42 fucilati e 11 morti durante un rastrellamento nel Polesine per reprimere il movimento partigiano
A 80 anni dall'eccidio “repubblichino” di Villamarzana
Nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre 1944 una nutrita marmaglia armata della “Repubblica Sociale Italiana” composta dalla guardia nazionale repubblicana e dalle brigate nere compì un rastrellamento in alcuni Comuni del Polesine - Bagnolo di Po, Fiesso Umbertiano, Fratta Polesine, Lendinara, Pincara, San Bellino e Villamarzana – alla ricerca di partigiani che avevano compiuto nei giorni precedenti una serie di azioni di sabotaggio, catturando più di cento persone sospettate di essere partigiani o fiancheggiatori della resistenza. 11 uomini che tentarono di scappare furono assassinati dai fascisti durante le operazioni di rastrellamento mentre 42 degli uomini catturati vennero condannati a morte nel tardo pomeriggio di quel giorno e portati dinanzi al plotone di esecuzione nel pomeriggio del 15 ottobre nella località di Villamarzana sotto gli occhi della popolazione, obbligata ad assistere. Ben 27 dei 42 condannati a morte erano minorenni, ed era minorenne anche Attilio Malanchin che, ferito in modo lieve alla spalla e svenuto per la paura, fu creduto morto dai fascisti e si risvegliò alcune ore più tardi in mezzo al mucchio di cadaveri quando il plotone di esecuzione degli aguzzini fascisti se ne era andato via, tornando a piedi a casa sua e salvandosi così la vita.
Il massacro fascista iniziò poco dopo le quattro di pomeriggio quando la squadraccia composta da ventotto militi della guardia nazionale repubblicana iniziò la fucilazione dei 42 uomini divisi in sette gruppi composti da sei prigionieri l’uno, che volta per volta venivano fucilati alla schiena.
Questo abominio fascista durò un'ora e mezza.
Alcuni di loro, e anche qualche minorenne, furono torturati prima di essere uccisi.
Nel frattempo anche Primo Munari, un oste di Villamarzana che aiutava i partigiani, veniva arrestato dalla marmaglia fascista e, condannato a morte, veniva fucilato il 21 ottobre a Rovigo, portando così a 42 il numero dei caduti sotto i colpi del plotone di esecuzione fascista nell'ambito della brutale repressione del movimento partigiano.
L'eccidio di Villamarzana, che costò complessivamente la vita a 53 persone, è degno di essere ricordato a ottanta anni dai fatti perché fu compiuto interamente da forze fasciste “repubblichine” senza alcun intervento dei tedeschi con una ferocia e una bestialità che non hanno nulla da invidiare ai contemporanei crimini nazisti in Italia. Il numero elevato di morti e il fatto che la feccia fascista non si sia fermata neppure di fronte a ragazzi minorenni si può spiegare soltanto con l'impotenza e la rabbia dei seguaci di Mussolini a seguito dello sfondamento della Linea Gotica da parte degli Alleati nel precedente mese e mezzo – a metà ottobre erano state liberate da poco Pesaro, Urbino e Rimini, mentre era in corso l'assedio di Cesena – che portava il fronte a poco più di 100 chilometri dal Po, e quindi dal Polesine, teatro di questa tragedia.
La brutalità e la disumanità dei fascisti contro la popolazione civile italiana si accentuavano, insomma, con la loro consapevolezza che la guerra era ormai perduta e con la piena coscienza da parte loro che le masse popolari italiane, lungi dall'appoggiare il regime mussoliniano, avevano soltanto dovuto subirlo senza alcun entusiasmo.
Lo Stato borghese, dopo la fine della guerra, riconobbe la responsabilità di alcuni dei responsabili dell'eccidio, nessuno dei quali, comunque, finì davanti al plotone di esecuzione: la Sezione speciale della Corte d'assise di Rovigo condannò i fascisti Vittorio Martelluzzi, Melchiorre Melchiorri, Ugo Cavaterra, Rolando Palmieri, Francesco Sergi, Giorgio Zamboni, Enrico Majer e Alessandro Tiezzi alla pena di morte, che fu commutata poi per tutti in pena detentiva, così come condannò i fascisti Ugo Catarsi, Ermanno Casalini, Agostino Zangarini, Armando Lorenzotti e Ugo Conti a pene detentive, ma anche questi carnefici se la cavarono alla fine con pochi anni di reclusione.
Il muro di Villamarzana dove avvenne la fucilazione dei 41 martiri nel frattempo è diventato un monumento, una lapide ricorda il sacrificio di Primo Munari all'ex caserma Silvestri di Rovigo, e in quest'ultima città vi è una lapide che ricorda gli altri 11 che furono assassinati durante la retata, affinché non venga mai dimenticato che il regime fascista compì anche in territorio italiano, oltre che all'estero, crimini inenarrabili, come la fucilazione di minorenni, i più giovani dei quali – Fabio Dall'Aglio e Bruno Zanella, entrambi nati nel 1929 – avevano appena compiuto 15 anni al momento della morte.
Il Comune di Villamarzana, dove avvenne l'eccidio dei 53 martiri, è stato giustamente insignito della medaglia d'argento al valor militare.
Il PMLI e Il Bolscevico
, che non hanno dimenticato questo massacro fascista, inchinano la bandiera del Partito in omaggio a questi martiri, e dichiarano solennemente che il miglior modo per ricordarli e onorarli è di promettere a loro e a tutti gli altri martiri del nazifascismo di combattere i seguaci di Mussolini di oggi, in primo luogo il governo neofascista Meloni con la stessa determinazione che animò i partigiani durante la Resistenza.
13 novembre 2024