Dopo 50 anni tramite il pennivendolo Emanuele Giordana
“Il Manifesto” trotzkista rilancia le falsità dei fascisti e degli anticomunisti contro il Kampuchea democratico di Pol Pot
“Il tragico anno zero della Kampuchea. Il 17 aprile 1975 i Khmer rossi prendevano il potere in Cambogia. Segue sterminio di due milioni di persone. 50 anni dopo, negazionisti puniti con una legge di cui non c’era bisogno”, questo il sunto dell’articolo del pennivendolo Emanuele Giordana su “Il Manifesto” trotzkista nel quale si rilanciano le falsità dei fascisti e degli anticomunisti contro l’esperienza del Kampuchea democratico di Pol Pot, definito “uno dei periodi più bui e tragici della Storia dell’umanità. Un periodo di governo del terrore durato esattamente tre anni, otto mesi e venti giorni e iniziato proprio con la conquista della capitale cambogiana il 17 aprile 1975. Saigon sarebbe caduta 18 giorni dopo. La Cambogia si trasformò in Kampuchea democratica, una dittatura spietata retta dal movimento dei Khmer rossi, che evocava un Anno zero con cui costruire l’uomo nuovo, un contadino che doveva lavorare per il bene comune in campi allestiti svuotando le città in cui era un reato anche solo portare gli occhiali. Un regime che si ispirava al comunismo – riuscendo così a carpire la buona fede dei tanti che inizialmente ne salutarono la vittoria – ma che si trasformò in una dittatura spietata, genocidaria e concentrazionaria, responsabile della morte di circa 2 milioni di persone (le stime variano da 1,5 a oltre 3 milioni). Il Vietnam invase la Cambogia e pose fine al regime khmer rosso nel 1979 suscitando reazioni di sollievo nei cambogiani ma anche di condanna per il metodo utilizzato, che aveva creato un regime filovietnamita capeggiato da Hun Sen, un ex khmer rosso che aveva cambiato bandiera. Hun Sen, ripristinando la monarchia, fece del suo governo un regime autoritario e dinastico, ora passato nelle mani del figlio Hun Manet”. E continua il foglio trotzkista “Quanto ai Khmer rossi, il nuovo regime ne ha comprensibilmente fatto un modello negativo da ricordare come emblema di efferatezza. E ora, alla vigilia dei 50 anni di anniversario della presa di Phnom Penh, ha varato una legge che proibisce di negare le atrocità del movimento… In realtà di questa legge non c’era bisogno: le atrocità dei Khmer rossi sono ampiamente note ai cambogiani, fatta eccezione per una minoranza di ex quadri e soldati che vivono nella zona di Pailin, vicino al confine con la Thailandia, o nella remota regione settentrionale che ha per capoluogo la cittadina di Anlong Veng, nella provincia di Oddar Meanchey. Fu l’ultimo baluardo khmer rosso e resistette sino a quasi alla fine degli anni ‘90”.
Per rispondere a queste falsità ricordiamo ai nostri lettori che in Cambogia la guerra popolare scoppiata nel gennaio 1968 porterà il 17 aprile del 1975 l'esercito rivoluzionario del Kampuchea a liberare Phnom Penh e a cacciare la cricca fascista di Lon Nol e i soldati americani che avevano invaso il paese. Il Kampuchea è stato il primo paese dell'Indocina a riportare la vittoria sull'imperialismo americano. Portata a termine con successo la fase della rivoluzione nazionale democratica il Partito comunista del Kampuchea inizia quella della difesa del Paese, della continuazione della rivoluzione socialista e l'edificazione del socialismo.
Uno dei problemi era la eccessiva concentrazione della popolazione nella capitale, costituita in parte da rifugiati di guerra in parte attratti dal regime di Lon Nol e gravitanti attorno all'economia di guerra e ai dollari spesi dagli occupanti americani. Non sarebbe stato possibile per il nuovo governo diretto dal compagno Pol Pot garantire una vita dignitosa alla gran massa di abitanti di Phnom Penh da parte di un paese ridotto alla fame e piagato dai bombardamenti USA. Ecco perché il governo caldeggiò e favorì il trasferimento di una fetta di abitanti nelle campagne a lavorare.
