Storica sentenza del Tribunale del Lavoro di Prato
Texprint condannata a riassumere e risarcire i lavoratori
Di seguito pubblichiamo commento con cui il Sudd cobas Prato-Firenze il 1° novembre ha annunciato la storica vittoria ottenuta davanti ai giudici del Tribunale del Lavoro di Prato nei confronti della stamperia di tessuti Texprint condannata a riassumere i sedici operai licenziati e a pagare arretrati e contributi per circa 400mila euro.
Una vertenza conclusa dopo quasi 10 mesi di dura lotta repressa a suon di sgomberi, manganellate e una pioggia di avvisi di garanzia e di conclusione indagini emessi dal sostituto procuratore della Repubblica di Prato, Massimo Petrocchi, a partire dal 16 ottobre 2023 con l'accusa di “violenza privata” e “blocco stradale” a carico di decine di lavoratori, sindacalisti, attivisti, solidali e militanti di partito che tra gennaio e settembre 2021 hanno solidarizzato e sostenuto la lotta contro lo sfruttamento e i licenziamenti e per la difesa dei diritti e delle tutele sindacali promossa dai lavoratori davanti ai cancelli della Texprint.
Tra i destinatari degli avvisi di reato figura anche il compagno Franco Panzarella con l'aggravante di “aver commesso il fatto in più persone riunite”.
La verità è che il nostro compagno non ha commesso alcun reato. Per nove mesi, dall'inizio fino alla fine della vertenza, promossa dai compagni sindacalisti dell'allora Si-Cobas Prato-Firenze, è stato attivo e solidale con i lavoratori Texprint in lotta fornendo loro non solo solidarietà politica e sindacale ma anche un sostanziale aiuto alimentare, logistico ed economico fra cui pasti, bevande, materassi, coperte e teli di plastica per ripararsi dalla pioggia, dal sole e dal freddo.
Texprint: Vittoria al Tribunale del Lavoro. Vittoria del diritto di sciopero
Dopo tre anni, tutti i licenziati saranno reintegrati. L'azienda condannata a pagare complessivamente 400mila euro di risarcimenti ad undici operai, più contributi previdenziali ed assistenziali dalla data del licenziamento fino a quella della reintegra, più spese legali e processuali. Tutti i contratti di apprendistato (che furono “il cuore” della vertenza) sono stati dichiarati illegittimi.
I licenziati erano accusati di avere bloccato i camion merci in entrata ed uscita dell'azienda. “In quel modo non è sciopero, è violenza”, dicevano. Invece era sciopero, legittimo esercizio del diritto di sciopero.
Nelle motivazioni della sentenza lo si legge chiaramente: “La presenza delle persone che si frappongono materialmente, ponendosi anche sotto le autovetture, ad ostacolare il transito di mezzi, non può di per sé connotarsi come una condotta disciplinarmente rilevante, in quanto rinvenire in ciò una giusta causa di recesso si tradurrebbe di fatto in uno strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero”.
Che se lo piantino bene in testa tutti, una volta per tutte: legittimo esercizio del diritto di sciopero. E la violenza sta dall'altra parte, nello sfruttamento e nella violazione sistematica dei diritti. La sentenza di oggi del Tribunale del Lavoro va messa accanto alle tante, tantissime sentenze degli ultimi anni che in sede penale hanno assolto operai e sindacalisti accusati di “violenza privata”. Oppure alle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato che hanno respinto i fogli di via ai sindacalisti che osano fare sindacato davanti ai cancelli.
Per troppi anni questo territorio ha vissuto il vergognoso paradosso di una politica e di istituzioni che invocano il “rispetto delle regole” per criminalizzare chi rivendica diritti mentre chiudono gli occhi di fronte al dilagare dello sfruttamento e delle mafie. La loro idea di legalità è il manganello contro i deboli e l'omertà verso i potenti. La verità è che a loro non interessa il rispetto delle regole e delle leggi, ma il mantenimento di un certo ordine sociale. Quello stesso ordine che per migliaia di persone in questo territorio vuol dire schiavitù. Contro questa concezione, sulla casetta di legno ribattezzata “Casa dei Diritti” costruita davanti ai cancelli della Texprint scrivemmo gli articoli 30 e 42 della Costituzione.
L'epopea dei nove mesi alla Texprint è emblematica. L'intero “Sistema Prato” - con l'allora Sindaco Biffoni a rappresentarlo - si schierò contro operai e sindacato. Non importava se dall'altra parte c'era un'azienda colpita da un'Interdittiva Antimafia per comprovati rapporti con i boss dei clan della 'ndrangheta. Non importava che un operaio poco prima dello sciopero avesse perso un dito per un infortunio causato dalla mancanza di sicurezza in fabbrica. Non importava il fatto che le denunce degli operai parlassero di turni di 12 ore dal lunedì alla domenica, violazione sistematica di tutti i diritti più elementari e che l'Ispettorato del lavoro avesse già dalla prima settimana accertato la presenza di lavoro nero e videosorveglianza illegale dei lavoratori. Il problema - lo “scandalo” - erano gli operai che bloccavano la produzione sdraiandosi davanti ai cancelli.
