatico che ostacolano l'auto elettrica, tanto che in sede europea l'Italia ha votato contro la messa al bando dei motori termici per il 2035. È un dato di fatto che nel nostro Paese la mobilità elettrica è poco diffusa rispetto alle altre nazioni europee.
Così come è vero che, seppur il presidente di Stellantis sia Elkann e l'azionista di maggioranza relativa sia Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli con il 14,4%, a livello industriale e decisionale lo scettro del comando rimane a Parigi e lo stato francese possiede il 6% dell'azienda. Ma non è uno scontro Francia-Italia, tanto che la sede legale è ad Amsterdam e gli ultimi investimenti e modelli sono stati indirizzati in Marocco, Algeria, Serbia e Polonia. Nella stessa Europa occidentale Stellantis produce più auto in Spagna, poi in Italia e per ultima proprio in Francia. Perciò sia la transizione all'elettrico tirata in ballo da Tavares, che la tesi populista e nazionalista del Governo, eludono il nocciolo della questione, ossia che Stellantis sta delocalizzando nei pesi del Nord Africa e dell'Est Europa alla ricerca spasmodica del “costo del lavoro” più basso possibile e di aiuti statali.
Stellantis prosegue sulla stessa linea della Fiat che negli anni ha ottenuto dallo stato una montagna di soldi. La Cgia di Mestre ha calcolato che dal 1977 a oggi lo stato italiano ha dato alle fabbriche degli Agnelli quasi 10 miliardi di euro tra sostegni alla creazione di nuovi stabilimenti (molte volte poi chiusi), macchinari, cig e incentivi. Tavares pretende nuovi sussidi ma è bene ricordare come Stellantis abbia chiuso i primi 6 mesi del 2023 con quasi 11 miliardi di euro di profitti e si appresta a distribuirli ai propri soci in varia forma (dividendi e riacquisto di azioni proprie). Il Ministro D'Urso si è detto comunque disponibile ad entrare nella società. Attualmente Stellantis vale in borsa 65 miliardi di euro. Se lo Stato italiano volesse pareggiare la partecipazione francese dovrebbe investire almeno 3,2 miliardi di euro. Intanto ha già promesso di mettere un miliardo di euro di incentivi, in larga parte per l'elettrico. Soldi già stanziati, parte di quei 6 miliardi destinati all'automotive dal governo Draghi.
Il ricatto di Stellantis e la minaccia di chiusure hanno messo in subbuglio gli stabilimenti italiani. Gli operai di Mirafiori hanno scioperato immediatamente chiedendo garanzie per il futuro, del resto i segnali non sono per niente incoraggianti. La cassa integrazione nella storica fabbrica torinese durerà due mesi, da febbraio è stata prorogata anche a marzo e interesserà 2.260 lavoratrici e lavoratori. A Mirafiori l’ultimo sciopero spontaneo con corteo interno degli operai risaliva a 14 anni fa, nel pieno del durissimo scontro tra Sergio Marchionne e la Fiom-Cgil. Una protesta avviata al termine della partecipatissima assemblea organizzata dalla Fiom, in contemporanea con quella a Pomigliano.
Il numero uno della Cgil Piemonte, Giorgio Airaudo ha denunciato come “dal 2027 Mirafiori non avrà più prodotti. Se non ne arriveranno di nuovi e non ci sarà un’inversione di tendenza sul mercato europeo, la fabbrica sarà ridotta al lumicino”. E questo in una realtà dove “sono 17 anni che dura la cig, l’occupazione complessiva è passata da 20mila a 12mila lavoratori, e negli ultimi anni 1.500 impiegati, tecnici e ingegneri hanno lasciato l’azienda. Ora basta, vogliamo un piano per Mirafiori che ci porti a 200mila vetture, come richiesto dalla piattaforma unitaria, e dia garanzie occupazionali per il prossimo decennio”.
Come racconta il segretario nazionale responsabile automotive dei metalmeccanici Cgil, Samuele Lodi, “Non possiamo assistere al lento, inesorabile spegnimento degli stabilimenti. Stellantis non può continuare a non dare risposte. Dopo la richiesta congiunta di Fiom, Fim e Uilm di un incontro alla presidente del Consiglio e all’AD Tavares, le lavoratrici e i lavoratori chiedono di continuare a mettere in campo iniziative che spingano le istituzioni a tutelare produzione e lavoro. Anche perché al momento il tavolo al ministero non ha prodotto i risultati sperati”. Ancora più preoccupante la situazione dello stabilimento campano di Pomigliano. Qui, dopo la notizia che la Panda elettrica si farà in Serbia, non ci sono modelli da produrre per il futuro.
I sindacati auspicano un ingresso dello stato italiano per pareggiare il peso del governo francese in Stellantis e l'erogazione di nuovi incentivi sulle auto, ma questo evidentemente non basta. La principale richiesta è quella di un piano industriale che assegni nuovi modelli e un futuro agli stabilimenti italiani. Il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, puntualizza: “E se l’obbiettivo che comprende la garanzia occupazionale, la ricerca e sviluppo e la progettazione dei nuovi modelli non è raggiunto, stop ai finanziamenti. Senza dimenticare la componentistica, ossia i fornitori in toto, duramente puniti. Queste le nostre condizioni non discutibili.”
De Palma aggiunge che i problemi per il comparto automobilistico in Italia vengono da lontano. “Nel corso degli ultimi anni l’Italia ha consentito agli azionisti, prima di Fca, ora in compartecipazione con Psa, cioè a Exor, quindi alla famiglia Elkann, una diversificazione di investimento finanziario e non invece nell’innovazione industriale e crescita occupazionale. Nessuno dei governi che si sono succeduti negli anni ha mai chiamato a un tavolo contrattuale la proprietà, pur avendo, per assurdo, sempre assicurato la copertura economica, in termini di bonus o di sostegno attraverso risorse pubbliche e senza alcun riconoscimento al nostro Paese. Al momento della fusione vi erano in carica 55mila addetti, ora non superano 35mila, il Centro di ricerca e sviluppo non ha sostanzialmente missioni, esiste un peggioramento delle condizioni di lavoro e i salari sono inadeguati. Mentre i dividendi degli azionisti e dell’amministratore delegato sono pazzeschi”.
14 febbraio 2024