Indagine per omicidio colposo per la strage di Calenzano (Firenze)
Il deposito di idrocarburi Eni va chiuso e trasferito in un luogo sicuro
Questa strage conferma che non c'è sicurezza sul lavoro

Redazione di Firenze
La Procura di Prato ha avviato un’indagine per omicidio colposo plurimo e disastro colposo aggravati dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, a seguito dell’esplosione al deposito di carburanti Eni di Calenzano del 9 dicembre, che ha provocato la morte di cinque lavoratori e il ferimento di ventisei, di cui tre ancora in condizioni critiche.
Secondo le ricostruzioni, appare plausibile che ad originare il disastro sia stata una fuoriuscita di carburante durante lavori di manutenzione oppure la formazione di una nube di vapori. Una scintilla o un carrello sollevatore in movimento, ne avrebbero poi causato l’esplosione.
Il quadro che però si sta delineando dalle indagini preliminari fa pensare che la tragedia sia stata causata soprattutto dall’inosservanza delle procedure di sicurezza proprio durante la manutenzione alla pensilina numero 7 che riguardava una condotta di alimentazione per il carico di carburante nei camion, ed a due raccoglitori di vapori che da tempo risultavano malfunzionanti, siti proprio alla corsia 6, dove poi si è verificata l'esplosione.
"Le conseguenze di tale scellerata condotta - precisa la Procura guidata da Luca Tescaroli in una nota - non potevano non essere note o valutate dal personale che operava in loco. La circostanza che fosse in atto una attività di manutenzione di una linea di benzina corrobora l'ipotesi che vi siano state condotte connesse all'evento di disastro".
Nel frattempo si stanno ascoltando testimoni, incluso quello al momento “chiave”, che ha riferito di aver percepito il forte odore di carburante e notato una perdita poco prima dell’esplosione. L'impianto è sotto sequestro e sono in corso perquisizioni nelle sede di Eni, in quella di Sergen srl di Grumento Nova (Potenza) che doveva eseguire i lavori di manutenzione, e alla Bt trasporti.
 
Oltre agli allarmi sulla pericolosità generale del sito evidenziati nel 2017 e nel 2020 da parte di Medicina Democratica, i problemi dell'impianto erano noti e segnalati anche in tempi recenti. Tra le vittime figura infatti Vincenzo Martinelli, un autotrasportatore che, in una corrispondenza con la sua azienda, aveva espresso preoccupazioni per la sicurezza dell’impianto. Il lavoratore, in risposta ad un richiamo disciplinare comminatogli dall'azienda per non aver svolto uno dei carichi previsti, evidenziava alla sua ditta "continue anomalie riscontrate sulla base di carico ", mettendo le sue preoccupazioni nero su bianco. Preoccupazioni ignorate sia dalla sua azienda, ma anche da Eni.
Dopo una strage del genere, come sempre accade, le istituzioni borghesi versano lacrime di coccodrillo. Il governatore della regione Toscana Eugenio Giani parla di voler trovare “soluzioni per quel deposito (…) oggi in area inidonea”, così come il sindaco di Calenzano che se da un lato conferma “la costante attenzione e tutte le attività di prevenzione che vengono fatte all’interno del deposito” comunque oggetto d'indagine, dall'altro propone “una riflessione sul fatto se sia il caso che questo impianto debba rimanere qui”.
Ora, al di là del fatto che Comune e Regione alla fine vogliano davvero e riescano a costringere Eni a trasferire l'impianto, perché bisogna sempre attendere che ci scappi il morto, anzi la strage di lavoratori, prima di provare a risolvere situazioni che presentano criticità e rischi già evidenti?
Anche per noi marxisti-leninisti l'impianto va subito chiuso e trasferito - e con esso tutti i siti analoghi con problematiche simili nel nostro Paese - perché ormai si trova nel cuore di Calenzano, in un contesto di altissima urbanizzazione di carattere industriale ma anche abitativo. È vero che - come afferma lo stesso Giani - quando fu realizzato, a fine anni Cinquanta, era isolato e con vicina l’uscita dell’autostrada rendendolo funzionale come base logistica. A quel tempo però intorno non c'era nulla, e l'edificazione successiva fatta con “procedure accelerate”, senza tener conto delle conseguenze, fa parte a tutto tondo dello stesso ragionamento che porta il profitto - in quel caso la speculazione industriale e residenziale - ad essere l'unica ragione nel sistema di produzione capitalista per il quale diventa secondario l'elevato rischio sociale e ambientale per i lavoratori e la popolazione residente.
Vedremo cosa accerterà l'indagine, di certo le cause di questa ennesima strage le troviamo sempre all'interno delle logiche capitaliste, dove qualunque investimento in formazione e sicurezza personale sul lavoro e d'impiantistica viene concepito dalle aziende come costo superfluo, alla stessa stregua della manutenzione che in ogni settore, sia “pubblico” che privato, si rimanda nel tempo fino a quando diviene non più derogabile come in questo caso.
I problemi legati ai subappalti, ad esempio, sono noti e denunciati dalle organizzazioni sindacali da quando esistono, eppure il crollo nel cantiere Esselunga (per rimanere su Firenze) è avvenuto con precise responsabilità; allo stesso modo il verificarsi dei fatti di Calenzano era solo questione di tempo. Ma questo andazzo non riguarda solo alcune aziende o alcuni siti specifici, perché è un comune denominatore dettato dalla ricerca del massimo profitto ad ogni costo pagato dai lavoratori quotidianamente con sfruttamento, bassi salari e a volte anche con la vita.
Non c'è sicurezza nel lavoro capitalistico, questa è ciò che anche questa strage conferma drammaticamente.
 
18 dicembre 2024