Elezioni regionale in Piemonte e comunali parziali dell’8 e 9 giugno 2024
Milioni di elettrici ed elettori delegittimano le istituzioni rappresentative borghesi disertando le urne
In Piemonte si astiene il 48,1% degli aventi diritto. Alle comunali diserta le urne il 37,4%. Meloni e Schlein, scese in campo in prima persona, non riescono a recuperare la fiducia dell’elettorato astensionista. I nuovi sindaci eletti da una minoranza dell’elettorato. La “sinistra” del regime batte per ora la destra del regime capitalista neofascista 10 a 5. Ballottaggio in 14 comuni capoluogo fra cui Firenze, Bari e Perugia. Tutti i partiti borghesi al servizio dei capitalisti perdono voti rispetto alle politiche 2022
La destra neofascista non si batte con l’elettoralismo ma dando forza alla via maestra rivoluzionaria per cambiare l’italia col socialismo

In concomitanza con le elezioni europee, che hanno catturato la scena principale e l’attenzione dei media e dei partiti del regime, l’8 e il 9 giugno si sono tenute anche le elezioni amministrative parziali che hanno coinvolto quasi 17 milioni di elettrici ed elettori.
Alle urne sono stati chiamati gli elettori del Piemonte per il rinnovo del presidente e del consiglio regionale e di 3.698 comuni sparsi sul territorio nazionale, di cui 223 sopra i 15 mila abitanti e 3.475 al di sotto. Di questi sei comuni capoluogo di regione: Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza; e altri 23 comuni capoluogo di provincia: Ascoli Piceno, Avellino, Bergamo, Biella, Caltanissetta, Cesena, Cremona, Ferrara, Forlì, Lecce, Livorno, Modena, Pavia, Pesaro, Pescara, Prato, Reggio Emilia, Rovigo, Sassari, Urbino, Verbania, Vercelli, Vibo Valentia.
L’astensionismo avanza ancora
Il dato più importante è la conferma, anzi l’ulteriore incremento dell’astensionismo e della diserzione dalle urne. In Piemonte il 48,1% degli oltre 3 milioni e mezzo di elettori che avevano diritto al voto si sono astenuti (hanno disertato le urne, annullato la scheda o l’hanno lasciata in bianco), con un incremento di ben l’8,7% rispetto alle passate regionali del 2019.
Un po’ più basso ma ugualmente assai significativo il dato della diserzione alle urne alle comunali che si attesta al 37,4% complessivo a livello nazionale, esclusi le regioni a statuto speciale Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia che forniscono ed elaborano i propri dati in modo autonomo, con un incremento del 5% rispetto alle precedenti elezioni comunali che in genere si sono svolte anch’esse nel 2019. Abbiamo più volte spiegato che nelle elezioni comunali giocano tantissimo la presenza di numerose liste e di candidati che hanno la possibilità di avere un rapporto più diretto e personale e addirittura familiare con gli elettori per richiamarli alle urne.
Fra l'altro il dato è tanto più significativo perché questa tornata elettorale coinvolgeva per oltre i due terzi comuni del Nord d’Italia e non le regioni del Sud e delle Isole dove l'astensionismo è da sempre più massiccio.
Il risultato astensionista non è mai scontato perché la grande maggioranza dell’elettorato ha dimostrato ormai di non essere ancorato a una scelta precostituita ma ogni volta sceglie e decide se andare alle urne o no e a chi dare il proprio consenso secondo il tipo di consultazione, i candidati e le liste in lizza, la congiuntura economica, sociale e politica. Tanto più scontato non lo era in questa occasione visto quanto hanno investito in questa tornata i partiti del regime e anche personalmente la ducessa Meloni e la segretaria del PD Elly Schlein che si sono girate l’Italia in lungo e in largo alla ricerca di consensi e puntando molto a recuperare voti fra gli astensionisti delle rispettive aree. Per la Meloni queste elezioni erano una specie di referendum sul suo governo, il suo programma e la sua persona anche in vista della controriforma costituzionale e del possibile referendum sul premierato. La Schlein da parte sua ha puntato molto sul “voto utile” e sul ricatto morale e politico verso gli elettori astensionisti democratici, antifascisti e di sinistra a non disertare le urne per arginare l’avanzata delle destre. Un obiettivo sostanzialmente fallito da entrambi.
Considerando le aree geografiche: va molto forte la diserzione al Nord e al Sud. Sopra la media nazionale troviamo infatti Lombardia (38,1%), Veneto (40,7%) e Liguria (41,2%). E poi Abruzzo (38,6%), Molise (41,5%), Basilicata (39%), Calabria (41%), Sicilia (41,9%) e Sardegna (42%).
I maggiori incrementi si registrano soprattutto al Nord: +8% in Veneto, +6,8% in Lombardia. Ma anche l’Emilia-Romagna fa registrare un ottimo 7% al di sopra della media nazionale.
Il segno negativo lo si registra solo in Sardegna dove la diserzione passa dal 44,8% al 42%. Livelli già molto elevati. Il lieve maggior afflusso alle urne dipende soprattutto dall’incremento registrato nei due comuni capoluogo coinvolti, Cagliari e Sassari, nonché nel grande centro di Alghero, e vi ha molto pesato l’effetto traino della vittoria dell’imprenditrice del Movimento 5 stelle, Alessandra Todde, sostenuta anche dal PD, eletta governatrice della regione Sardegna nel febbraio scorso.
I comuni capoluogo nella maggioranza fanno registrare percentuali di diserzione superiore alla media nazionale. Questo sta a significare che più sono piccoli i comuni più il controllo sull’elettorato è serrato.
La palma d’oro spetta a Livorno col 45,2%, poi a Cagliari con il 44,4%, Caltanissetta 44,1%, Biella 43,8%, Pavia 42,2%, Bari 41,8%. Gli incrementi maggiori si registrano invece a Cremona (+8,5%), Cesena (+8,1%), Rovigo (+7,9%), Livorno (+7,8), Biella e Modena (+7,2), Verbania (+7,1%) e Bari (+6,5%).

