La Corte costituzionale smonta la legge sull'autonomia differenziata
7 punti da cambiare
La legge n. 86 del 26 giugno 2024 in tema di autonomia differenziata è uno dei capisaldi dell'attuale governo neofascista Meloni, che insieme ad altri cavalli di battaglia politici quali il progetto di premierato, il disegno di legge sulla sicurezza, la riforma piduista della giustizia, la deportazione dei migranti, il riarmo e la politica estera fondata sull'interventismo imperialista realizza un vero e proprio colpo di Stato.
Approvata definitivamente lo scorso 19 giugno dalla Camera, fortemente voluta dalla Lega, la legge n. 86 è inevitabilmente destinata a provocare una secessione delle Regioni più ricche dell'Italia settentrionale e a condannare quelle meridionali e le isole a vivere in perpetuo nel sottosviluppo e nell'indigenza, senza dimenticare, però, che fu il “centro-sinistra” a spianare la strada all'attuale legislazione eversiva con la riforma, nel 2001, del Titolo V della Costituzione borghese al quale questa riforma si ricollega.
La legge - approvata con 170 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto – realizza di fatto 20 piccoli Stati all'interno di una Repubblica che formalmente resterebbe unitaria, o addirittura 21, se si considerano le Province autonome di Trento e di Bolzano che sono già dotate di potere legislativo, attribuendo alle 20 Regioni la competenza legislativa ed esecutiva su 23 materie di primaria importanza come la tutela della salute, l'istruzione pubblica, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali e la tutela e la sicurezza del lavoro, tutte materie che, di fatto, creeranno nel Paese diseguaglianze facilmente immaginabili. Altre materie attribuite alle Regioni poi, come i rapporti internazionali e quelli con l'Unione europea, il commercio con l'estero, la ricerca scientifica e tecnologica, l'alimentazione, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione nonché la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia sono di importanza strategica per l'intero Paese e il loro spezzettamento a livello regionale creerà inevitabilmente conflitti tra le Regioni e indebolirà l'integrità del Paese.
La nascita di un comitato che ha promosso un referendum per l'integrale abrogazione del testo legislativo, iniziativa a favore della quale si è mobilitato anche il PMLI ha portato alla raccolta di oltre 1 milione e 300.000 firme. Ora si attende il responso della Cassazione per il controllo delle sottoscrizioni e della Corte costituzionale per la legittimità costituzionale del quesito, e a quest'ultimo proposito bisogna sottolineare che quest'ultimo organo ha già dichiarato incostituzionale, quantomeno in sette punti fondamentali, l'impianto della legge sull'autonomia differenziata.
La questione di costituzionalità dell'intera legge era stata sollevata in via principale, subito dopo la sua entrata in vigore, da quattro Regioni, due meridionali a statuto ordinario (Puglia e Campania), una insulare a statuto speciale (la Sardegna) e una dell'Italia centrale a statuto ordinario (la Toscana), ed è importante sottolineare che la riforma reazionaria del governo Meloni abbia ricevuto l'espressa opposizione, oltre che da due Regioni meridionali – e la cosa era scontata - anche da una Regione che già ora gode di un'ampia autonomia (la Sardegna) e da una Regione dell'Italia centrosettentrionale come la Toscana, che vanta un reddito pro capite elevato.
In una nota del 14 novembre scorso la Corte costituzionale ha reso noto, in attesa di pubblicare il testo della sentenza sulla questione sollevata dalle quattro Regioni, che la stessa “ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo”.
“Secondo il Collegio
– prosegue la nota della Corte costituzionale - l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
In altre parole la Corte costituzionale ricorda che la Repubblica italiana si compone di uno Stato unitario - a differenza di entità federali come gli Stati Uniti d'America, gli Stati Uniti Messicani, la Repubblica Federale del Brasile, entità nate per volontà dei singoli Stati, che mantengono la propria sovranità, che le compongono – nell'ambito del quale le autonomie locali – in primo luogo quelle regionali – non possono mai avere forme e modi di autonomia tali da mettere in pericolo l'unità dello Stato, e con essa, per usare le parole della sentenza, il “bene comune della società”
e la “tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”
.
