Per sequestro di persona e per aver negato il porto a 147 migranti
Chiesti 6 anni per Salvini
Meloni: “È un precedente gravissimo. Salvini ha difeso i confini italiani dall'immigrazione illegale”
Conte e i 5 Stelle non hanno nulla da dire?

Al termine di una inflessibile requisitoria durata oltre sette ore, il 14 settembre la procuratrice aggiunta di Palermo, Marzia Sabella, insieme ai sostituti Gery Ferrara e Giorgia Righi, hanno chiesto sei anni di reclusione per l'allora ministro degli Interni del governo Conte e attuale vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.
Il caporione dei fascioleghisti è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio (articoli 605 e 328 del codice penale) per avere illegittimamente impedito per 19 giorni, nell'agosto del 2019, lo sbarco a Lampedusa di 147 naufraghi salvati in mare dalla Open Arms.
La pena prevista va dai 3 ai 15 anni di carcere in quanto “Il reato è aggravato per essere stato commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, nonché in danno di soggetti minori di età”.
Secondo la pubblica accusa “Salvini era consapevole della illegittimità dei suoi atti” dal momento che “Quelle sue inedite posizioni diedero luogo a un vero e proprio caos istituzionale: la strategia perseguita fu di piegare le norme alla politica dei porti chiusi”. Pertanto Salvini, secondo i Pm, è pienamente responsabile dei reati contestati in quanto “Aveva l’obbligo di concedere il porto sicuro e non lo fece” e “Questa situazione costrinse le altre istituzioni coinvolte ad approntare soluzioni di fortuna non potendo di certo permettersi di lasciare quei naufraghi senza terra”.
La procuratrice Sabella ha chiarito che “Non si può invocare la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare”. Le regole imposte da Salvini “furono incapaci di tutelare i diritti”. Mentre il sostituto procuratore Ferrara ha aggiunto che si tratta “iter criminoso nel non concedere il Pos, il place of safety”. Perché il migrante “ha diritto di arrivare in un porto sicuro. I diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini”. Il magistrato ha richiamato in aula anche le convenzioni internazionali che “impongono delle responsabilità agli Stati”, soprattutto quando i migranti da salvare sono minorenni “C’è l’obbligo di soccorso in mare”.
A conclusione della sua requisitoria la procuratrice Sabella ha motivato la richiesta di condanna con queste parole: “Pensiamo che il dibattimento abbia dimostrato che almeno dal 14 agosto 2019 sussisteva il chiaro e preciso obbligo del ministro italiano e di nessun altro di rilasciare il Pos. Che tale Pos doveva essere rilasciato senza indugio, non un’ora dopo rispetto al momento in cui era stato richiesto; che il diniego avvenne in intenzionale e consapevole spregio delle regole; che l’intenzionale e consapevole spregio delle regole non avvenne per ragioni di natura preventiva o repressiva, né nella tutela dello stesso migrante ristretto, né per altro bene tutelato dall’ordinamento giuridico; che l’intenzionale e consapevole spregio delle regole non avvenne nel tentativo di proseguire un disegno politico governativo, magari con qualche forzatura giuridica non giusta ma quantomeno tendente alla giustizia. Che dunque il diniego consapevole e volontario ha leso la libertà personale di 147 persone per nessuna, ma proprio per nessuna, apprezzabile ragione... Vorremmo leggere uno dopo l’altro i nomi di queste persone per ricordarle nella loro individualità perché è anche per ciascuna di queste persone che chiediamo la condanna dell’imputato, oltre che per difendere i confini del diritto”.
Anche per i legali di alcuni dei 147 naufraghi della Open Arms e delle varie associazioni e organizzazioni che si sono costituite parti civili "ci sono tutte le condizioni per affermare la responsabilità penale dell'allora ministro dell'Interno". La requisitoria della Procura, hanno aggiunto gli avvocati, è stata "fatta in modo molto argomentata sia sulla ricostruzione dei fatti sia sulle disposizioni giuridiche che sono state violate dell'imputato".
Su questa base il 20 settembre, nelle cinque ore di udienza dedicate alla discussione delle loro tesi, i legali delle parti civili hanno chiesto oltre alla condanna penale di Salvini anche un risarcimento danni per i loro assistiti per un totale di oltre un milione di euro.
"Sulla nave c'era un carico di umanità dolente, l'imbarcazione si trovava in condizioni meteorologiche difficili - ha sostenuto l'avvocato della ong spagnola, Arturo Salerni - Di fronte a queste persone sguarnite di ogni difesa la pubblica autorità con il suo vertice, al di fuori di ogni previsione normativa, decise di privare della libertà le persone che si trovavano in quella condizione. Siamo di fronte all'esercizio di un potere che contrasta con i principi fondamentali del nostro ordinamento, oltre che in contrapposizione col diritto umanitario internazionale".
