Adesione oltre il 90% alla faccia di Meloni e Salvini
Successo dello sciopero del trasporto locale
Giusta la rivolta sociale evocata da Landini

“Lo sciopero ha avuto una grande riuscita in tutte le città, grandi e piccole, con una adesione media del 90% con punte fino al 100%, nonostante i tentativi delle aziende di mettere in discussione a Roma e Milano, la possibilità, prevista dalla legge, di scioperare con le prestazioni ridotte nelle fasce di garanzia". Ad affermarlo il segretario generale della Filt Cgil Stefano Malorgio, intervenendo alla manifestazione indetta a Roma davanti al Ministero dei Trasporti in occasione dello sciopero nazionale nel Trasporto Pubblico Locale (TPL).
Per la prima volta dopo quasi 20 anni l'agitazione non ha avuto limitazioni di fasce orarie dove il servizio pubblico viene assicurato. "A differenza dei precedenti scioperi - spiegavano le organizzazioni sindacali nel loro comunicato - non si prevede, nel rispetto della legge 146 che regolamenta il diritto di sciopero e una volta sola nell'ambito della vertenza di rinnovo di un contratto nazionale, la garanzia totale del servizio nelle fasce orarie che tutelano la mobilità dei viaggiatori. Ma sarà garantito, durante le fasce orarie previste a livello locale, l'utilizzo del 30% del personale viaggiante e i servizi assolutamente indispensabili”.
Lo sciopero del TPL, svoltosi nella giornata dell'8 novembre, indetto da Cgil-Cisl-Uil a cui hanno aderito anche i Cub, l'Ugl, Orsa Trasporti e altri sindacati, è quindi pienamente riuscito, nonostante le leggi restrittive che rendono sempre più difficile l'esercizio del diritto di sciopero e le minacce della Commissione di garanzia che nei giorni precedenti aveva ricordato che, pure in assenza delle fasce orarie, "dovranno essere garantiti agli utenti servizi minimi sulla base della normativa in vigore". E ha invitato le sigle di categoria a "rispettare le norme”.
Se guardiamo alcune città e regioni, a Roma i mezzi si sono fermati dalle 8:30 con la cancellazione di bus e la chiusura delle metro A, B e C, della linea Termini-Centocelle, della Roma-Lido e Roma-Viterbo. Alte adesioni in Campania: a Napoli stop di metro e funicolari ma anche l’interruzione del servizio sulle linee vesuviane e su quelle flegree (Cumana e Circumflegrea). In Basilicata le adesioni allo sciopero hanno raggiunto punte del 100%, mentre in Sardegna del 70% come anche in Toscana, con un’adesione del 90% sulla tramvia di Firenze.
A Bologna il 75% dei lavoratori del TPL ha aderito all’agitazione. Adesione del 90% a Genova ed in Trentino, così come il Sicilia. A Torino la metropolitana è rimasta chiusa. A Milano, invece, la protesta è scattata alle 18 con la chiusura di tutte le linee metro fino alla mattina del giorno successivo. Nel capoluogo lombardo l'adesione è stata quasi totale con una percentuale del 98%. Erano esclusi solo i lavoratori di Trenitalia, per il resto lo sciopero ha fermato bus, tram, metropolitane, linee ferroviarie e vaporetti. A Venezia oltre il 60% dei lavoratori del comparto della navigazione ha incrociato le braccia.
Lo sciopero aveva al centro il rinnovo del contratto nazionale, scaduto da quasi un anno. Tempi lunghi che lavoratrici e lavoratori non possono permettersi in un momento in cui l'inflazione erode i salari di giorno in giorno. Ma accanto alla rivendicazione di salari dignitosi lo sciopero poneva la questione dell'inadeguatezza del trasporto pubblico nel nostro paese che, a differenza del resto dell'Europa, è in costante declino. In Italia, senza adeguati sostegni e finanziamenti, si sta negando ai cittadini il diritto alla mobilità collettiva, con il rischio che essa vada gradualmente a sparire, non più solo nelle zone a bassa domanda, ma anche nei medi centri urbani e nelle grandi città.
I pochi investimenti vanno tutti a finire nell'alta velocità e le lunghe percorrenze, pochi spiccioli per pendolari e trasporto locale. Un miliardo e mezzo di tagli negli ultimi 10 anni e mancanza di politiche di programmazione producono un modello di mobilità sempre più incapace di intercettare le necessità della popolazione. La carenza ormai strutturale di personale operativo, che si traduce in tagli del servizio, comporta il peggioramento delle condizioni lavorative e un aumento esponenziale degli episodi di aggressione al personale. Ma il governo neofascista della Meloni, anziché preoccuparsi di sostenere e migliorare il TPL, preferisce attaccare i lavoratori che, oltre a rivendicare salario e diritti, denunciano i disservizi , l'inefficienza e i tagli.