Bisogna inoltre chiarire il significato del concetto giuridico di “sussidiarietà”
richiamato dalla Corte costituzionale. Enunciato dal primo comma dell'art. 118 della Costituzione, il principio di sussidiarietà è l'enunciato giuridico in base al quale, se un ente inferiore è in grado di svolgere bene un compito assegnato dall'ordinamento giuridico, l'ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente supportarne l'azione. A stabilire la gerarchia in base alla quale un ente possa essere inquadrato come inferiore e superiore ci pensa il primo comma dell'art. 114 della stessa Costituzione borghese: “la Repubblica
– si legge - è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato
”. Lo Stato è l'ente territoriale superiore della Repubblica, le Regioni sono inferiori allo Stato e superiori, insieme allo Stato, alle Province e Città metropolitane che si trovano nei rispettivi territori e, per ultimi, i Comuni sono gli enti territoriali inferiori alle Province o Città metropolitane nel cui territorio si trovano e naturalmente sono inferiori allo Stato.
Ciò che implicitamente afferma la Corte costituzionale a proposito di sussidiarietà è che se una qualsiasi Regione si trova in difficoltà lo Stato, ente superiore, ha l'obbligo costituzionale di aiutarlo: se così non avviene si disintegra l'unità del Paese, per cui la Corte costituzionale ha espresso in termini giuridici esattamente ciò che le forze sociali e politiche che hanno indetto il referendum hanno affermato in termini politici.
Si esamineranno ora partitamente i 7 punti della legge dichiarati incostituzionali, che il Parlamento dovrà modificare, salva ovviamente la possibilità, in futuro, di abrogazione dell'intera legge tramite referendum.
Primo punto
La Corte costituzionale giudica non conforme alla Costituzione la previsione della legge n. 86/2024 di trasferimento in blocco, previa intesa tra Stato e Regione, di intere materie o ambiti di materie, e la stessa ritiene che l'eventuale devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà.
Si ricordi che il Veneto retto dal leghista Zaia chiedeva addirittura il trasferimento in blocco di tutte le 23 materie elencate, e la Lombardia retta dal suo compare di partito Fontana nonché il Piemonte retto da Cirio di Forza Italia già si sono attivati per chiederne molte e importanti: se non fosse intervenuta la Corte costituzionale queste tre Regioni sarebbero già sulla strada per contrapporsi all'intero Paese.
Quindi la Corte costituzionale ritiene che l’articolo 116 della Costituzione, che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia, vada interpretato in forma restrittiva, in quanto la differenziazione delle prerogative regionali rappresenta un’eccezione, che deve essere definita e motivata caso per caso, e non una regola come invece la configura la legge n. 86/2024.
Secondo punto
La Corte costituzionale ritiene che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – che devono essere garantiti in maniera uniforme e omogenea a tutta la popolazione e in tutto il territorio nazionale – non può essere decisa dal solo Governo dello Stato tramite decreto legislativo sulla base di una legge di delega in bianco del Parlamento, come prevede la legge censurata. La Corte ritiene invece che il Parlamento non possa mai essere estromesso dal ruolo costituzionale attribuitogli in merito alla garanzia dei diritti fondamentali e alla definizione, con legge dello Stato, dei principi con cui devono essere assicurati i diritti fondamentali.
Terzo punto
Sempre secondo la Corte, è incostituzionale la previsione della legge n. 86/2024 in base dovranno essere decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) – ossia fonti giuridiche di natura amministrativa e non legislativa - a determinare il graduale aggiornamento, nel tempo, dei livelli essenziali delle prestazioni: la Corte costituzionale mette in rilievo che il livello minimo delle prestazioni, per la loro rilevanza costituzionale, deve necessariamente e sempre essere deliberato con atti avente forma di legge e non con atti di natura regolamentare come i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che nella gerarchia delle fondi giuridiche prevista dall'articolo 1 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile sono gerarchicamente sottoposti alle leggi e agli atti equiparati alla legge.
Quarto punto
Questo punto è strettamente collegato a quello precedente, in quanto la Corte censura il richiamo della legge n. 86/2024 alla procedura individuata dalla legge di Bilancio per il 2023 (legge n. 197/2022) che provvisoriamente – ovvero in attesa del decreto legislativo relativo ai livelli essenziali delle prestazioni – autorizza il presidente del Consiglio a determinare tali livelli tramite decreti del presidente del Consiglio dei ministri, ossia con atti regolamentari e non legislativi.
