46 morti, recuperati solo 6 corpi
Strage di migranti a Lampedusa
Il governo Meloni se ne lava le mani

Nel pomeriggio dello scorso 18 marzo un naufragio verificatosi a 18 miglia nautiche da Lampedusa ha provocato 46 morti.
In un barcone proveniente dalle coste della Tunisia avevano preso posto 56 migranti, tutti provenienti dall'Africa, ma l'imbarcazione a causa del mare agitato si è rovesciata e le navi della guardia costiera italiana e della guardia di finanza hanno potuto recuperare soltanto 10 superstiti e 6 corpi senza vita tutti di ragazzi, mentre altre 40 persone mancano all'appello, e sono sicuramente morte nel naufragio: dalle testimonianze dei sopravvissuti si sa con certezza che i dispersi erano quasi tutti maschi giovani con alcuni minorenni e almeno tre giovani donne.
Sono stati i sopravvissuti - sei uomini e quattro donne provenienti dalla Costa d’Avorio, dal Camerun, dal Mali e dalla Guinea che complessivamente sono stati ritrovati in buona salute dopo la drammatica esperienza vissuta – a riferire l'accaduto e a specificare l'esatto numero di persone che si trovava a bordo prima del naufragio: fuggiti dal porto di Sfax in Tunisia, dove la politica razzista del presidente Kais Saied – pesantemente foraggiato dall'Italia e dalla Ue – ha avvelenato i rapporti tra i migranti provenienti dall'Africa nera e la locale popolazione che è alle prese con una grave crisi economica, l'imbarcazione è partita nella notte del 16 marzo e ha navigato per quasi due giorni interi prima di giungere in prossimità di Lampedusa, dove è naufragata solo poche ore prima che giungessero i soccorsi.
Anche se le condizioni del mare non erano buone, i 56 africani hanno deciso di partire dopo un periodo di permanenza in Tunisia di molti mesi in quanto, a detta di tutti loro, la situazione in Tunisia è diventata talmente violenta e le partenze così ridotte che hanno sfruttato una delle poche possibilità di raggiungere l’Europa.
I superstiti hanno anche riferito alle autorità di polizia italiane che durante la navigazione alcuni migranti sono caduti in acqua a causa del mare agitato mentre il barcone proseguiva verso Lampedusa, dove nel pomeriggio del 18 marzo avveniva il naufragio dell'imbarcazione e il successivo soccorso dopo meno di un'ora, che comunque è risultata fatale per la maggior parte dei migranti.
A dare la notizia del naufragio sono stati l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, l'Unicef, Save the children, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e la Croce rossa i cui rappresentanti sono presenti a Lampedusa e i cui operatori si sono presi cura dei superstiti, mentre le autorità italiane a cominciare dal governo Meloni e dalla stessa Giorgia Meloni, che è pronta sempre a disperarsi pubblicamente persino alla notizia di una piccola escoriazione riportata da chiunque indossi una divisa, non hanno speso una sola parola di fronte a 46 morti lavandosene completamente le mani, trattando evidentemente tutto ciò come una formalità burocratica.
Con la stessa freddezza burocratica, del resto, per non compromettere i rapporti economici e l'accordo sui migranti con la Libia la Meloni e i suoi camerati istituzionali hanno rispedito in fretta e furia con un volo di stato Almasri in Libia sottraendolo al mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, stupri, torture e violazione dei diritti umani contro i migranti nei lager libici.
Suonano come vere e proprie campane a morto sia per il governo italiano sia per i governi europei sia per i regimi arabi dell'Africa settentrionale sia per la stessa Ue, oltre che per un sistema socioeconomico mondiale ormai in piena agonia, le parole del direttore della Caritas italiana, don Marco Pagniello, che ha affrontato l'argomento: “i morti in mare durante la traversata del Mediterraneo – ha affermato l'ecclesiastico - persone partite alla ricerca di un futuro più dignitoso, sono un dito puntato contro la nostra incapacità di immaginare un futuro in grado di dare speranza e orizzonti di vita a tutti in ogni parte del mondo”.
 
26 marzo 2025