 

Sindaci e istituzioni rappresentative delegittimate
Hanno poco da cantar vittoria i sindaci riconfermati o eletti già al primo turno. Nessuno di loro riesce a ottenere il consenso della maggioranza delle elettrici e degli elettori della propria città. Il massimo consenso lo ha registrato Marco Fioravanti (Fratelli d’Italia) che si è riconfermato sindaco di Ascoli Piceno con il sostegno di ben 10 liste ottenendo il 73,9% dei voti validi che corrispondono però al 48,8% degli aventi diritto. Gli altri eletti stanno tutti al di sotto del 40% e del 30% senza evidenti differenze fra Nord, Centro e Sud e fra candidati della destra o della “sinistra” borghese. A Biella il neosindaco di destra Marco Olivero è stato eletto solo dal 29,5% dell’elettorato. A Bergamo Elena Carnevali (PD) è stata eletta con il 32,6% dei consensi e ha ottenuto circa 3 mila voti in meno di quelli ottenuti nel 2019 dal suo predecessore Giorgio Gori. A Forlì il destro Gian Luca Zattini è stato confermato col 30,5% e a Prato l’esponente del PD Ilaria Bugetti ha ottenuto il 32,4%. A Cagliari il navigato Massimo Zedda, già sindaco PD dal 2011 al 2019, sostenuto anche dal M5S è stato rieletto col 32,7%, mentre a Sassari Giuseppe Mascia (PD) e sostenuto anch’egli dal M5S, ottiene appena il 29,2%.
È evidente che l’astensionismo ha delegittimato i neoeletti e le istituzioni rappresentative borghesi del regime capitalista neofascista. L’astensionismo di fatto, che lo si ammetta o no, rappresenta una tremenda mazzata per il regime capitalista neofascista, per il suo governo e le sue opposizioni di “cartone”, per le istituzioni rappresentative borghesi, per l’elettoralismo borghese e per tutti partiti del regime, nessuno escluso, anche se partiti, mass media e le stesse istituzioni fanno finta di non vederlo.