Quinto punto
La Corte costituzionale ha poi respinto la possibilità prevista dalla legge n. 86/2024 di modificare con decreto interministeriale – e anche in questo caso con atto di natura regolamentare e non legislativo - le aliquote di compartecipazione al gettito dei tributi erariali per finanziare le funzioni trasferite: come si può vedere, la Corte insiste sul fatto che una materia così delicata come l'eventuale aumento dei poteri delle Regioni e tutte le conseguenze che ne derivano, comprese quelle di natura tributaria, debba essere regolata tramite atti di natura legislativa.
Sesto punto
La Corte ha ritenuto altresì incostituzionale che la legge n. 86/2024 consideri facoltativo, anziché doveroso, il concorso di tutte le Regioni, anche di quelle che hanno avuto maggiore autonomia, agli obiettivi di finanza pubblica, in quanto ciò violerebbe il principio di solidarietà tra le Regioni, principio al quale la Corte costituzionale, nella sua nota sopra ricordata, ha dato enfasi.
Settimo punto
Per ultimo, la Corte ha censurato la previsione della legge n. 86/2024 per cui si estendono anche alle Regioni a statuto speciale le procedure di autonomia differenziata individuate dalla stessa legge, e ciò per una ragione giuridicamente evidente e intuitiva: infatti le cinque Regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige/Südtirol e Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste) in base al primo comma dell'articolo 116 della Costituzione “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”
. Proprio per tale motivo la Corte costituzionale ha ritenuto che una eventuale intesa stipulata tra lo Stato e una di queste Regioni in base alla legge n. 86/2024 violerebbe la Costituzione, in quanto queste Regioni devono necessariamente ricorrere alle procedure previste dai rispettivi statuti speciali i quali, poiché hanno caratteristiche speciali e peculiari e poiché sono adottati con legge costituzionale, hanno addirittura valore eccezionale anche nei riguardi della stessa Costituzione.
Oltre a questi sette punti fondamentali che sono stati dichiarati incostituzionali - punti che il Parlamento dovrà ora necessariamente modificare in quanto senza tali modifiche la legge non potrà operare - la Corte costituzionale ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre cinque previsioni della legge n. 86/2024, indicando la corretta interpretazione: 1) laddove nella legge n. 86/2024 si prevede l’iniziativa legislativa per la legge di differenziazione (ossia per la legge che, previa intesa con la Regione, stabilisca a favore di quest'ultima una particolare autonomia), essa non va intesa come riservata unicamente al Governo; 2) le singole leggi di approvazione delle intese con le Regioni, come previste dalla legge n. 86/2024, possono essere modificate dal Parlamento (con la conseguenza dell'eventuale nuova negoziazione delle stesse) e non devono semplicemente essere approvate o bocciate; 3) anche rispetto alle materie che non riguardano livelli essenziali delle prestazioni, lo Stato non può trasferire alle Regioni funzioni che comunque attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; 4) l’individuazione – tramite compartecipazione al gettito dei tributi erariali – delle risorse destinate a finanziare le funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì dei costi e fabbisogni standard, oltre che di criteri di efficienza; 5) la clausola di invarianza finanziaria prevista dalla legge n. 86/2024 richiede che si debba tener conto del quadro generale di finanza pubblica, del ciclo economico e del rispetto degli obblighi dello Stato italiano nei confronti dell'Unione europea.
Da tutto ciò che si è sopra esposto è chiaro che il progetto di autonomia differenziata risulta pesantemente indebolito, le forze secessioniste capeggiate dalla Lega hanno subito un duro colpo ed è probabile che tale sconquasso, come le onde sismiche di un terremoto, giungano a dissestare anche il progetto, fortemente voluto da Fratelli d'Italia, di premierato, che è la seconda gamba politica che affianca l'autonomia differenziata nel disegno neofascista del governo Meloni.
D'altra parte, anche se pesantemente censurata dalla Corte costituzionale l'autonomia differenziata è tutt'altro che stata definitivamente archiviata e pertanto occorre continuare la battaglia di popolo perché anche attraverso il voto referendario si arrivi all'eliminazione completa della legge n. 86/2024.
27 novembre 2024