Per l'avvocato dell'Arci, Michele Calantropo, "il pugno duro di Salvini contro 147 disgraziati era lo strumento elettorale per potersi differenziare perché in quella fase c'era uno scontro politico all'interno del governo, come hanno dichiarato alcuni ex ministri sentiti nel processo".
Tesi ribadita anche dal legale dell'Associazione nazionale giuristi democratici, Armando Sorrentino, il quale ha ricordato: "Il 9 agosto di cinque anni fa Salvini disse che si andava al voto e il giorno dopo i giornali titolarono: 'Salvini, voglio pieni poteri'. Quel giorno Salvini ruppe con gli alleati".
Per la prima volta dall'inizio del processo, cominciato tre anni fa, in aula si è presentato anche uno dei 147 naufraghi. Un giovane gambiano, Musa, 20 anni, accompagnato dal proprio avvocato, Serena Romano, che ha ricostruito la storia del ragazzo che all'epoca aveva 15 anni.
"Sono stati 17 giorni molto difficili sulla Open Arms, avevo paura anche del mare - ha detto il giovane ai cronisti - Non è facile per me ricordare, cercavo di dormire sulla nave per non pensare, ma era molto difficile. Ora vivo in Sicilia, ho studiato qui, lavoro. Per questo dico grazie mille ai siciliani e agli italiani".
Gli altri naufraghi difesi nel processo, invece, si sono rifiutati di testimoniare o presenziare alle udienze. "Rappresento tre nigeriani, vivono adesso a Postdam in Germania, quando ho chiesto di tornare in Italia per il processo si sono rifiutati, erano ancora terrorizzati", ha riferito l'avvocato Mario Antonio Angelelli, che difende anche il comune di Barcellona.
Sostenuto a spada tratta da tutta la maggioranza di governo, Salvini, invece di presentarsi in aula e rispondere davanti ai giudici dei reati che gli vengono contestati, fin dall'inizio del processo si è proclamato “vittima della magistratura politicizzata” e ha imbastito una violenta campagna mediatica per attaccare e screditare i giudici, il parlamento e l'aula del Senato che il 30 luglio 2020, con 149 sì e 141 voti contrari, ha concesso l’autorizzazione a procedere e lo ha mandato a processo. I suoi proclami mediatici sono diventati virali tanto da richiamare alla memoria le concioni mussoliniane dal balcone di palazzo Venezia.
“Sei anni di carcere per aver bloccato gli sbarchi e difeso l’Italia e gli Italiani? Follia. Difendere l’Italia non è un reato e io non mollo, né ora né mai. Mi dichiaro colpevole” ha tuonato via social il caporione fascioleghista appena appresa la notizia della richiesta di condanna dei giudici palermitani.
Al suo fianco si è subito schierata la presidente del Consiglio Giorgia Meloni la quale, invece di dimissionare il suo ministro, non solo gli esprime “totale solidarietà” ma addirittura rincara la dose di accuse contro la magistratura affermando fra l'altro che: “È incredibile che un ministro della Repubblica italiana rischi 6 anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini... Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo”.
A fare quadrato introno a Salvini anche l’altro vice premier e boss di Forza Italia, Antonio Tajani, secondo il quale il collega di governo ha “fatto il suo dovere di ministro. Sono convinto che c’è sempre un giudice che riconosce la correttezza del comportamento di un ministro, il cui compito è anche quello di difendere la legalità, e ritengo che Salvini l’abbia fatto”.
A difesa di Salvini si è schierato anche Matteo Piantedosi, oggi ministro dell’Interno e all’epoca dei fatti capo di gabinetto di Salvini, il quale è convinto che “Il rischio di una condanna a sei anni di carcere, per aver fatto fino in fondo il suo dovere nel contrasto all’immigrazione irregolare, è una evidente e macroscopica stortura e un’ingiustizia per lui e per il nostro Paese”.
Sostegno per Salvini anche da Oltreoceano da parte di Elon Musk (l’uomo più ricco del mondo, sostenitore e finanziatore di Trump, padrone di SpaceX, Tesla e X) il quale attraverso un tweet nella piattaforma di sua proprietà X ha dichiarato: "Quel pazzo pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per 6 anni, questo è pazzesco".
A dir poco vergognoso risulta invece il silenzio tombale da parte del Movimento 5 stelle e dell'allora premier Giuseppe Conte. Forse perché trovano difficoltà a spiegare come mai il 26 maggio 2020 la Giunta per le immunità del Senato del governo Conte II ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere contro Salvini presentata dai giudici palermitani?
Mentre l’ex pentastellata, e all’epoca ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, addirittura cerca di minimizzare le responsabilità di Salvini affermando fra l'altro che: “Sei anni devo dire che mi sembrano troppi, una pena eccessiva per un ministro che ha compiuto un’attività nell’ambito del suo ruolo, anche se ritengo che sia andato oltre il suo mandato”.

25 settembre 2024