I lavoratori migranti pagati il 30,7% in meno rispetto ai lavoratori italiani

Secondo un report dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) dal titolo “Il divario retributivo dei lavoratori migranti in Italia”, coloro che giungono nel nostro Paese per migliorare le loro condizioni di vita, guadagnano in media il 30% in meno rispetto ai lavoratori nazionali.
Dai “cinque messaggi chiave” contenuti nel rapporto che ILO ha presentato, emerge quadro nei rapporti di lavoro – a partire da quelli più poveri - che aggrava una situazione di piena difficoltà generale già esistente nel nostro Paese, considerato che l'Italia è uno dei pochi a livello europeo (e l'unico tra quelli maggiormente industrializzati) che registra ogni anno arretramenti salariali netti e concreti in base al potere d'acquisto.
Venendo ai numeri, nel 2019 il divario salariale dei lavoratori migranti nel “Belpaese” si attestava al 29,6 per cento, in aumento quasi tre punti percentuali in più rispetto al biennio 2014/15. Negli ultimi cinque anni, il divario retributivo dei migranti è aumentato ancor di più in alcuni paesi ad alto reddito, incluso il nostro che si posiziona quarto tra i 20 con maggiore divario salariale, nei quali il salario orario dei lavoratori migranti è di circa il 13 per cento in meno rispetto a quello dei lavoratori nazionali.
Un profondo solco, che marca una condizione di sfruttamento nello sfruttamento, e che non si riduce nemmeno quando le qualifiche tra lavoratori nazionali o stranieri sono simili: è appurato infatti che i lavoratori migranti con un livello di istruzione più elevato hanno meno probabilità di ottenere lavori maggiormente qualificati rispetto agli italiani. Infatti, nonostante l'istruzione secondaria sia stata raggiunta dal 75% dei nazionali e dal 70% dei migranti, dati praticamente identici, in Italia la quota dei lavoratori migranti impiegati in lavori ad alta qualifica è di circa il 20 per cento mentre quello dei lavoratori nazionali è di circa il 60 per cento, tre volte tanto.
Uno squilibrio che, secondo il report , solo in minima parte è dovuto alle difficoltà relative al riconoscimento delle qualifiche, dell’esperienza professionale e delle conoscenze acquisite dai lavorati migranti in Paesi diversi dall’Italia prima di giungervi. Sicuramente la mancanza di strutture pubbliche di collocamento e di riconoscimento di tali competenze sul nostro territorio nazionale, alimentano certe dinamiche che fanno il gioco delle aziende, che possono inserire così nei propri organici professionalità qualificate ma formalmente non riconosciute, sottopagandole anche in presenza di contratti di lavoro più o meno regolari.
A conferma di un sistema lavorativo italiano razzista oltre che classista, basta prendere in esame le tipologie di contratto e la collocazione settoriale che i lavoratori migranti hanno. Circa il 30 per cento dei migranti che lavorano in Italia infatti ha un contratto a tempo determinato, mentre la proporzione dei lavoratori nazionali con lo stesso tipo di contratto si attesta a meno del 15 per cento. I migranti, in base alla loro presenza, sono ampiamente sovrarappresentati nel settore primario (agricoltura, pesca e silvicoltura) e nel settore secondario (attività estrattive, industria manifatturiera elettricità, gas e acqua e edilizia), dove lo sfruttamento e la carenza di sicurezza, di formazione e di controlli sul lavoro la fanno da padrone, mantenendo un quadro lavorativo deregolamentato e pericoloso.
Uno degli elementi più importanti del report è l'analisi sulle ragioni che tentano di spiegare certi divari salariali. Queste ragioni, in generale sono molteplici e differiscono a seconda delle caratteristiche del mercato del lavoro nazionale (come ad esempio il settore industriale, la dimensione dell’impresa ed anche l'ubicazione geografica), dell’occupazione (orario pieno o a tempo parziale, contratto a termine o a tempo indeterminato ecc.) ed individuali del lavoratore (età, genere, esperienza e livello d’istruzione). Ciò nonostante questa ampia analisi giustifica – sempre nell'ambito dei rapporti di lavoro capitalistici e borghesi – la condizione di ulteriore ingiustizia e sfruttamento che colpisce due migranti occupati su tre.
In Italia infatti, sostiene il report , è presente una componente “non spiegata” che si attesta a circa il 31 per cento; ciò significa che un lavoratore migrante su 3, quando assicurato, è semplicemente quanto chiaramente discriminato nell'impiego solo per il fatto di essere tale.
L’Italia, fra l'altro, sale sul podio europeo di questa classifica della vergogna, piazzandosi al terzo posto dopo Spagna (48,6 per cento) e Cipro (44,5 per cento). Ma anche a livello globale, il nostro Paese centra la top 20 dei livelli significativamente più elevati di divari retributivi “non spiegati”.
Infine, siccome le dinamiche economiche e sociali del capitalismo si abbattono nefaste sulle masse operaie e popolari e, come sosteniamo sempre, in particolare sui giovani e sulle donne, anche su questo tema non esiste eccezione. Secondo l'ILO infatti le donne migranti lavoratrici – il cui 65,8 per cento è occupato nei lavori domestici, nell’assistenza e nella cura - sono doppiamente svantaggiate: al divario salariale precedentemente illustrato si aggiunge infatti anche quello di genere che le porta in Italia a guadagnare il 12 per cento in meno ai lavoratori migranti uomini, mentre lo stesso gap tra le lavoratrici e i lavoratori nazionali è di 10 punti percentuali. Divario che ovviamente si somma a quello salariale dei lavoratori migranti rispetto a quello dei nazionali precedentemente illustrato.
Concludendo, in un Paese che spicca già per i salari bassi, il lavoro sottopagato, sfruttato e precario, le condizioni dei migranti e delle migranti è ancora peggiore e mette alla berlina un sistema lavorativo frutto di politiche lavorative filopadronali, neoliberiste, ma anche razziste, nel quale in tutta sincerità latita anche una incisiva azione sindacale che servirebbe come il pane, ma che non c'è. In ogni caso, per fare una valutazione complessiva e realistica della questione, non possiamo dimenticare che a fianco di questi lavoratori e di queste lavoratrici, c'è un esercito di circa 4 milioni di persone che quotidianamente per qualche ora o per l’intera giornata si recano al lavoro proprio nei settori in cui la presenza dei lavoratori migranti è maggiore come nei campi, nelle aziende, nei cantieri edili o nelle abitazioni degli italiani per esercitare un’attività lavorativa a nero, con salari ridicoli, senza contributi previdenziali, senza formazione, né tutela alcuna. In Italia infatti il tasso di irregolarità sul lavoro è al 12,8 per cento (fonte CGIL) ed il peso del valore aggiunto generato dall’economia sommersa è del 4,9 per cento e finisce tutto nelle mani dei padroni, sporche di sangue e del sudore dei lavoratori e delle lavoratrici che sfruttano.
In ogni caso, per ridare salario, dignità e sicurezza ai lavoratori ed alle lavoratrici, migranti o italiani che siano, serve chiudere col capitalismo e le sue dinamiche politiche, economiche e sociali e conquistare il socialismo. Non c'è altra soluzione; il nostro auspicio è che proprio le masse popolari sfruttate lo comprendano e siano disposte a lottare con noi per questa nuova società senza padroni né sfruttamento.

25 settembre 2024