Negli Usa di Trump e nella Germania di Merz
Caccia e espulsione dei giovani che solidarizzano con la Palestina
Trump taglia i fondi alle università che non si piegano alle sue politiche fasciste
L'amministrazione Trump ha inaugurato una politica di vera e propria caccia all'uomo nei confronti di tutti coloro – in particolare studenti universitari ma non solo – che solidarizzano con la Palestina e denunciano i crimini perpetrati dal regime sionista a Gaza, in Cisgiordania e in altri luoghi del medio oriente.
L'8 marzo scorso a New York la polizia ha arrestato Mahmud Khalil, studente universitario ventinovenne di origine palestinese con cittadinanza siriana e algerina, e tale provvedimento è stato giustificato dalle autorità statunitensi per la sua partecipazione alle proteste universitarie contro il genocidio di Gaza nel 2024: detenuto in un centro detentivo della Louisiana, rischia l'espulsione nonostante sia sposato con una cittadina statunitense. Il giovane, dopo un master alla Columbia University concluso lo scorso dicembre, avrebbe dovuto laurearsi a maggio, e una sua espulsione pregiudicherebbe in modo definitivo la sua carriera universitaria. L'amministrazione Trump ha deciso la sua espulsione in base a una legge federale dell’epoca della guerra fredda, che conferisce al segretario di Stato il potere di stabilire se la presenza di uno straniero negli Usa minacci gli obiettivi di politica estera del Paese.
Il 14 marzo scorso alla dottoressa libanese di 35 anni Rasha Alawieh, che insegnava ed esercitava la professione medica presso la Warren Alpen Medical School del Rhode Island, è stato revocato il permesso di soggiorno e le è stato impedito in modo permanente di fare ingresso negli Stati Uniti in quanto, tornata in Libano per visitare i suoi parenti a febbraio, aveva partecipato ai funerali di Hassan Nasrallah, già segretario generale del partito politico antisionista Hezbollah. Rasha Alawieh è dovuta quindi rientrare in Libano e ha perso il suo lavoro negli Stati Uniti.
Lo stesso giorno, il 14 marzo, la polizia del New Jersey arrestava una studentessa della Columbia University, la palestinese Leqaa Kordia di 23 anni, ufficialmente per cavilli burocratici relativi al suo permesso di soggiorno scaduto, ma in realtà per la sua partecipazione alle proteste del 2024 contro Israele, per le quali era già stata fermata. Ora, dopo che le è stato comunicato che l'amministrazione non le prorogherà più il visto, rischia l'espulsione definitiva dagli Stati Uniti verso la Cisgiordania o Gaza.
Il 25 marzo la polizia ha poi arrestato a Tuscaloosa, in Alabama, il trentaduenne iraniano Alireza Doroudi, dottorando in ingegneria meccanica presso l'Università dell'Alabama. Nonostante egli non abbia mai partecipato a manifestazioni pubbliche a favore dei palestinesi o di condanna a Israele, le autorità gli rimproverano ripetuti interventi sui social su tali temi e il Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti, preannunciando la sua espulsione dal Paese, ha affermato che egli ha problemi con il suo permesso di soggiorno e sostenuto addirittura che Doroudi "poneva serie preoccupazioni per la sicurezza nazionale".
