Genova, ennesimo omicidio sul lavoro
Reazione immediata dei camalli e dei sindacati dei portuali
Dal corrispondente di Genova de “Il Bolscevico”
Si chiamava Giovanni Battista Macciò, per gli amici Francesco, e aveva 52 anni. Era un portuale della CULMV, un camallo del porto di Genova e operava nel Terminal del Psa di Prà. La sera del 17 dicembre era uscito di casa; turno di lavoro quello notturno. Aveva salutato la moglie, il figlio, a loro avrà dato l’appuntamento per il giorno successivo, ma nel calore della sua famiglia non è più ritornato. Abitava a Castiglione Chiavarese ed è diventato la 900esima vittima, ma più correttamente si dovrebbe dire che è diventato l’ennesimo omicidio consumato sull’altare del profitto, sulla massima produttività nel mondo del lavoro.
Attorno alle ore 3 del 18 dicembre, mentre scendeva dal suo mezzo meccanico per verificare il carico che stava trasportando, è stato travolto e schiacciato da una ralla guidata da un suo compagno di lavoro che, a causa dei pesanti ritmi imposti, ha avuto un colpo di sonno. Sulle banchine del porto, per via dell’aumento del traffico di container, non sono così rari i doppi turni; ogni turno dura sei ore. E questo potrebbe essere uno dei motivi che ha causato questa ennesima tragedia. Questo è ciò che ha dichiarato l’involontario investitore. L’inchiesta sarà coordinata dalla PM Arianna Ciavattine e dalla capitaneria del Porto di Genova. Iscritti nel registro degli indagati, per la morte di Giovanni Battista Macciò, sette indagati. Oltre al conducente del mezzo, Patrizio Randazzo, ci sono Antonio Benvenuti, console della CULMV, il general manager di Psa di Prà, Roberto Goglio, e altri dirigenti del terminal. Tuttavia, sin da subito è emerso che il responsabile di questo omicidio sul lavoro altro non è che lo sfruttamento e il carico di lavoro non più sopportabile dai lavoratori portuali.
La reazione dei camalli, e dei sindacati dei portuali, è stata immediata. L’intero traffico mercantile portuale si è fermato ed è stato indetto uno sciopero di 24 ore. I camalli hanno bloccato i varchi dello scalo genovese, Ponte Etiopia, invaso le strade limitrofe al porto. Le parole d’ordine sono state la richiesta di maggiore sicurezza, di più formazione, sono state contro l’imperativo della sempre maggiore produttività, dell’esasperato sfruttamento. Uno striscione esposto dai manifestanti dalla sintesi ineccepibile recitava “Ci siamo rotti il cazzo di morire sul lavoro”.
Le cause sono sotto gli occhi di tutti. Sono alla portata di chiunque intende comprendere le ragioni, vuole conoscere le difficoltà che incontra chi quotidianamente si reca al lavoro per dare un presente e un futuro alla propria famiglia. Non le fa sue, e le nega, solo chi ha interessi di bottega e argomenta ragioni in cui neppure lui stesso crede. È lo sfruttamento imposto dal sistema di produzione capitalistico la causa. La continua ricerca del maggiore profitto. La foga nell’inseguire, sulla pelle dei lavoratori, la follia della sempre maggiore produttività; ragione di vita per il capitalismo. Serve a poco, persino a nulla, l’evoluzione tecnologica, la tanto celebrata intelligenza artificiale, o la robotica. Sul lavoro si continua a morire come un secolo fa, o come ai tempi di quando i faraoni si facevano costruire dagli schiavi le tombe, le piramidi.
Il capitalismo, d’altronde, rimane fedele alla sua natura, che altro non è che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Poco interessa al capitalismo se c’è chi muore perché non vengono rispettate le più normali disposizioni di sicurezza, o perché la classe sociale che lo rappresenta, la borghesia, vuole risparmiare e quindi abbassare i costi che garantiscono le necessarie tutele, ciò che al capitalismo importa è il tornaconto, il profitto. Se nel passato nel porto di Genova i camalli morivano poiché schiacciati da un carico liberato dalla presa di un bigo, oggi muoiono travolti da una ralla impazzita perché sfuggita dal controllo di un altro camallo sfinito dai turni e dai ritmi imposti dalla produttività.
Dalle banchine del porto di Genova, in ogni luogo di lavoro, si deve alzare un grido: basta morti sul lavoro!
Lo stesso grido deve però mettere in discussione il sistema di produzione capitalistico e il governo Meloni che ne regge le sorti.
8 gennaio 2025