Discorso di Raffaele a nome della Cellula “Vesuvio Rosso” del PMLI
Prendiamo esempio dalle gloriose Quattro Giornate di Napoli e uniamoci per buttare giù il governo neofascista Meloni

Compagne e compagni, antifascisti e antifasciste, amici e amiche,
sono Raffaele e vi porto il saluto della Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli del Partito marxista-leninista italiano. Grazie per l’invito in questa serata importante che vuole ricordare con forte e vigoroso senso antifascista le “Gloriose Quattro Giornate di Napoli”, un evento storico grandioso che 81 anni fa vide il popolo partenopeo cacciare definitivamente la teppaglia nazifascista agli ordini di Hitler e Mussolini, prima città europea a liberarsi nelle giornate che vanno dal 27 settembre all’alba del 1 ottobre 1943.
La scintilla che diede fuoco alla prateria in Campania, in realtà, scoccò nella zona del salernitano prima nella Valle del Diano e poi nel Cilento, dove i primi ribelli antifascisti - i primi veri e propri partigiani - all’inizio del settembre del 1943 ruppero gli indugi e cominciarono a respingere nazisti e fascisti dalle campagne. In particolare, le masse popolari di Montesano sulla Marcellana, ai confini con la Basilicata, alzarono il vessillo dell’antifascismo e furono tra i primi paesi liberati nel territorio campano, probabilmente tra il 10 e il 12 settembre 1943.
Di quegli anni, di quei combattimenti, di quelle storie antifasciste ancora si deve raccontare tanto e per la prima volta con l’esposizione fotografica “Terra bruciata” il recupero della memoria di quegli anni si è dilatata verso zone sconosciute o poco raccontate, come nel caso della strage di Caiazzo oppure le fucilazioni in piazza Annunziata a Giugliano. Ancora oggi, dopo più di 80 anni vi sono segni evidenti di quegli anni terribili: si pensi soltanto che la strada di via San Nullo che collega Pozzuoli a Giugliano contiene ancora, su diversi lati, i vecchi bunker con i quali i nazifascisti controllavano il territorio a nord di Napoli.
Antifasciste e antifascisti,
noi marxisti-leninisti rendiamo omaggio al coraggio e all'eroismo delle masse popolari partenopee che diedero vita a una grandiosa rivolta che vide uomini, donne, giovani e giovanissimi con in testa gli "scugnizzi" dei quartieri popolari, insorgere contro gli occupanti nazisti e i loro servi aguzzini in camicia nera, dando così un grosso impulso allo scoppio della guerra di Liberazione nel resto d'Italia. Tra questi ci piace ricordare un amico stretto del nostro Partito come lo scugnizzo partigiano Vincenzo Leone, scomparso qualche anno fa, che è più volte intervenuto ai nostri dibattiti per ricordare il valore e il coraggio dei giovanissimi durante le Quattro Giornate. Non si trattò, dunque, come dice una certa destra neofascista ricalcata da certa “sinistra”, di “una guerra civile tra italiani”, ma della cacciata dell’occupante nazista foraggiato dal servo criminale fascista da parte dei napoletani.
Dopo la firma dell'armistizio con gli angloamericani avvenuta l'8 settembre dello stesso anno, l'esercito di Hitler, con l'appoggio determinante delle milizie fasciste trasformò prima Napoli e poi l’intero territorio italiano in un immenso campo di concentramento; tanto che, a partire dal 12 settembre 1943, sotto il comando del feroce colonnello Helmut Scholl mise a ferro e fuoco la città partenopea con saccheggi, distruzioni, fucilazioni, eccidi e umiliazioni contro le popolazioni inermi costrette persino ad assistere terrorizzate agli eccidi, come accadde a Corso Umberto e in via Sedile di Porto, dove i nazifascisti fucilarono 8 soldati che avevano difeso Castel dell'Ovo e 7 marinai tra i quali uno venne spinto tra le fiamme prima di essere ucciso a mitragliate. Dopo aver assistito a questa mattanza la popolazione fu costretta sotto la minaccia dei mitra spianati a inneggiare a Hitler e Mussolini. Dal 20 settembre iniziarono i rastrellamenti di massa, casa per casa e le deportazioni di circa 18mila abitanti prima nei campi di internamento italiani, come quello di Sparanise (Caserta) e poi in Germania.
Un'altra dimostrazione della loro barbarie, le belve nazifasciste del colonnello Scholl la diedero all'alba del 24 settembre, quando costrinsero circa 200mila abitanti della zona del lungomare a lasciare le proprie case e i propri beni, minandola per una profondità di 300 metri allo scopo di farla saltare.
Stanchi di questi soprusi continui e di un clima di sopraffazione e paura, la popolazione attuò la storica rivolta che travolse la belva nazifascista in tutti i quartieri popolari tra il 27 settembre e il 28 settembre come risposta ai rastrellamenti e alle rappresaglie iniziati dopo la mancata risposta all'appello emanato tre giorni prima mediante un'ordinanza del prefetto Soprano che obbligava circa 30mila giovani a presentarsi ai centri di raccolta per il lavoro obbligatorio da cui dovevano essere deportati in Germania. Di quei 30mila giovani se ne presentarono solo 150.