A Somerville, in Massachusetts, sei agenti di polizia in borghese hanno poi arrestato il 27 marzo Rumeysa Ozturk, cittadina turca di 30 anni dottoranda in Scienze umane presso la Tufts University di Medford, prelevandola dalla propria abitazione di Sommerville, vicino a Boston. L'arresto è stato motivato dal fatto che la ricercatrice aveva curato insieme ad altri studenti e dottorandi un articolo sul giornale universitario The Tufts Daily nel quale si manifestava aperto sostegno alla causa palestinese e si criticava la gestione da parte del college della rabbia degli studenti per la guerra di Israele a Gaza. L’arresto della giovane è stato ripreso in un video in cui si vede la donna che grida, mentre gli agenti l’ammanettano e la portano via. La donna ha poi saputo in carcere che già il 15 marzo le era stato revocato il permesso di soggiorno ma le autorità non l'avevano avvisata nel timore che, sapendolo, lasciasse nel frattempo gli Stati Uniti. Portata dapprima in un carcere del New Hampshire, poi in un centro detentivo nel Vermont e successivamente in Louisiana, il 4 aprile, un giudice federale del Massachussetts ha stabilito che la donna deve tornare in un centro di detenzione nel Vermont, ma lo stesso giudice ha respinto la richiesta, formulata dal suo avvocato, di scarcerazione. Con la revoca del permesso di soggiorno si teme l'espulsione dagli Stati Uniti e con essa anche la fine della sua carriera universitaria, e ora hanno paura di rappresaglie governative anche gli altri ricercatori e studenti stranieri che con lei avevano redatto l'articolo di solidarietà ai palestinesi.
Il segretario di Stato Marco Rubio ha reso noto alla fine di marzo che il totale dei visti revocati agli studenti stranieri che sono intervenuti a favore dei palestinesi è di oltre 300. “Vi abbiamo dato un visto – ha affermato - per venire a studiare e ottenere una laurea, non per diventare un attivista sociale che distrugge i nostri campus universitari”. “Se vi abbiamo dato un visto e poi decidete di farlo – ha concluso - ve lo toglieremo” .
Se gli studenti stranieri possono essere ricattati con la revoca del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione dal territorio degli Stati Uniti, per gli studenti che hanno la cittadinanza americana il governo di Trump muove contro di loro le stesse università affinché siano esse stesse a prendere provvedimenti repressivi nei confronti degli studenti, e tali pressioni sugli istituti prevedono la revoca dei finanziamenti federali alla ricerca per le università che non usano il pugno di ferro contro i propri studenti.
Secondo fonti del Wall Street Journal, Trump starebbe pensando di mettere la Columbia University di New York sotto commissariamento ponendo a capo di essa un funzionario nominato dal governo federale dopo avere, lo scorso marzo, bloccato i fondi federali a causa delle proteste filopalestinesi dello scorso anno, provvedimenti che potrebbero restare in vigore per anni.
Anche Harvard è finita nel mirino dell'amministrazione Trump, la quale ha reso ufficialmente noto che vuole rivedere circa 9 miliardi di dollari in sovvenzioni e contratti federali con l'ateneo, accusato anche esso, falsamente, di avere permesso che l'antisemitismo dilagasse all'interno del campus.
Il pretesto dell'antisemitismo è totalmente falso e fuorviante, perché alle proteste filopalestinesi e contro Israele hanno partecipato non soltanto docenti e studenti ebrei delle università – moltissimi uniti nell'associazione ebraica antisionista Jewish Voices for Peace - ma addirittura numerosi rabbini che da varie parti degli Stati Uniti hanno partecipato, portando la solidarietà delle rispettive comunità ebraiche, alle iniziative studentesche: si ricordi soltanto la folta delegazione di rabbini ebrei ortodossi guidata dal rabbino capo Dovid Feldman che il 18 e il 26 aprile 2024 si è recata alla Columbia University per supportare gli studenti nelle loro proteste a favore del popolo palestinese e contro Israele, e l'altrettanto folta delegazione di rabbini e semplici fedeli ebrei ortodossi che ha partecipato all'International Genocide Prevention Day, una marcia indetta dagli studenti della stessa università che si è tenuta a New York il 9 dicembre scorso. La voce del rabbino Dovid Feldman ha più volte tremato mentre ricordava – prendendone le distanze - i crimini commessi da Israele in nome dell'ebraismo, eppure la linea politica menzognera di Trump e della sua cricca filosionista è incurante del fatto che migliaia di rabbini e centinaia di migliaia di semplici fedeli ebrei negli Stati Uniti stanno aborrendo, e sicuramente hanno sempre aborrito, l'ideologia e la prassi sionista e non certo la fede nei principi dell'ebraismo.
