Il protocollo caldo insufficiente e non strutturale: nessun obbligo alle imprese
All'Ansaldo 12 operai in infermeria: “Raggiunti 40 gradi, non siamo carne da macello, servono condizionatori”
Vergognosi bonus di Glovo ai rider (ritirati dopo le critiche ricevute)

Si moltiplicano i casi di malori sul posto di lavoro a causa delle alte temperature che già dal mese di giugno si stanno registrando in tutta Italia, e si moltiplicano anche le polemiche. I luoghi di lavoro a rischio sono tanti, a partire dai cantieri e dall'edilizia in genere, il lavoro nei campi in agricoltura, i magazzini della logistica, ma anche tante fabbriche. Il governo se n'è guardato bene dall'intervenire per salvaguardare la salute e la vita stessa di tanti lavoratori a rischio.
Per smuovere la situazione e pensare a provvedimenti, si è dovuto aspettare che la situazione arrivasse all'emergenza con decine e decine di malori, anche con esito mortale, verificatasi in tutta Italia e riconducibili al caldo. Ma l'accordo tra le associazioni padronali e i sindacati, diciamolo subito, non risolve un bel niente. Già il fatto di aspettare così tanto tempo la dice lunga su come viene presa a cuore la salute delle lavoratrici e dei lavoratori: sono anni che il cambiamento climatico e le ondate di calore mettono a repentaglio la vita di chi lavora ma la maggior parte delle aziende non ha fatto niente per modificare gli ambienti di lavoro e per organizzarsi cambiando gli orari o sospendendo le attività. Istituzioni nazionali e sindacati confederali sono stati persino scavalcati da ordinanze emesse da molte Regioni che pongono il divieto alle attività all'aperto nelle ore più calde, ma anche in questo caso nessuno si è preoccupato di farle rispettare e i padroni hanno fatto lo stesso quello che volevano.
Il due luglio al Ministero del Lavoro i sindacati e le associazioni padronali hanno firmato un accordo per adattare le condizioni di lavoro agli eventi climatici estremi, come il caldo di queste settimane: è il “protocollo caldo”, anche se vale per le emergenze in generale, quindi anche freddo, alluvioni, e altri eventi estremi. "L'obiettivo prioritario è coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative", ma è evidente come esso sia tutto sbilanciato a favore della produzione.
Nonostante il tema dell'emergenza caldo, e in particolare quella legata alle attività lavorative, occupi le prime pagine di giornali e media, la montagna ha partorito il classico topolino. Poche paginette, che alla fine non stabiliscono niente di concreto: ad esempio prevedono disposizioni per maggiore formazione e informazione in azienda sui rischi climatici, e obbliga le imprese a consultare il meteo prima di organizzare il lavoro. In sostanza non pone limiti a niente, lasciando la più ampia flessibilità, che è stata molto apprezzata dal presidente della Confindustria, Emanuele Orsini: “Si sta andando verso la via giusta – ha detto alla fine dell'incontro – dando una flessibilità sugli orari di lavoro e sulle protezioni che servono”.
Senza fornire alcun parametro base valido per tutti questo protocollo è del tutto inefficace e si riduce a semplici consigli, a buone pratiche. Bastava stabilire dei provvedimenti (pause, sospensione dell'attività) obbligatori nel caso la temperatura e l'afa raggiungessero livelli pericolosi per il lavoratore. Ad esempio sopra i 30 gradi le prime misure, sempre più drastiche a mano a mano che si avvicinano i 40 gradi e una base solida d'intervento era già gettata. Non servono grandi strumenti, basta un semplice termo-igrometro che rilevi la temperatura e l'umidità dell'aria e con un semplice calcolo si trova la temperatura percepita. Poi ovviamente bisogna tenere di conto delle specificità, perché non tutti i lavori richiedono lo stesso sforzo fisico.
Una delle poche cose certe è che l'azienda può ricorrere alla cassa integrazione senza che questa venga messa nel computo degli ammortizzatori sociali utilizzabili. Ma anche qui è tutto a discrezione padronale, e poi i lavoratori ci rimetterebbero comunque con la cig che non copre l'intera paga, senza contare che in certi casi non dipende solo dal meteo ma, specie per chi lavora nelle fabbriche, dalla negligenza delle aziende che per risparmiare non applicano misure e provvedimenti adeguati per limitare le conseguenze del caldo.
Uno di questi casi è rappresentato dall'Ansaldo Energia di Genova, una grande e non una piccola fabbrica, situata nel triangolo industriale e non nel profondo sud, un settore produttivo di prim'ordine e non marginale o arretrato. Lo denunciano i rappresentanti dei lavoratori. "Il primo luglio nel reparto pale sono stati registrati 39 gradi alle 17, nelle officine di Campi 35 gradi, 36 gradi nei magazzini centrali -denunciano Rsu e Rls- si aggiunge la mancanza di ventilazione dovuta agli ambienti chiusi. All'interno degli spogliatoi di Fegino, privi completamente di climatizzazione, con 320 armadietti presenti, sono stati raggiunti i 40 gradi alle 14 sempre del primo luglio".
“In queste giornate di bollino rosso, per ovviare alla mancanza aziendale di altre misure efficaci per rendere vivibile l'officina, è stato sospeso il secondo turno in tutti i reparti non climatizzati", ma ricordano che "la scorsa estate l'azienda si era presa l'impegno di intervenire con un sistema di raffrescatori necessari ad abbassare la temperatura nelle officine. In un anno, non è stato fatto niente di efficace". I rappresentanti sindacali interni, incontrando la direzione aziendale, sono stati chiari: "Abbiamo ribadito per l'ennesima volta il nostro stupore e la nostra rabbia: non accettiamo che i lavoratori di Ansaldo energia e delle ditte in appalto che operano dentro l'officina siano considerati carne da macello".
Sicuramente lo sono considerati dalla società di consegne a domicilio Glovo. Nei giorni scorsi i rider hanno ricevuto questa comunicazione: “Per una temperatura compresa fra i 32 °C e i 36 °C riceverai un bonus del 2%, per una temperatura compresa fra i 36 °C e i 40 °C riceverai un bonus del 4%, per una temperatura superiore a 40 °C riceverai un bonus dell’8%”, così potrai acquistare “crema solare, sali minerali e acqua”. Insomma un “risarcimento” infimo per acquistare beni per la tutela dal caldo (che dovrebbero essere forniti dalla società di delivery), ma peggio ancora, un incentivo a mettere a rischio la propria salute.
Il ministero del Lavoro ha detto che recepirà i contenuti del protocollo in un decreto ministeriale, ma questo non ne cambierà assolutamente l'inefficacia. Qui servono provvedimenti che abbino l'obbligatorietà, che si basino su parametri certi e verificabili, che abbino una impronta strutturale e non emergenziale, perché il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. E naturalmente il protocollo deve comprendere anche i rider, che invece Glovo, per tentare di difendere la sua proposta (poi ritirata dopo aver ricevuto aspre critiche), considera “collaboratori” che hanno la facoltà, solo formale, di accettare o meno il loro vergognoso “bonus caldo”.
 

9 luglio 2025