Questo è lo sport preferito dei fascioleghisti e dei berlusconiani che solitamente reagiscono in due modi: o cercano di sminuire l'importanza delle agitazioni sindacali, oppure criminalizzano i lavoratori. In questo caso, visto il successo indiscutibile dello sciopero, si è scelto forzatamente la seconda opzione. Tra gli esponenti del governo si è distinto ancora una volta il ministro dei trasporti Salvini, uno dei maggiori responsabili dello sfascio in cui versa il trasporto pubblico. Il caporione leghista e il suo ministero, oltre ad occuparsi di tutt'altro, sono unicamente interessati al ponte sullo Stretto.
“Fare scioperi selvaggi lasciando a piedi milioni di italiani non solo non risolve i problemi, ma ne crea altri” ha tuonato Salvini. Qualcuno dovrebbe spiegargli che è proprio uno degli scopi principali dello sciopero “creare problemi”, ossia bloccare le attività del Paese. Ha perfino minacciato che “sarà l'ultima volta”, lasciando intendere che si adopererà per vietare il diritto di sciopero. E si copre perfino di ridicolo quando afferma: “fare uno sciopero generale contro l’aumento di stipendio per milioni di lavoratori e lavoratrici è qualcosa che succede solo in Italia”, come se il governo, anziché stangare i lavoratori, gli abbia aumentato gli stipendi.
Una “barzelletta”, quella dei soldi in busta paga messi dal governo, che ripetono come un disco rotto anche gli esponenti di Fratelli d'Italia, e in particolare il suo portavoce a Montecitorio Tommaso Foti. Questo fascista dichiarato tenta di spacciare per aumento la conferma della riduzione del cuneo fiscale già introdotta da Draghi (finanziato dagli stessi lavoratori e bilanciato dai tagli alla spesa pubblica): “Cgil e Uil hanno sbagliato due volte, una chiedendo di protestare contro un governo che mette a 14 milioni di loro 1200 euro in più in tasca all'anno” e chiude con una minaccia verso chi protesta: “la seconda organizzando uno sciopero contro la legge”, cosa per altro non vera.
Il successo dello sciopero ha rialimentato gli attacchi ai sindacati e in particolare alla Cgil e al suo segretario generale che, illustrando lo sciopero generale del 29 novembre, aveva auspicato una rivolta sociale: “Hanno bloccato l’Italia senza garantire fasce di garanzia: inaccettabile. Se qualche leader sindacale come il signor Landini invita alla rivolta sociale proclamando scioperi per fermare il Paese - colpendo anche chi si deve muovere per lavorare, studiare o curarsi - significa che fa politica per colpire il centrodestra anziché pensare al bene dei cittadini” si lamentava Salvini.
“Ci chiediamo con quale coraggio il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, inciti alla rivolta sociale. Stia molto attento Landini, a incitare alla rivolta sociale, perché integra gli estremi di un reato” rincarava la dose il solito Foti. La stessa Meloni prima ha attaccato i lavoratori: “Sto male ma non avendo particolari diritti sindacali sono a Budapest per il Consiglio europeo a fare il mio lavoro“ (poverina, aveva la febbre) e alcuni giorni dopo i sindacati, rei di aver usato “toni senza precedenti”.
La replica di Landini non si è fatta attendere: “Non ho proprio nulla da rettificare, anzi voglio rilanciare con forza. Loro (il governo, ndr) cosa stanno facendo? Stanno aumentando i soldi per comprare le armi, stanno aumentando la precarietà, stanno tagliando e stanno favorendo quelli che evadono il fisco. E questo sarebbe possibile mentre non è possibile dire che c’è bisogno di una rivolta sociale? Aggiungo che ci siamo rotti le scatole, perché non è più accettabile che quelli che tengono in piedi questo Paese siano quelli che non sono ascoltati e che non vengono rappresentati”.
L'arroganza e i toni minacciosi del governo stanno crescendo e di pari passo anche il suo nervosismo. Oramai le panzane che racconta attraverso gli accondiscendenti mass-media di regime non reggono più, di fronte ai dati Istat che registrano crescita zero e povertà in aumento, tagli alla sanità e ai servizi pubblici, buste paga sempre più leggere, precariato dilagante. Mette in pratica le peggiori nefandezze contro i lavoratori, le masse popolari e i migranti, attacca chiunque gli si oppone, dagli operai agli studenti, dagli antifascisti agli antimperialisti, ai magistrati, ma si scandalizza appena un leader sindacale afferma che chi produce la ricchezza del paese è stanco e si vuole ribellare.
È giusta la rivolta sociale evocata da Landini, semmai il problema è che finora i maggiori sindacati italiani hanno tenuto un atteggiamento fin troppo benevolo verso il governo, e anche adesso gli obiettivi che si pongono Cgil e Uil sono limitati alla modifica della Legge di Bilancio, e non al suo affossamento. Ma la rivolta sociale deve andare ben oltre, avendo come obiettivo la costruzione di un grande movimento di lotta per l'abbattimento del governo neofascista della Meloni.
 
13 novembre 2024