Nel frattempo comunque altre otto università statunitensi vengono tenute d'occhio, sempre nel nome della fasulla guerra all'antisemitismo, dall'amministrazione Trump, che è pronta a ricattarle con la minaccia di perdita di finanziamenti e contratti federali se esse non penalizzano gli studenti filopalestinesi.
La politica di Trump, del resto, fa scuola nel mondo, e altri Paesi inaugurano una politica del pugno di ferro contro i filopalestinesi.
Agli inizi di aprile in quattro giovani – la polacca Kasia Wlaszczyk, lo statunitense Cooper Longbottom e gli irlandesi Roberta Murray e Shane O’Brien - hanno ricevuto la notifica di espulsione entro un mese dal territorio tedesco da parte delle autorità tedesche per aver preso parte a proteste contro Israele e contro il genocidio palestinese a Gaza alla fine del 2024 alla Freie Universität di Berlino.
Nei confronti dei quattro studenti, peraltro, non è in corso alcun procedimento penale.
È chiara l'analogia con quanto avviene nell'altra sponda dell'Atlantico, dove basta un cavillo burocratico per espellere arbitrariamente stranieri sgraditi non perché responsabili di crimini ma soltanto per le opinioni espresse: “secondo le norme tedesche sull’immigrazione - ha sottolineato Thomas Oberhäuser, presidente del comitato per il diritto dell’immigrazione dell’Ordine tedesco degli avvocati - le autorità non hanno bisogno di alcuna condanna penale per emettere il decreto di espulsione”. “Se si espelle qualcuno semplicemente per le sue convinzioni politiche – ha proseguito l'autorevole avvocato tedesco - allora siamo di fronte a un abuso gigantesco” . Il provvedimento di espulsione è ancora più grave se si considera che “tre dei quattro colpiti dall’ordine di espulsione – ha infine sottolineato il giurista tedesco riferendosi alla ragazza polacca e ai due giovani irlandesi - sono cittadini Ue e godono della libertà di movimento tra i paesi membri”.
E la repressione tedesca nei confronti dei manifestanti a favore dei diritti dei palestinesi va di pari passo con l'immunità e l'impunità che molti governi europei – il caso più eclatante è l'Ungheria, ma il governo italiano della Meloni non è da meno – concedono apertamente ai sionisti in generale e al caporione sionista Netanyahu in particolare, accusato quest'ultimo insieme all'ex ministro della Difesa del regime sionista Gallant di crimini di guerra e contro l'umanità.
Altri Stati del vecchio continente, come il Regno Unito, non si fanno scrupoli a colpire paradossalmente, in nome della lotta all'antisemitismo, gli ebrei antisionisti come il docente universitario Haim Bresheeth, figlio di uno scampato all'Olocausto nazista, arrestato lo scorso novembre a Londra e tuttora sotto indagine per aver affermato che l'entità sionista stava perpetrando un genocidio a Gaza.
Anche in Italia le cose non vanno meglio per chi prende posizione a favore dei palestinesi: a tacere di altro, l'ex presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, infatti, ha potuto impunemente lanciare nell'ottobre del 2023 pesantissime invettive in puro stile sionista (“vi veniamo a prendere... ma non con la forza, il ministro vi verrà a prendere” ha affermato testualmente Pacifici contro i sostenitori della lotta del popolo palestinese. Sarà un puro caso, ma qualcuno nel maggio dello scorso anno è andato letteralmente a prendere proprio uno dei nominati da Pacifici, Gabriele Rubini, e lo ha massacrato di botte mentre usciva da casa sua a Frascati, vicino a Roma. La magistratura a distanza di quasi un anno da tale atto criminale non ha finora individuato il gruppo di squadristi che hanno massacrato di botte Rubini mentre, al contrario, la polizia italiana fu assai solerte nel trattenere per oltre un'ora e nello schedare gli attivisti ebrei antisionisti del Laboratorio Ebraico Antirazzista che manifestarono il 19 novembre 2023 a Roma davanti al Colosseo a favore dei palestinesi.

16 aprile 2025