Secondo Resoconto di genere redatto dall'Inps
Le disparità tra donne e uomini su salario, pensione, occupazione, congedi

Persiste la posizione da fanalino di coda dell'Italia rispetto al gender gap , ossia la disparità di trattamento per le donne a parità di condizioni rispetto agli uomini. Già nel luglio 2024 l'Italia era all'87° posto sui 146 Paesi sottoposti all'analisi del Global Gender Gap Report del World Economic Forum (WEF).
Secondo Rendiconto di genere presentato in questi giorni dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps conferma che nel nostro Paese tale distanza assume le sembianze di una vera e propria “segregazione” nel quale sono costrette le masse femminili in Italia. In alcuni casi come scritto dal Rendiconto tale disparità prende “la forma odiosa di discriminazione e violenza”.
Le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini. E nello specifico: il 24% in meno nel commercio, il 32% in meno nelle attività finanziarie, il 16% in meno nella ristorazione e alloggio.
Le pensionate percepiscono un assegno di vecchia che può essere fino al 44,1% più basso. Mentre l'assegno di anzianità per lavoro dipendente può essere sotto di un quarto rispetto a quello di un uomo. Le carriere femminili intermittenti, precarie e mal retribuite sfociano poi in pensioni altrettanto povere. Le donne pensionate sono di più rispetto agli uomini pensionati: 7,9 milioni rispetto ai 7,3 milioni, ma nonostante questo le differenze negli importi erogati sono significative. Nel lavoro dipendente privato le pensioni medie anticipate e di invalidità per le donne sono rispettivamente del 25,5% e del 32% inferiori rispetto a quelli degli uomini, mentre nel caso delle pensioni di vecchiaia il divario raggiunge il 44,1%.
Il gender gap coinvolge anche a livello manageriale: solo il 21% delle donne raggiunge il livello di dirigente, mentre le donne “quadri” sono appena il 32%.
Sempre secondo il Rendiconto dell'Inps le ragazze sono maggiormente penalizzate, nonostante esse primeggino negli studi, poiché si diplomano e si laureano più numerose e prima dei ragazzi, esse ci mettono più anni per essere assunte rispetto ai loro coetanei con lo stesso titolo di studio e quando trovano un'occupazione troppo spesso è a contratto a termine o a part-time o nelle peggiori delle ipotesi entrambi.
Il part-time involontario colpisce le donne tre volte più che gli uomini, 15% contro 5%. Molto spesso le donne sono costrette ad accettare il part-time per conciliare la gestione dei figli piccoli in età prescolare. Essere madri come rileva il Rendiconto Insp “pesa come una zavorra” per le lavoratrici in Italia, esse fanno fatica a trovare un'occupazione e se la trovano a mantenersela o a salire di responsabilità: il divario è di quasi 18 punti tra il tasso di occupazione femminile e maschile, il 52% contro il 70%. E questo dato scende al 35% di occupate al Sud.
Gli asili nido non sono sufficienti rispetto alla richiesta e le loro tariffe sono inaccessibili per numerose famiglie specie del Sud, come asserisce l'Inps “l'offerta rimane insufficiente, visto che solo l’Umbria, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta raggiungono o si avvicinano al target Ue dei 45 posti nido per 100 bambini 0-2 anni”.
E quando i figli si ammalano, o un familiare anziano ha bisogno di essere accudito chi rimane a casa e se ne prende cura è la donna: nel 2023 le giornate di congedo parentale utilizzate dalle donne sono state 14,4 milioni, contro appena 2,1 milioni degli uomini. Questo “grazie” anche all'ultima finanziaria della Meloni, dove ha stanziato 6 miliardi di euro a bonus per i nuovi nati, decontribuzione previdenziale per le lavoratrici madri, congedi parentali e bonus asili nido, foraggiando la sua politica sulla natalità e la famiglia di chiara ispirazione mussoliniana.
Lo stesso Roberto Ghiselli, presidente del Civ (Consiglio di indirizzo e vigilanza Inps che ha redatto il Rendiconto) sostiene “il divario di genere per salari e pensioni è molto grave. Le discriminazioni nel passaggio tra istruzione e lavoro sono forti. Bisognerebbe agire su più dimensioni. Evitando politiche spot e bonus, ma con azioni mirate”.
Non è un caso che tale discriminazione o gender gap da quando si è instaurato il governo capitalista, neofascista e antifemminile della ducessa Meloni stia accelerando drammaticamente. I tagli della ducessa Meloni agli enti locali, alla scuola, alla sanità e al welfare , in generale, pesano inesorabilmente sulle spalle delle donne costrette ad assolvere la mancanza di servizi essenziali per prendersi cura e assistere i figli piccoli o i familiari non autosufficienti e ad abbandonare il lavoro o ad accettare lavori precari, part-time, sottopagati. Mentre le donne avrebbero bisogno per emanciparsi dal giogo della schiavitù domestica di un lavoro vero a tempo pieno, a salario intero, in presenza e sindacalmente tutelato, insieme alla costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno.
Questi drammatici Inps confermano che il governo capitalista, neofascista della Meloni rappresenta al momento attuale un acerrimo nemico delle masse femminili e va combattuto strenuamente, finché la piazza non lo abbatterà.
Ma confermano anche che la disuguaglianza fra donne e uomini potrà essere risolta solo abbattendo il capitalismo e instaurando il socialismo con al comando il proletariato, poiché come ci insegna Lenin “Il capitalismo unisce all’eguaglianza puramente formale l’ineguaglianza economica e, quindi, sociale…
Ma, neanche per quanto riguarda l’eguaglianza formale (l’eguaglianza davanti alla legge, l’“eguaglianza” del sazio e dell’affamato, del possidente e del nullatenente), il capitalismo può dar prova di coerenza. E una delle manifestazioni più eloquenti della sua incoerenza è l’ineguaglianza tra l’uomo e la donna. Nessuno Stato borghese, per quanto progressista, repubblicano e democratico, ha concesso la completa eguaglianza dei diritti”. (Lenin – La giornata internazionale della donna, 4 marzo 1920, op. complete, volume 30, p. 367).

5 marzo 2025