Meloni ha continuato a difendere il suo uomo, che era impegnato a sostituire l'egemonia culturale della “sinistra” borghese con quella della destra neofascista
Indagato l'ex ministro Sangiuliano che usava il suo ruolo per interessi sentimentali e personali
Al suo posto Giuli, estimatore di Gramsci, che continuerà la linea neofascista di Sangiuliano
Il 6 settembre il neofascista sanfedista Gennaro Sangiuliano ha rassegnato le dimissioni da ministro della Cultura, travolto dallo scandalo dell'uso della sua carica istituzionale per i suoi interessi personali, tra cui l'aver tentato di nominare consigliera del ministero l'imprenditrice influencer di Pompei Maria Rosaria Boccia, con cui aveva una “relazione sentimentale”. La Boccia avrebbe anche goduto di viaggi pagati con fondi del ministero e avrebbe avuto accesso a informazioni riservate, come quelle riguardanti l'organizzazione del G7 della Cultura del 19-21 settembre, che Sangiuliano aveva spostato appositamente per lei da Positano a Pompei.
Sul capo dell'ex ministro, tornato alla Rai da cui si era messo in aspettativa come ex direttore del Tg2, pende ora un'indagine della Corte dei conti per uso indebito di fondi pubblici, e un'indagine della Procura di Roma con l'ipotesi di reato di peculato e rivelazione e diffusione di segreto d'ufficio, che nasce da una denuncia depositata dal deputato di AVS Angelo Bonelli: “Un atto dovuto”, ha minimizzato l'avvocato di Sangiuliano riguardo all'apertura del fascicolo, che dovrebbe passare adesso al Tribunale dei ministri. Al posto di Sangiuliano subentra un altro giornalista di area neofascista, Alessandro Giuli, fino a ieri direttore del museo romano di arte moderna Maxxi, che ha giurato nelle mani di Mattarella subito dopo la lettera di dimissioni del suo predecessore.
Lo scandalo viene a galla e il gioco della Boccia
Lo scandalo, di cui molti sapevano (e temevano) nella maggioranza di governo, e che già aveva cominciato ad affiorare sui quotidiani a fine agosto con l'uscita delle foto di Sangiuliano insieme alla Boccia, era esploso in pieno il 2 settembre quando il sito Dagospia
aveva rivelato il coinvolgimento della sua presunta amante, che non aveva nessuna carica ufficiale al ministero, nell'organizzazione del G7 Cultura a Pompei, adesso ritornato a Positano. In particolare con la condivisione da parte del direttore del museo pompeiano di email e informazioni sull'indirizzo privato dell'influencer, circostanza confermata dalla stessa interessata sul suo account Instagram, con tanto di documenti a riprova.
In sostanza, già a fine agosto, Dagospia
aveva rivelato che grazie alla sua relazione con Sangiuliano, la Boccia avrebbe dovuto essere nominata consigliera del suo ministero, ma la promessa non era stata mantenuta, e la nomina era saltata per un intervento esterno: forse la moglie del ministro, forse la stessa premier Meloni o qualcuno della sua cerchia di fedelissimi. Mentre il ministro tentava goffamente di negare tanto la relazione quanto l'illecito favoritismo. Da qui partiva uno stillicidio di rivelazioni della Boccia, per vendetta o per ricatto, con la pubblicazione di foto che la ritraevano insieme al ministro in diverse situazioni istituzionali, e con tanto di email e documenti per dimostrare non solo che la sua assunzione come consigliera le era stata promessa, ma che la delibera era già stata firmata a metà luglio da Sangiuliano, che però a fine agosto l'aveva stracciata. Oltre a ciò l'imprenditrice pubblicava le ricevute comprovanti i viaggi aerei pagati coi soldi del ministero, sia per alcune missioni istituzionali, sia per viaggi privati per assistere a concerti.
Meloni ha difeso fino all'ultimo il suo uomo
Una miscela esplosiva tale da preoccupare non poco la premier neofascista, non tanto per la relazione extraconiugale del suo ministro, quanto per le implicazioni imbarazzanti per la già abbastanza squalificata squadra di governo: come l'uso di fondi pubblici a scopo privato e l'accesso non autorizzato a informazioni riservate riguardanti l'organizzazione del G7 Cultura da parte di una persona del tutto estranea al ministero.