I primi scontri armati si verificarono nella zona del Vomero e nei giorni seguenti tutto intorno al "campo littorio" del Collana dove venivano rinchiusi gli ostaggi, poi via via la battaglia si estese in tutta la città, a cominciare dalla zona di Capodimonte e della Sanità, dove un gruppo di partigiani riuscì a sventare il tentativo di far saltare l'acquedotto da parte dei nazifascisti. Proprio nella zona di Capodimonte perse la vita dilaniato da un colpo di carro armato accanto alla sua mitragliatrice lo "scugnizzo" Gennaro Capuozzo, 12 anni, appostato sul tetto del convento delle filippine in via S. Teresa.
Intanto nelle altre zone del centro, Museo, via Foria, via Roma, via Chiaia fino alla collina di Posillipo, la rivolta popolare era ormai esplosa, ovunque si innalzavano barricate, in particolar modo nel percorso che andava dal museo fino a via Roma si verificò una delle battaglie che vide da una parte i carri armati nazisti "tigre" e dall'altra i partigiani armati solo di fucili e bottiglie incendiarie, ma l'eroismo e il coraggio di chi combatteva per la propria libertà e per la propria indipendenza ebbero la meglio sugli oppressori, tanto che i carri armati tedeschi furono costretti ad interrompere la propria avanzata.
In questa battaglia persero la vita Pasquale Formisano di 17 anni, Filippo Illuminato di 13 anni e Mario Mencini di 19 anni; altri tre giovanissimi "scugnizzi" che insieme ai dodicenni Vincenzo Baiano e Antonio Garofalo, ai giovani Vincenzo Palumbo e Adolfo Pansini, sacrificarono la propria vita nella lotta contro le orde di Hitler e Mussolini. Nella ritirata i tedeschi sterminarono intere famiglie, come avvenne alla masseria Pezzalonga in via Case Puntellate alla Pigna, in cui venne trucidata e sgozzata un'intera famiglia di 9 persone.
Assieme al contributo dato dai giovani, va ricordato quello delle donne impegnate spesso in prima linea oltre che nella distribuzione di rifornimenti e messaggi per coordinare l'insurrezione.
Particolarmente cruenta fu la battaglia che le masse intrapresero alla Sanità, Materdei e la zona del Cavone nella quale si distinse la grande capo partigiana Maddalena “Lena” Cerasuolo che assieme alla sua famiglia con in testa il padre, ma anche grazie all’apporto di Tonino o’ biondo, al secolo Antonio Amoretti, recentemente scomparso, ingaggiarono una battaglia decisiva con nazisti e fascisti che produrrà poi la resa definitiva e il ritiro da Napoli il 1° ottobre 1943.
Come riporta il manifesto di questa sera anche noi marxisti-leninisti chiediamo il conferimento immediato della Medaglia d’Oro a Lena Cerasuolo insignita soltanto con la Medaglia di Bronzo da parte, tra l’altro, dal comando angloamericano. I meriti incancellabili della comandante partigiana devono essere messi in evidenza definitivamente come fecero alcune sezioni di base del PCI di Napoli prima fra tutte quella dedicata ai martiri antifascisti Quinto e Fischetti del PCI Avvocata da dove partì la lettera scritta dalle militanti di base Gelsomina e Vincenza Marotta affinché alla prima donna partigiana d’Italia venisse conferita la Medaglia d’Oro al merito.
Né la giunta revisionista Valenzi né quella dell’ex operaista Bassolino hanno poi pensato a rendere giustizia storica a Lena Cerasuolo; è giunto il momento di chiedere all’attuale giunta Manfredi di fare ciò che andava fatto a suo tempo e provvedere a dare subito la Medaglia d’Oro, lo ripetiamo con forza, a Maddalena “Lena” Cerasuolo, il cui inestimabile contributo decise la cacciata dal territorio napoletano della teppaglia nazifascista.
Alla faccia di quanti, a destra e a "sinistra" tentano di negare la verità storica di quei giorni affermando che il popolo napoletano e italiano si liberò dal giogo nazifascista solo grazie all'intervento degli angloamericani, è bene ricordare che le truppe americane, attestate sui Monti Lattari fino al 29 settembre ad attendere gli eventi, fecero il loro ingresso a Napoli quando le armate hitleriane avevano già lasciato la città. Come ha ricordato più volte in diverse interviste, ma anche in piazza durante le celebrazioni del 25 Aprile, il partigiano Amoretti, gli stessi “liberatori a scoppio ritardato” avevano pensato bene di bombardare Napoli senza pietà con un tributo di sangue altissimo per le masse popolari.
Infatti, l’esempio di eroismo dato dal nostro amato popolo, ha visto cadere sul selciato oltre 300 morti e migliaia di feriti; la città di Napoli venne insignita della Medaglia d'Oro per la Resistenza così come furono insigniti gli "scugnizzi" morti in battaglia per un totale di 5 medaglie d'oro, 6 d'argento e 3 di bronzo.
Noi marxisti-leninisti non ci stancheremo mai di appellarci alle masse lavoratrici e popolari, alle donne, ai giovani, a tutti i sinceri democratici e antifascisti conseguenti affinché prendano esempio dall'eroismo delle "Quattro Giornate" e uniscano le forze per buttare giù il governo neofascista Meloni che, è ormai sotto gli occhi di tutti, vuole il completamento del programma piduista della completa restaurazione del fascismo sotto nuove forme, con nuovi metodi e nuovi vessilli; basti pensare alla riforma sul premierato e il famigerato disegno di legge 1660, un coacervo di riforme che incide definitivamente sulle libertà democratiche e antifasciste e che vanno respinte con la piazza.
Grazie per la vostra attenzione.

2 ottobre 2024