Riflessione sulla dichiarazione di Landini
“Rivoltare il Paese come un guanto”. Giusto, ma con quali contenuti e obiettivi?

“Io credo che sia arrivato il momento di una vera e propria rivolta sociale perché avanti così non si può più andare”: così aveva detto Landini il 6 novembre parlando a margine dell'assemblea nazionale delle delegate e dei delegati della Cgil a Milano, spiegando le ragioni che avevano portato a proclamare insieme alla Uil lo sciopero generale del 29 novembre.
Una dichiarazione indubbiamente forte, tale da conferire oggettivamente allo sciopero anche un significato politico antigovernativo che andava oltre la piattaforma rivendicativa, incentrata sul “cambiamento” della manovra di bilancio, tant'è vero che ha immediatamente scatenato contro il segretario della Cgil una canea di dichiarazioni indignate da parte di membri del governo neofascista Meloni, della Confindustria e dei mass media di regime, arrivata ad evocare addirittura gli “anni di piombo” del terrorismo e a rispolverare la tesi dei “cattivi maestri” della sinistra che l'avrebbero ispirato.
Quello di Landini è stato invece un passo avanti politico importante e appropriato, alla situazione sempre più insostenibile sopportata dalle masse lavoratrici e popolari e alla sordità di questo governo neofascista, purché però non rimangano parole vuote e si traducano in atti conseguenti. Purtroppo le “precisazioni” sul significato della sua dichiarazione, che il segretario della Cgil si è affrettato a fare per rispondere alle accuse rivoltegli, avvalorano proprio questo timore.
Già un paio di giorni dopo, infatti, Landini ne dava questa interpretazione: “Rivolta sociale? Non c’è nulla da chiarire [...] La rivolta sociale si rivolge a quelle persone sfiduciate, che non vanno a votare. La rivolta sociale è la condizione perché le persone si mettano insieme per cambiare questa condizione”. Col che sembrava ridurre la “rivolta sociale” all'auspicio di una reazione alla disaffezione dal voto. Successivamente, in altre dichiarazioni e interviste, come in quella al Corriere della Sera del 18 novembre, ha detto di aver “richiamato la rivolta sociale per dire alle singole persone di non voltarsi dall'altra parte rispetto alle diseguaglianze e di mobilitarsi”. In questa intervista ha detto anche che il governo Meloni “ha la maggioranza nel parlamento ma non nel Paese”; ma subito dopo ha aggiunto: “Sia chiaro, non metto in discussione il governo eletto”. E in un'altra intervista (Huffington post del 27 novembre), nel ripetere simili interpretazioni fumose e riduttive di “rivolta sociale”, Landini ha anche ribadito con forza che inviterebbe di nuovo (“assolutamente sì”) Giorgia Meloni al Congresso della Cgil.

La rivolta sociale e il governo neofascista meloni
E tuttavia, parlando dal palco della manifestazione per lo sciopero generale a Bologna, il leader della Cgil ha invece rilanciato il tema alzando i toni, e dicendo: “È arrivato il momento di rivoltare come un guanto questo Paese e per farlo c’è bisogno della partecipazione di tutte le persone. La rivolta sociale, per noi, significa proprio non voltarsi da un’altra parte di fronte alle ingiustizie”. Riscatenando infatti la canea delle accuse di voler fomentare la violenza, con in testa il caporione della Lega neofascista e razzista Salvini, che non ha mancato l'occasione per attaccare sia Landini che i giovani manifestanti aggrediti dalla polizia a Torino, sottolineando che “quando ha invitato alla rivolta sociale, poi stranamente dei dementi hanno attaccato, insultato la polizia e bruciato delle fotografie in piazza”.
Giustissima la nuova dichiarazione di Landini, ma che cosa intende dire con “rivoltare il Paese come un guanto” attraverso la “rivolta sociale”? Certamente non può essere “cambiare” la manovra di Bilancio, come recita la piattaforma rivendicativa insufficiente a priva di respiro strategico su cui era stato indetto lo sciopero generale, cosa oltretutto impossibile perché ormai blindata in parlamento, e che piuttosto va affossata in blocco con la lotta.
Secondo l'interpretazione che ne ha dato Tomaso Montanari nella trasmissione “Accordi&disaccordi” sul canale tv Nove , la stessa sera dello sciopero, si tratta dell'“attuazione del progetto della Costituzione”, in quanto anche Piero Calamandrei “diceva che nella Costituzione è racchiusa una 'rivoluzione promessa'”. Se così fosse si ricadrebbe un'altra volta nella vecchia politica socialdemocratica, e oggi riformista, che storicamente non ha mai scalfito minimamente il sistema capitalista, né la schiavitù salariata e l'ingiustizia sociale di cui esso vive e si perpetua. E ciò vale a maggior ragione nell'attuale situazione politica, in cui il partito di Giorgia Meloni, erede del fucilatore di partigiani Almirante, ha riportato al governo il fascismo mussoliniano nelle vesti femminili, democratiche e costituzionali.
Lo dimostrano la sua politica economica classista dello smantellamento e privatizzazione di quel che resta dello “Stato sociale”, dei bassi salari, del precariato e dei favori ai ceti medi e alti e agli evasori; la sua politica istituzionale volta ad attuare il piano della P2, con l'asservimento della magistratura al governo, il premierato e l'autonomia differenziata che spacca l'unità d'Italia; la sua politica interna fascista del manganello e dei decreti liberticidi e razzisti antimigranti; la sua politica etico-sociale basata sulla triade mussoliniana “dio patria e famiglia” e la negazione dei diritti civili; la sua politica culturale protesa a riscrivere la storia criminalizzando l'antifascismo e il comunismo e riabilitando il fascismo; la sua politica estera e militare interventista, neocolonialista e imperialista e proiettata verso un riarmo senza precedenti nella storia repubblicana. E l'opposizione parlamentare mostra nei suoi confronti lo stesso opportunismo e la stessa inconcludenza dell'opposizione aventiniana di un secolo fa.