Per invertire “buoni” e “cattivi” fu messa in campo una campagna di criminalizzazione e di vere e proprie menzogne senza precedenti. Era tutto chiaro: da parte gli sfruttati, dall'altra gli sfruttatori (in odore di mafia). Ma Biffoni la definiva una “vicenda oscura”. Fece e disse di peggio, ma l'elenco sarebbe troppo lungo e ci promettiamo di farlo in seguito. Il “sistema Prato” aveva deciso che gli operai in sciopero erano violenti e bugiardi. “L'azienda ci racconta una verità diversa, tutte le voci hanno pari valore!”. E Prato era ancora un posto in cui un sindaco poteva tranquillamente insinuare che operai in sciopero da mesi - ricevendo licenziamenti, manganellate, multe e bastonate - si fossero “inventati di essere sfruttati”. Poi arrivò l'ITL a certificare lo sfruttamento, ma nessuno chiese scusa.
Quando il presidio sindacale fu devastato da un assalto squadrista capitanato dai dirigenti dell'azienda mandando all'ospedale tre operai di cui uno con un braccio rotto, la stampa parlò di rissa. La politica tacque o rimase ambigua. Poco importava se i video dell'assalto - in quindici contro tre - ritraevano chiaramente i dirigenti dell'azienda (tra cui Zhang Sang Yu, quello dei rapporti col clan Greco della 'ndrangheta) prendere a bastonate e mattonate in testa gli operai. I violenti continuarono ad essere “gli operai che si sdraiano davanti ai camion”. Il presidio sindacale, su molta stampa, si chiamava “accampamento abusivo”.
Per nove mesi andò in scena una guerra vile contro gli operai Texprint. Alla criminalizzazione seguirono almeno dieci sgomberi forzati da parte della polizia, con centinaia di uomini delle forze dell'ordine mobilitati nei mesi per provare a reprimere lo sciopero e permettere la “libera circolazione delle merci”. Altri operai mandati all'ospedale con teste aperte e una caviglia fratturata. Dopo il più violento degli sgomberi la CGIL si sentì di chiarire la sua posizione: “lo sfruttamento non si combatte manifestando in strada”. Per nove mesi il “sindacato ufficiale” decise di unirsi al coro di criminalizzazione ed ai tentativi di emarginazione. Poi, a sciopero finito, decise che Texprint era un'azienda modello.
Quando la lotta prese la forma di sciopero della fame in Piazza del Comune, il Sindaco invocò ed ottenne lo sgombero forzato. Un operaio in sciopero della fame fu arrestato mentre dormiva.
In quei nove mesi Prato diede il peggio di sé. Ed allo stesso tempo il meglio. Moltissimi iscritti CGIL disobbedirono al “divieto” di solidarizzare con gli operai Texprint. Tantissime persone, anche giovanissime, scoprirono la vergogna dei Macrolotti e decisero che quella era anche la loro lotta. Decine di migliaia di euro di donazioni alla cassa di resistenza per gli operai in sciopero permisero una resistenza eroica che ha superato molti record. Centinaia di operai del distretto scioperarono più volte in solidarietà ai loro compagni della Texprint. Il muro di silenzio ed omertà incassò i primi colpi.
Oggi, grazie a tre anni di lotte, sembra un'altra epoca. Prato sta lentamente imparando a fare i conti con una realtà che per anni si è voluta negare. Sta imparando ad accettare che gli schiavi del suo distretto hanno il diritto di organizzarsi e di scioperare. Come i suoi nonni. Insieme ai tremila scesi in piazza a Seano c'erano sindaci, amministratori locali ed il governatore della nostra regione. Ora la parola “mafia” non è più solo urlata dagli operai davanti ai cancelli delle fabbriche, ma un tema all'ordine del giorno.
“Non per noi, ma per tutti”. Così recitava uno striscione appeso davanti ai cancelli della Texprint. E così è stato. In questi tre anni alcuni degli operai Texprint sono stati costretti da un licenziamento illegittimo a tornare a lavorare 12x7 in altre fabbriche del supersfruttamento. Altri tre anni della loro vita sono stati rubati da questo sistema e nessun risarcimento glieli potrà restituire.
Ma se oggi Prato è un posto un po' migliore è anche grazie agli operai Texprint ed alla loro eroica lotta ed al loro esempio.
6 novembre 2024