D'altra parte, come dimostrano i casi Santanché e Delmastro, nella sua istintiva arroganza fascista e per non dare prova di debolezza, la ducessa si è sempre opposta alle dimissioni dei suoi fedelissimi inquisiti, qualunque fosse la gravità delle accuse, attribuendo queste ultime a “complotti” della magistratura e delle opposizioni e a “campagne mediatiche” dei giornali avversi al governo. E anche in questo caso non ha fatto eccezione, respingendo le dimissioni presentate dal ministro, difendendolo pubblicamente e rivendendo per credibili le sue rassicurazioni che dalle casse del ministero non erano usciti neanche i soldi per pagare un caffè alla signora, e che tutti i viaggi erano stati pagati di tasca sua. Quanto alle informazioni sul G7 Cultura era tutta colpa di un errore del direttore del museo di Pompei. Inoltre il ministro si appellava al fatto che le sue dimissioni non sarebbero state giuste, dal momento che le accuse a Santanché e Delmastro erano ben più gravi delle sue.
Dimissioni respinte, dunque, a patto però che il ministro andasse in televisione a spiegare la sua versione dei fatti, e soprattutto a dire che era stato lui stesso a decidere di non nominare la Boccia perché “accortosi” del conflitto di interesse in quanto coinvolto sentimentalmente con lei. Cosa che ha fatto il giorno successivo utilizzando come fosse un suo canale privato il Tg1 del meloniano Gian Marco Chiocci, con un'intervista compiacente e lacrimosa in cui ha detto di aver pagato tutto di tasca sua, con tanto di esibizione di scontrini, ha ammesso la relazione con la Boccia ma di averla già troncata a fine luglio per tornare dalla moglie, e di avere per questo interrotto di sua iniziativa la procedura di nomina a consigliera. Un altro particolare falso, visto che la mail al suo capo di gabinetto per stoppare la pratica porta invece la data del 26 agosto, lo stesso giorno delle rivelazioni di Dagospia
sulla vicenda.
Una figura tanto vergognosa quanto grottesca, quella di Sangiuliano, a cui peraltro la Boccia rispondeva con altri post e interviste che lo sbugiardavano, minacciavano di fare i nomi di altre persone assunte come consigliere senza averne titolo ma solo perché amiche del ministro o di altri membri del governo, come la direttrice d'orchestra e amica della premier, Beatrice Venezi, e cominciavano a tirare in ballo la stessa Meloni e la sua famiglia allargata al governo, insinuando che fosse invece partito da lì l'ordine di stralciare la sua nomina a consigliera: in particolare cominciavano a circolare voci di un coinvolgimento di Arianna Meloni e del di lei ex convivente, il ministro dell'Agricoltura Lollobrigida, da poco separati, che la Boccia alimentava ad arte postando un selfie insieme al ministro.
Non un caso personale ma politico
Insomma, non solo l'intervista-farsa di Sangiuliano non aveva spento il fuoco, ma questo rischiava di diventare un incendio, anche perché nessuno sa con precisione che cosa ha ancora in mano la Boccia, per cui alla premier neofascista non è rimasta altra scelta che farlo dimettere e sostituirlo in corsa con Giuli, anche per non lasciare il tempo ai suoi alleati Tajani e Salvini di avanzare le loro pretese sul ministero. Cercando così di mettere a tacere il tutto sotto la voce “faccende private” del ministro, come se fosse solo un caso di gossip cavalcato pretestuosamente dalle opposizioni: “Questa è una vicenda di vita privata. C’è stata una forte campagna mediatica su una questione privata, fermo restando che lui ha sbagliato a trasformare una questione privata in un fatto pubblico”, dichiarava Meloni in margine al convegno di Cernobbio cercando di cavarsela a buon mercato. E rincarava con la solita solfa vittimistico-accusatoria: “Se qualcuno pensa che situazioni come questa possano indebolire il governo si sbaglia. Morto il re, viva il re. Dimesso un ministro, buon lavoro al nuovo ministro”. Anzi, aggiungeva con la consueta sicumera: “Se arrivo a Natale il mio governo sarà il più longevo d’Italia”.