 

La “sinistra” borghese per ora batte la destra
In questa tornata di amministrative per ora la meglio l’ha avuta la “sinistra” borghese che comunque già partiva in vantaggio. Nelle elezioni precedenti infatti prevalse in 13 comuni capoluogo, la destra si aggiudicò 12 sindaci, mentre il M5S si aggiudicò due sindaci, a Campobasso e Caltanissetta, e le liste civiche vinsero ad Avellino e Sassari. In questa tornata, fra i comuni che hanno eletto i sindaci al primo turno il rapporto fra “sinistra” e destra sta per ora 10 a 5. Nessun sindaco a M5S e alle civiche. La “sinistra” borghese si riconferma a Bergamo, Cesena, Modena, Reggio-Emilia, Livorno, Prato e Pesaro e strappa alla destra Pavia, Cagliari e Sassari. La destra si riconferma per ora solo a Biella, Ascoli Piceno, Ferrara, Forlì e Pescara.
I ballottaggi che si svolgeranno il 23 e 24 giugno vedranno confrontarsi destra e “sinistra” borghese (in molti casi PD e M5S) a Verbania, Vercelli, Cremona, Rovigo, Firenze, Perugia, Urbino, Avellino, Bari, Lecce, Potenza, Vibo Valentia. A Campobasso e Caltanissetta a confrontarsi con la destra sarà il M5S.

 

Il voto a Firenze e Bari
I risultati di Firenze e Bari erano particolarmente attesi. Per avere il quadro definitivo occorre attendere l’esito dei ballottaggi. Qui la destra ha voluto giocare una sfida di valore nazionale. L’obiettivo della destra in particolare era quello di riprovare a strappare forse l’ultimo significativo baluardo del potere amministrativo del PD.
L’uscita di scena di Dario Nardella, che a fine dei suoi mandati è volato a Strasburgo, il mancato apparentamento col M5S e la concorrenza della lista Italia Viva di Matteo Renzi che candidava Stefania Saccardi, e della lista Firenze democratica dell’ex assessora in quota PD Cecilia Del Re avevano fatto intendere che l’obiettivo fosse alla portata di mano. Per fronteggiare la candidata del PD Sara Funaro, la destra ha messo in campo, un indipendente, ex direttore della Galleria degli Uffizi, Eiwe Schmidt, particolarmente gradito agli imprenditori e alla media e alta borghesia fiorentina. Per ora l’obiettivo però è fallito e la destra si deve accontentare di andare al ballottaggio. Alla Funaro non è riuscita l’elezione al primo turno, e ha ottenuto molti meno voti del suo predecessore Nardella, però va al ballottaggio in vantaggio col 43,2% sui voti validi contro il 32,9% di Schmidt, ed ha già ottenuto il sostegno del M5S e, a titolo personale (IV ha dato libertà di voto), di Stefania Saccardi. E a “reggere il moccolo” al partecipazionismo riformista si è aggiunta la lista Sinistra Progetto Comune, sostenuta da PAP, PRC e Possibile, che ha candidato Dmitrj Palagi.
Nonostante la partita in gioco, le elettrici e gli elettori fiorentini non si sono fatti incantare. L’astensionismo è saldamente il primo “partito” e ottiene il 37,3% con un incremento del 3,9% rispetto al 2019. I voti ottenuti, 107.612, sono oltre il doppio di quelli ottenuti dal secondo partito, il PD, che di voti ne ha ottenuti 51.617 (22 mila voti in meno rispetto al 2019 e diverse migliaia di voti rispetto alle politiche 2022.
Luci puntate sui risultati a Bari dopo la spaccatura fra PD e M5S a seguito degli scandali che hanno investito l’amministrazione comunale Decaro e la regione a proposito dell’intreccio mafia-politica con scambio di voti alle comunali 2019 che hanno portato a febbraio a più di cento arresti. Il candidato del PD Vito Leccese ha ottenuto solo 73.735 voti (il 48% dei voti validi) rispetto ai 114.945 ottenuti da Antonio Decaro nel 2019 che era stato eletto già al primo turno. È riuscito comunque ad andare al ballottaggio e tutto fa supporre che ce la farà a prevalere visto che se la dovrà vedere con il leghista Fabio Romito fermo al 29,1% dei voti validi e che ha già ottenuto il sostegno del candidato del M5S, Michele Laforgia.

 