La politica del nuovo governo del Kampuchea Democratico è così illustrata nel 1977 da Pol Pot: "prendiamo l'agricoltura come fattore fondamentale e ci serviamo dei capitali accumulati attraverso l'agricoltura per edificare progressivamente l'industria e trasformare in breve tempo il Kampuchea in un paese agricolo moderno, poi in un paese industriale, attenendoci fermamente alla linea di indipendenza, di sovranità e di contare fondamentalmente sulle nostre forze. (...) Il nostro obiettivo è di mettere in campo, consolidare e sviluppare progressivamente i complessi industriali e artigianali di grandi, medie e piccole dimensioni, a Phnom Penh, nelle altre zone, regioni, distretti e nelle cooperative. (...) Nell'immediato il nostro obiettivo principale (nell'educazione, ndr) è l'eliminazione dell'analfabetismo. Nella vecchia società vi erano delle scuole e licei e un certo numero di facoltà ma in campagna il 75% della popolazione, in particolare i contadini poveri e medio poveri non sapevano né leggere né scrivere, e anche in città il 60% dei lavoratori erano analfabeti. Attualmente, appena due anni dopo la liberazione, solo il 10% della popolazione è analfabeta (oggi è di nuovo il 50%, ndr). (...) Abbiamo sviluppato e svilupperemo delle reti sanitarie creando dei centri ospedalieri e dei centri di fabbricazione dei medicinali in tutte le cooperative e nella capitale. (...) La salute del nostro popolo ha conosciuto un miglioramento considerevole. Abbiamo eliminato definitivamente le malattie sociali e la tossicomania".
Il governo di Pol Pot perseguì una corretta politica di non ingerenza e di rispetto dell'indipendenza, sovranità e integrità territoriale degli altri paesi, una politica di pace e di non allineamento. Ma l'opera di edificazione e costruzione del socialismo fu brutalmente stroncata sul nascere dall'aggressore vietnamita che, spinto dall'allora socialimperialismo sovietico, dopo una serie di provocazioni iniziate già nel 1977 invase in forze il Kampuchea il primo gennaio del 1979. Una fulminea invasione di stampo hitleriano che provocò in un solo anno un milione di morti, devastazioni, stermini, carestia, un esodo forzato di centinaia di migliaia di profughi verso la Thailandia. Una guerra di genocidio, di sterminio di una nazione, di un popolo e di un'intera razza finalizzata all'antico sogno vietnamita di inglobare la Cambogia nel "grande Vietnam" e proseguire l'espansione nel sud-est asiatico.
Criminale non fu Pol Pot che ricondusse la popolazione nelle campagne e ai propri villaggi di origine per evitare una catastrofe immane che sarebbe stata inevitabile se avesse lasciato tre milioni di cambogiani concentrati in una città ormai distrutta, alla fame, incapace di provvedere ai bisogni più elementari e di aver cercato così, peraltro riuscendoci, di assicurare a tutto il popolo cibo sufficiente, un tetto sulla testa, cure e assistenza sanitaria. Non fu criminale Pol Pot che in appena tre anni di governo socialista riuscì ad alfabetizzare il 90% della popolazione, a sconfiggere quasi del tutto la malaria e la tossicodipendenza attraverso la diffusione capillare dei presidi ospedalieri, delle fabbriche di medicinali e dei farmacisti a livello di ogni villaggio. Se fosse stato un "dittatore", un "sanguinario", un "affamatore", avrebbe potuto rimanere alla testa del suo popolo per oltre un decennio ingaggiando una lunga guerra di resistenza e di guerriglia contro l'invasore vietnamita e i suoi governi fantoccio?
Criminale fu chi soffocò con i tank, i gas tossici e le armi chimiche, i massacri, gli stupri e le torture la libertà di un popolo che aveva diritto a decidere da solo il proprio destino, che stava costruendo con sacrifici enormi le basi del proprio benessere, una società del tutto nuova e socialista, in cui era bandito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, regnava la giustizia sociale e la vera democrazia proletaria. Basta vedere che cosa è oggi la Cambogia per capire chi aveva e ha ragione e chi ha torto.
Gli accordi di Parigi del 1991 porteranno al ritiro dell'esercito di occupazione vietnamita e alle "libere" elezioni sotto la tutela dell'Onu nel 1993; elezioni denunciate come farsa dalla resistenza khmer che le boicottò e non riconsegnò le armi. Il governo di coalizione diretto dal principe Norodom Ranariddh e dall'ex fantoccio degli aggressori vietnamiti Hun Sen si caratterizzò ben presto per la corruzione, i traffici di armi e droga, la prostituzione infantile che hanno riportato il paese nelle tenebre del passato sotto la dominazione imperialista da cui Pol Pot era riuscito a farlo emergere. I falsi khmer rossi tradirono Pol Pot, svendendo la guerriglia per avere salva la vita e per un posto nel governo attraverso l'intesa con Ranariddh. Hun Sen rispose col golpe del 5 luglio 1997 che gli assicurò il pieno potere a Phnom Penh.
In seguito i falsi Khmer rossi sottoposero Pol Pot a un processo farsa e alla condanna all'ergastolo per certificare al mondo il loro tradimento. In una successiva e ultima intervista rilasciata a un giornalista americano prima della morte nel 1998, Pol Pot riaffermò le sue ragioni e la fedeltà alla causa per il quale si è battuto per tutta la sua vita: "Ho agito per il bene della popolazione, non per sterminarla, e ho la coscienza tranquilla... voglio sappiate che tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per il mio Paese". Che Pol Pot viva in eterno e il suo nome divenga un simbolo della lotta antimperialista.
30 aprile 2025