Riflessioni sull’esperienza delle “Brigate rosse”
di Bruno - provincia di Genova
“Il popolo, e solo il popolo, è la forza motrice che crea la storia del mondo”.
Potrebbe bastare questa citazione del compagno Mao, frutto dell’esperienza rivoluzionaria del proletariato internazionale, a fare comprendere, a fare considerare, che le cosiddette fughe in avanti, il proporsi avanguardie rivoluzionarie ad ogni costo, è una strategia destinata alla sconfitta. Sconfitta non tanto ‘militare’, ma soprattutto ‘politica’. Perché quella ‘fuga in avanti’, che poi altro non è che avventurismo, nasce dalla sfiducia nei confronti della classe operaia, delle masse, di fatto ne diventa un corpo estraneo, persino avverso.
“La guerra rivoluzionaria è la guerra delle masse; è possibile condurla soltanto mobilitando le masse e facendo affidamento su di esse”
, Mao Zedong.
L’esperienza della lotta armata il nostro Paese l’ha vissuta. Quella follia costò la vita di molte persone e cancellò, dalla scena politica, una generazione di sinceri rivoluzionari. Quel balzo avanti nel tempo, compiuto a piedi uniti, si concluse, infatti, su anfore che si riveleranno vuote. Costrinse migliaia di giovani, di compagni, a vivere l’esperienza del carcere; decine di anni di carcere. Vivendo quella fase di vita nell’isolamento, nell’emarginazione. Senza alcun contatto con quella classe sociale che pensavano di rappresentare; la classe operaia. Vissero la costrizione della detenzione, neppure fossero stati una setta, discutendo e ragionando fra di loro, perché così, tutto sommato, avevano come pianificato. Nel merito, la loro tattica, si ridusse nel passaggio alla lotta armata senza aver ricevuto alcun mandato, e cullandosi nell’illusione che, il loro atto politico, potesse mettere il proletariato di fronte a un fatto compiuto, saltando di fatto le analisi, le esperienze consegnate dal movimento rivoluzionario internazionale, ignorando per cui la strategia marxista-leninista.
Il Potere seppe sfruttare quell’occasione offerta. Le B.R. diventarono lo strumento necessario. D’altronde il Potere doveva difendersi, non tanto e non solo da loro, piuttosto doveva respingere ciò che le masse reclamavano dalle piazze, arginare le lotte operaie, impedire il dibattito anticapitalista che da più parti si elevava. Ecco che allora la risposta, che lo Stato implicitamente diede, alle Brigate Rosse, si trasformò, per il proletariato italiano, nella chiusura di spazi politici, la ratifica di leggi speciali. O con lo Stato o con le Brigate Rosse, da più parti si enunciava. E guai a chi dissentiva. E guai a chi, su reali basi marxiste-leniniste, avanzava la propria critica allo Stato borghese, e al capitalismo. Il Potere trovò la scusa, trovò l’espediente, per reprimere il dissenso.
Nessuno può dire di avere la verità in tasca. Tuttavia, la storia, l’esperienza vissuta dalle generazioni passate, e soprattutto lo studio del marxismo-leninismo, possono e devono fare riflettere. Devono consegnare la consapevolezza, alla generazione attuale e a quelle successive, che preparare e organizzare la rivoluzione socialista è un lavoro, è una battaglia, che non si può improvvisare. Che non si può ottenere con improponibili salti in avanti e magari solo perché appaiono affascinanti, o perché sul momento non si intravede una valida alternativa. Fare la rivoluzione non può essere un atto suscettibile di suggestioni. Fare la rivoluzione significa applicare, affidarsi, alla teoria marxista-leninista-pensiero di Mao. Significa avanzare con le masse e fare affidamento, come ci esorta il compagno Mao, su di esse.
Non è un caso che l’esperienza delle Brigate Rosse si concluse con una sconfitta. Non fu un caso perché già all’origine, quella esperienza, era iniziata con il fallimento custodito dentro lo zaino. Quella vicenda si trasformò in una contesa fra bande; lo Stato e le B.R. niente di più.
A conclusione di quella esperienza molti di quei protagonisti si emarginarono culturalmente. Ci fu chi cadde nell’indifferenza, nella rassegnazione, nella depressione, chi si ritagliò uno spazio nichilista. Tuttavia, per tutti coloro che in quel periodo storico furono gli attori, e intendono ritornare a essere protagonisti, non può e non deve che esistere un’alternativa. Smettere le possibili vesti di “cattivi maestri”, o compagni senza alcun luogo a cui approdare, e affrontare la realtà oggettiva, rimettersi nuovamente in gioco, ma questa volta con le masse e con i tempi a cui necessitano.
“I comunisti non si devono mai separare dalla maggioranza delle masse o trascurarla guidando solo pochi contingenti in un’avanzata isolata e temeraria; devono invece preoccuparsi di stabilire stretti legami tra gli elementi avanzati e le larghe masse”
, Mao Zedong.
In ogni modo, per rimettersi o per mettersi in gioco con una prospettiva rivoluzionaria, non è sufficiente stare e non separarsi dalle masse. Occorre aderire e dare la propria militanza a un Partito rivoluzionario. Un Partito con una linea marxista-leninista. Un Partito con un programma politico proletario, anticapitalista, ben definito, con una dirittura morale, corretto, nemico del malvagio. Un Partito con un sito chiaro, pulito, visitabile a chiunque e in cui un sincero rivoluzionario non può che essere attratto, affascinato, convinto. Questo Partito è il PMLI.
Ma attenzione, per essere membri del PMLI occorre essere comunisti, marxisti-leninisti e sinceramente rivoluzionari.
“Se si vuole fare la rivoluzione,
- sostiene Mao - ci deve essere un partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito che si basi sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista e sullo stile rivoluzionario marxista-leninista è impossibile guidare la classe operaia e le larghe masse popolari a sconfiggere l’imperialismo e i suoi lacchè”.
13 marzo 2024