Decreto infrastrutture da economia di guerra
L'Italia si prepara alla guerra imperialista
Controlli ambientali attenuati nei cantieri ritenuti essenziali per la difesa nazionale
Alla Camera è in discussione il Dl “Infrastrutture”, un decreto chiave nell'ambito strategico nazionale e internazionale dell'Italia guidata dal governo Meloni, dal quale emerge la piena assonanza dell'esecutivo neofascista alla richiesta di Trump, NATO e Unione Europea, di portare fino al 5% del PIL la spesa militare nel quadro di una vera e propria economia globale di guerra.
L'elemento più significativo del testo oggetto di un ampio dibattito, è l'approvazione di una norma che attenua i controlli ambientali per tutte quelle opere ritenute presidi di “difesa”, che potranno di conseguenza essere militarizzate e blindate arbitrariamente come caserme. Una misura che si sposa perfettamente con i contenuti del Decreto Sicurezza varati e approvati per piegare ogni forma di dissenso, e che cancella qualsiasi tipo di richiesta di trasparenza (indagini, verifiche, sopralluoghi) come poteva accadere finora su richiesta degli organismi competenti istituzionali, e a volte anche da commissioni paritetiche tecniche di controllo.
In questo modo tutto quello che l'esecutivo vorrà sarà “top secret” poiché le informazioni su ciò che riguarda l'opera propedeutica all'interesse di “difesa nazionale” non sono più dovute, e pertanto non ci sarà più alcuna interrogazione o ispezione, a tutto interesse superiore di un governo dice di perseguire la pace, la sicurezza e lo sviluppo e in realtà si prepara alla guerra imperialista.
Una preparazione alla guerra imperialista che non risparmia nessun campo, e che diventa ogni giorno più urgente per Meloni e camerati; e proprio in questo solco rientra a pieno titolo l'emendamento approvato dalle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera e votato il giorno seguente che permetterà anche, fra le altre cose, l’esonero accelerato dalla valutazione di impatto ambientale (Via) per gli stessi cantieri ritenuti essenziali per la cosiddetta “difesa nazionale”. Una semplificazione d'urgenza con tempi ridotti a trenta giorni per l’adozione di un decreto del ministro dell’Ambiente con il quale di fatto sarà possibile aggirare praticamente tutte le regole di edificazione e i presidi ambientali necessari aulla carta alla salvaguardia dell'ambiente, del territorio e della salute pubblica a oggi previste.
In pratica, l'ennesimo via libera alla speculazione e alla devastazione ambientale viene dato attraverso un nuovo colpo di spugna ad altre leggi e norme esistenti per mettere così il territorio al servizio del capitale e dell'economia di guerra attraverso nuovi cantieri propedeutici alla realizzazione di opere a essa finalizzate senza controllo alcuno, intrecciandosi a doppio filo sia con l’acquisto e la produzione delle armi, sia appunto con l’uso militare delle infrastrutture civili.
Incredibilmente infatti anche il Ponte di Messina, sebbene non sembri rientrare nella norma approvata nel Dl “Infrastrutture”, è stato oggetto di una precisazione da parte del Governo secondo la quale gli oltre 13 miliardi inizialmente necessari per costruirlo, potrebbero addirittura essere contabilizzati come un tributo al complesso militare-industriale nazionale in ottica NATO e UE.
“Non è un’opera strategica militare – ha detto infatti il ministro degli esteri Antonio Tajani ansioso come tutto l'esecutivo di mettere a terra il più grande progetto speculativo della storia del nostro Paese – semmai è un’opera che può garantire la sicurezza. (…) Se vogliamo avere un paese più sicuro, dobbiamo anche avere delle infrastrutture che permettono lo spostamento dei cittadini. Se c’è una calamità e bisogna spostare delle persone, c’è anche il Ponte sullo Stretto. La sicurezza è un concetto un po’ più ampio”. Ma il ponte di Messina non è un caso isolato, ben accompagnato com'è da altre strutture pubbliche strategiche considerate “dual-use”, e quindi di carattere civile e militare, come la famigerata e devastante diga foranea di Genova.
La “sicurezza” infatti, continua a essere utilizzata dal governo Meloni per consentire alla contabilità di Stato di raggiungere l’1,5% del Pil investito in questa voce, e il 3,5% in armamenti e in altri mezzi e strutture propedeutici alla guerra imperialista. Sicuramente questo esercizio economico ha come conseguenza principale quella di sottrarre ingenti risorse economiche ai servizi sociali e alle necessarie infrastrutture pubbliche sanitarie, scolastiche e di trasporto, in particolare al meridione. Ma il governo Meloni non batte ciglio e tira dritto verso la militarizzazione del Paese per la quale l’osservatorio Milex ha stimato l’aumento complessivo in 700 miliardi di euro in dieci anni, infischiandosene del conseguente e progressivo smantellamento dello stato sociale al quale stiamo assistendo da decenni.
Relativamente alle armi poi, era stata annunciata anche l’intenzione della maggioranza e del governo di approvare un altro emendamento al Dl “Infrastrutture” per annacquare i controlli della Corte dei conti anche sull’acquisto stesso delle armi. Il ministro della difesa, il fascista Crosetto, ha sostenuto che l’emendamento poi sospeso dopo un confronto con la Lega in commissione, sarebbe stato frainteso, perché in realtà ha l'obiettivo di “aumentare la trasparenza”, e ha annunciato che in ogni caso sarà ripresentato fino alla sua approvazione perché anch'esso “strategico” all'economia, di guerra aggiungiamo noi.
Insomma, anche il contenuto del decreto Infrastrutture è pienamente in linea con la politica antipopolare, liberticida e guerrafondaia del governo neofascista Meloni che sta ampliando e consolidando il ruolo dell'Italia quale grande piattaforma di logistica militare al servizio dell'imperialismo d'Occidente all'interno del quale Meloni vuole il suo “posto al sole”.
Alla luce di questo ennesimo colpo di mano ai danni dei più elementari diritti democratico-borghesi, le opposizioni non hanno saputo fare altro di meglio che rilanciare i soliti insufficienti slogan contro la “deriva autoritaria”, contro una “operazione criminale nel distrarre enormi risorse da sanità e diritto all’istruzione” e di “attacco inaccettabile alle normative ambientali”.
Ma alla fine nessuno di questi politicanti borghesi anch'essi da strapazzo, si è preso nemmeno stavolta la responsabilità di denunciare la natura neofascista del Governo Meloni che a suon di decreti sta militarizzando il nostro Paese preparandolo alla guerra mondiale imperialista. Nessuno di costoro, esponenti di una opposizione di cartone, ha chiamato le masse popolari antimperialiste e democratiche a scendere in piazza per abbatterlo il prima possibile; un grave errore, imperdonabile dal punto di vista politico, perché in fin dei conti legittima e consente a un governo neofascista di andare avanti per la sua strada antipopolare, reazionaria, razzista e guerrafondaia. Anche oggi come novant'anni fa l'impalpabile “polemica giornalistica” (parole che usò Mussolini per burlarsi dell'inconsistenza dell'opposizione all'indomani del delitto Matteotti) che rappresenta l'azione massima a cui si spingono i partiti come PD, AVS e 5 Stelle serve a poco, in realtà a null'altro che a dare altro tempo e respiro a un governo nero dalla testa ai piedi che dovrebbe essere buttato giù immediatamente con la lotta di classe e di piazza.
16 luglio 2025