Il risultato in Piemonte
L’astensionismo in Piemonte vola al 48,1%, 8,7% in più rispetto al 2019. La diserzione dalle urne è al 44,7% (+8% rispetto al 2019). Fratelli d’Italia, che è il secondo partito dopo l’astensionismo, ottiene appena l’11,2% degli aventi diritto e solo il PD col 10,9% ottiene una percentuale a due cifre. Il resto dei partiti sono tutti al di sotto del 10%.
Impressionanti il tracollo della Lega che da 712 mila voti nel 2019 e da 224 mila alle politiche 2022, passa a 155 mila. E il tracollo del M5S che dai 241 mila del 2019 e dal 218 mila nel 2022 passa agli attuali 99 mila. Anche il PD non può cantar davvero vittoria. Rispetto al 2019 cala dal 430 mila a 395 mila e perde un 1,7% sui voti validi rispetto anche alle politiche 2022. Fratelli d’Italia si avvantaggia del crollo della Lega e ottiene 403 mila voti, ma ne perde comunque oltre 160 mila rispetto alle politiche 2022.
In generale sia alle regionali che alle comunali tutti i partiti perdono consensi. Particolarmente evidente per Lega e M5S. Non rilevabile il polso dei partiti del cosiddetto e fantomatico “terzo polo” che a parte sporadici casi, non sono presenti nelle competizioni comunali, testimoniando ancora una volta il loro pressoché inesistente legame con l’elettorato e il territorio. Del resto nemmeno alle Europee sono riusciti a superare il quorum per aggiudicarsi nemmeno uno strapuntino.
Confermato governatore del Piemonte il boss Alberto Cirio già leghista consigliere comunale e vicesindaco di Alba e consigliere ed assessore regionale del Piemonte e poi, passato a Forza Italia di cui è divenuto vicesegretario nel 2024, diventa prima europarlamentare, dal 2014 al 2019, e poi presidente della regione. Quantunque sia stato rieletto col 56,1% dei voti validi rispetto al 49,9% del 2019, perde 45 mila voti dalle precedenti regionali calando dal 30,2% al 29,2% sul corpo elettorale.

 

L’appello del PMLI
Occorre prendere atto una volta per tutte che le istituzioni rappresentative borghesi ormai sono marce, delegittimate, irrecuperabilmente fascistizzate e inservibili a un qualsiasi uso da parte del proletariato e del suo partito sempre ammesso che questo possa accedervi in qualche modo e in qualche misura, viste le attuali regole elettorali. Dopo oltre 70 anni di esperienza e sperimentazione dell’elettoralismo e del partecipazionismo borghesi sarebbe l’ora di ammettere il suo completo fallimento. Persistere a perseguire questa strada da parte del proletariato e dei partiti che si dichiarano comunisti non solo risulta inutile e dispersivo, ma profondamente sbagliato perché così si continua a spargere fra l'elettorato di sinistra illusioni elettorali, costituzionali e governative quando invece avrebbe bisogno di liberarsi completamente da queste catene e agire liberamente sul fronte della lotta di classe e di piazza. L’elettoralismo, il partecipazionismo, il costituzionalismo non serviranno, come dimostra la pratica, nemmeno ad arginare e fermare la destra neofascista che sta procedendo come un rullo compressore a realizzare il suo disegno neofascita, piduista e imperialista a cominciare dall’autonomia differenziata e dal premierato.
Come ha chiarito il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nello splendido Editoriale per il 47° Anniversario della fondazione del PMLI, intitolato “La via maestra per cambiare l'Italia”: “Se non si abbandona ogni illusione costituzionale e non si intraprende la via maestra della Rivoluzione Socialista d'Ottobre niente di sostanziale potrà cambiare ”.
Ne prendano coscienza – ha aggiunto - soprattutto le operaie e gli operai d'avanguardia e le ragazze e i ragazzi che si battono con tanto coraggio contro il fascismo, il razzismo, il governo neofascista Meloni, il genocidio dei palestinesi, le violenze di genere e sulle donne e la militarizzazione delle scuole liberandosi dalle illusioni costituzionali, nonché dalle illusioni elettorali adottando l'astensionismo marxista-leninista, sia per le elezioni politiche e amministrative sia per l'elezione del parlamento europeo. È l'unico modo per delegittimare l'UE che si prepara alla guerra mondiale imperialista ”.
Scuderi ha così chiamato le avanguardie del proletariato, le ragazze e i ragazzi rivoluzionari, ma anche gli intellettuali democratici e antifascisti a fare la propria parte in prima persona: “Occorre che dedichino le loro forze intellettuali e materiali allo sviluppo rivoluzionario della lotta di classe e all'organizzazione della rivoluzione socialista, che studino la teoria della rivoluzione socialista e del socialismo, cioè il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e si uniscano nel e attorno al PMLI. Perché solo col socialismo si può realmente e totalmente cambiare l'Italia sui piani economico, politico, istituzionale, sociale, culturale e morale e trasferire il potere dalla borghesia al proletariato” .
 

19 giugno 2024