Il proletariato, il capitalismo e la guerra imperialista
Se non si pone il problema dell'alternativa a questo regime capitalista neofascista, cominciando col buttare giù il governo neofascista Meloni, il problema di una nuova società alternativa al capitalismo, cioè del socialismo, il problema del potere politico del proletariato, che credibilità si può avere proclamando di voler rivoltare il Paese come un guanto?
È giusto invocare la rivolta sociale, ma con quali contenuti, obiettivi e strategia? E chi deve guidarla? Landini non fa nessun riferimento al proletariato, mentre invece è la classe storicamente e naturalmente più interessata a cambiare la società e capace di guidare le masse lavoratrici e popolari a questo obiettivo. Lo ha confermato anche la grande partecipazione e combattività espressa dallo sciopero generale. La forza quindi c'è per rovesciare l'ordine delle cose, ma occorre chiarire se l'obiettivo è quello di mantenere questa forza nella gabbia del parlamentarismo, dell'elettoralismo, del riformismo e della Costituzione borghese, a sostegno di un ipotetico ritorno al governo del “centro-sinistra” o del “campo largo” aventiniani, o se indirizzarla verso la lotta di classe, l'abbattimento del governo neofascista Meloni e l'obiettivo strategico del socialismo e del potere politico del proletariato.
In questo quadro il sindacato dovrebbe farsi carico anche del problema, finora completamente ignorato, del pericolo sempre più incombente di una terza guerra mondiale imperialista a causa dello scontro tra le superpotenze dell'Est e dell'Ovest per l'egemonia mondiale, allarmando e preparando il proletariato, i lavoratori e le masse alla guerra civile se l'ltalia dovesse partecipare alla guerra imperialista.

Aprire una grande discussione sul socialismo
D'altra parte il forte astensionismo di metà dell'elettorato che da tempo caratterizza ogni tornata elettorale, e che nelle recenti consultazioni in una regione storicamente di sinistra come l'Emilia-Romagna è andato addirittura oltre, dimostra che ormai lo scollamento tra le masse popolari e i partiti della destra e della “sinistra” borghesi, il parlamento e le altre istituzioni rappresentative del regime capitalista neofascista, è conclamato. Questo scollamento non è un “voltarsi dall'altra parte”, come sostiene Landini, ma è un'altra manifestazione di quella rabbia e spirito di rivolta che stanno montando nel Paese e che si sono espressi in modo eloquente con la grande partecipazione allo sciopero generale. La rivolta sociale per cambiare la società passa anche dal dare a questo astensionismo di massa una coscienza politica anticapitalista e di lotta per il socialismo.
Nell'“Appello ai democratici e antifascisti” pubblicato sul numero scorso de Il Bolscevico , il PMLI li invita a fare “una riflessione più profonda e più generale su quello che occorre per cambiare radicalmente la società. In questa riflessione perché non valutare la proposta del PMLI del socialismo? Noi siamo pienamente disponibili a discuterne, a confrontarci senza pregiudiziali.
Il problema è: quale classe deve essere al potere, il proletariato o la borghesia?; quale sistema economico, il socialismo o il capitalismo?
Prima o poi tutte le forze democratiche antifasciste e progressiste anche credenti, specie cattoliche e islamiche, non potranno non fare i conti con questo storico e decisivo problema ”.
Occorre comprendere, quindi, che si può rivoltare il Paese come un guanto e cambiare veramente la società a patto che si abbandonino le illusioni elettorali, parlamentari, governative, riformiste, pacifiste e costituzionali, e si metta al centro di questa rivolta la distruzione del capitalismo, la conquista del socialismo e il potere politico del proletariato. Cominciando con l'aprire una grande discussione, anche all'interno del sindacato, per creare un vasto fronte unito per buttare giù al più presto, con la lotta di piazza e lo sciopero generale, il governo neofascista Meloni, che sta infliggendo sempre più gravi danni al popolo e al Paese.
 
11 dicembre 2024