E invece questa è tutt'altro che una faccenda di gossip, ma è una questione prettamente politica. Sangiuliano si è dovuto dimettere perché ha mentito al Paese ed ha usato il suo ruolo istituzionale per i suoi interessi sentimentali e personali. E anche perché la sua grottesca vicenda ha messo a nudo ancora una volta l'incapacità e l'impresentabilità dei personaggi di cui l'arrogante premier neofascista si è circondata. L'ambizioso pallone gonfiato, che si era dato la missione di sostituire la cosiddetta egemonia culturale della “sinistra” borghese con quella della destra neofascista al governo sulla base della triade “nazione, patria, modernità”, cominciando col rivendicare buffonescamente, scimmiottando Mussolini, la discendenza della cultura di destra direttamente da Dante, si è rovinato infatti con le sue stesse mani, con l'ultima e la più clamorosa delle molte sue ridicole gaffes.
Non senza tuttavia rivendicare pomposamente i “risultati” del suo ministero, tra cui la legge che ha tagliato le sovvenzioni alle piccole produzioni cinematografiche per concentrarle sulle produzioni più grosse, e soprattutto più in linea con la “cultura” di governo, cioè neofascista. E ha fatto in tempo a firmare anche un'ultima infornata di nomine di “esperti” e giornalisti della stampa di destra, tra cui Specchia di “Libero” e Mascheroni de “Il Giornale”, ben 18 persone per la commissione che dovrà giudicare sui finanziamenti ad opere cinematografiche.
Chi è Giuli, neofascista doc dal volto “dialogante”
Adesso tocca a Giuli continuare la missione del suo fallito predecessore, cioè affermare l'egemonia culturale della destra, cosa che farà con non meno pertinacia anche se forse più furbizia di lui, visto che il nuovo ministro, a differenza del sanfedista Sangiuliano, sfoggia un eclettismo culturale che va da Evola a Gramsci e coltiva legami anche con l'intellighenzia della “sinistra” borghese. Tant'è vero che un'offerta di dialogo politico-culturale gli è arrivata immediatamente dal filosofo ex operaista Massimo Cacciari, con un'editoriale su La Stampa
del 12 settembre, augurandosi che “il suo ministero possa segnare un punto di svolta nel dibattito intorno alle politiche culturali così acceso in Italia dopo la formazione del governo Meloni”. E il punto di contatto tra i due e tra le rispettive culture sarebbe proprio Gramsci, di cui anche Giuli come Cacciari è un estimatore; che secondo il filosofo “non è comprensibile senza l'attualismo gentiliano”, tanto che “la cosiddetta egemonia della 'sinistra' nel secondo dopoguerra si fonda ancora su una 'affinità' gramsciano-gentiliana”: “Su queste basi e non altre - cioè sul duopolio culturale Gramsci-Gentile, conclude Cacciari - lei, ministro, favorisca una sana ricerca di 'egemonia'”.
Ma abboccare agli atteggiamenti suadenti e ambigui di questo personaggio significa ignorare o fingere di ignorare la sua matrice marcatamente neofascista che questi camuffano. Giuli non solo viene dal Fronte della gioventù missino come Giorgia Meloni, ma come fondatore del movimento neofascista Meridiano zero era ideologicamente molto vicino a Ordine nuovo, anche se successivamente ha cercato di minimizzare e nascondere questa sua formazione assumendo una postura da radicale e liberale di destra, affinata nella redazione del Foglio
sotto la guida del rinnegato Giuliano Ferrara (“sono un vecchio camerata che ammira Gramsci”, dice di sé stesso) e successivamente nelle tante comparsate televisive.
Tuttavia è e resta un neofascista doc, frequentatore fisso delle feste di Atreju, tuttora cultore del neopaganesimo, ammiratore di Trump e del suo consigliere ed ideologo dell'internazionale nera Steve Bannon, nonché – almeno prima del 2022 - estimatore di Putin, “patriota” e difensore dei “valori tradizionali”. Ma soprattutto è un fedelissimo della Meloni e facente parte del suo “cerchio magico” (sua sorella è stata portavoce di Lollobrigida e ora delle due sorelle d'Italia), tanto da essere designato dalla ducessa, insieme a Sangiuliano (che lo aveva nominato a dirigere il Maxxi) e a Pietrangelo Buttafuoco (premiato con la direzione della Biennale di Venezia), della triade da lei incaricata a scalzare e sostituire l'egemonia culturale della “sinistra” borghese.
18 settembre 2024