Inchiesta della Procura di Prato
L'inferno nel carcere di Prato: agenti corrotti e mazzette, stupri e torture in cella
Una barbarie la vita nelle carceri italiane
 
Ennesimo spaccato del livello di barbarie raggiunto dalle carceri italiane: l’ultima operazione di polizia nel carcere pratese della Dogaia, il 9 luglio, è durata sette ore ed è arrivata a meno di dieci giorni dalla maxi perquisizione di fine giugno durante la quale le forze dell’ordine avevano sequestrato cellulari, router e sostanze psicotrope di ogni tipo. Fatti che avevano portato il 5 luglio a una mini sommossa nella sezione di media sicurezza.
Dalla procura si fa sapere che la situazione è fuori controllo, compresi stupri e sevizie. Anche grazie, come annota la magistratura requirente, “alla libertà di movimento dei detenuti in permesso e la compiacenza di alcuni agenti penitenziari”. Due gli episodi gravi sotto la lente della magistratura.
Settembre 2023: un 32enne avrebbe violentato a più riprese il compagno di cella sotto minaccia di un rasoio. L’uomo è indagato per violenza sessuale aggravata. Un secondo fatto, tra il 12 e il 14 gennaio 2020, riguarda due detenuti di 36 e 47 anni che avrebbero torturato e stuprato per giorni un recluso tossicodipendente e omosessuale. La vittima è stata brutalizzata con mazze, pentole bollenti, pugni e colpi in testa, costretto a subire rapporti sessuali ripetuti, a vivere in uno stato di terrore. Alle lesioni sono seguiti gravi traumi psicologici.
Nel carcere di Prato sono rinchiusi 576 detenuti, di cui 111 nel reparto di alta sicurezza. Sono stati trovati smartphone e router nascosti nei muri, nelle gambe dei tavoli, in doppifondi degli elettrodomestici e nel water. Al tempo stesso sono note le condizioni inumane della Dogaia, a partire da quelle igienico sanitarie con frequenti casi di scabbia. Nel solo 2024 ci sono stati 4 suicidi e 200 atti di autolesionismo. Una situazione esplosiva, aggravata da annose carenze di organico sia fra gli agenti (270 invece di 360) che fra il personale sanitario, con pochi medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali. “Quella di Prato è una situazione complessa – il commento del garante regionale dei detenuti, Giuseppe Fanfani – ma non è un caso isolato. Mi riferisco soprattutto al carcere fiorentino di Sollicciano e a quelli di Livorno e Pisa, luoghi dove regna un abbandono generale, mancano gli strumenti di controllo, il personale e talvolta la sicurezza. Per non parlare dei direttori che cambiano ogni pochi mesi”.
In questi giorni, il carcere di Prato è anche al centro di un’inchiesta della magistratura che indaga per il delitto di rivolta dopo i disordini all’interno della struttura del 4 giugno e del 5 luglio scorso, che hanno portato a nuove perquisizioni nelle ultime ore. Il fascicolo degli inquirenti ipotizza i reati di resistenza, lesioni e danneggiamenti. Il 5 luglio una decina di detenuti si barricò nella Media Sicurezza tentando di incendiare materiali, brandendo spranghe e cacciaviti e sfondando i cancelli con brande. Servì l’intervento di agenti antisommossa a riportare la calma. Un episodio simile il 4 giugno, quando cinque detenuti, italiani, marocchini e libici, minacciarono gli agenti con “stasera si fa la guerra” o “si muore solo una volta, o noi o voi”.
I magistrati stanno verificando anche alcune “condotte collusive” interne alla struttura e al vaglio ci sarebbe il ruolo di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria mentre è stato chiesto il coinvolgimento del prefetto e del questore per rafforzare la sicurezza anche all’esterno del carcere. Una situazione riassunta dai magistrati così: “La Dogaia era caratterizzata da un tasso pervasivo di illegalità”. Un record di evasioni: cinque in un anno, con poliziotti indagati per favoreggiamento. La vergogna dei suicidi e degli atti di autolesionismo, triste fotocopia di quanto accade in molti altri penitenziari italiani.
Mentre il governo Meloni sbandiera politiche di tolleranza zero, e il ministro Carlo Nordio parla da tempo di riforme carcerarie, Prato era da anni una zona franca, con il personale operava in un regime di carenze di organico croniche.
Urge lottare per: (Dal Programma d'azione del PMLI, politica giudiziaria)
49) Effettiva depenalizzazione dei reati minori da scontare con pene alternative.
50) Scarcerare i tossicodipendenti e i detenuti per reati minori con pene fino a 4 anni, attraverso un provvedimento di amnistia e/o di indulto.
51) Applicazione reale dei benefici previsti dalle leggi Gozzini, Simeone, Saraceni.
52) Provvedimenti urgenti e adeguati per migliorare l'agibilità degli immobili e delle strutture carcerarie, le condizioni di vita, di alloggio, di vitto e di salute delle detenute e dei detenuti e favorire tutte quelle attività volte al loro recupero sociale.
53) Agevolazioni contributive e sgravi fiscali per aziende pubbliche e private disponibili a organizzare attività produttive e di servizi all'interno delle carceri impiegando persone detenute, svolgendo un'opera di formazione professionale, specie per i più giovani, garantendo retribuzioni a termine di legge.
54) Aumentare l'organico di "educatori", psicologi e magistrati di sorveglianza negli istituti di pena.
55) Controllo politico e sociale sulla gestione delle carceri affinché siano evitati e puniti severamente pestaggi, sevizie e altri comportamenti persecutori delle guardie carcerarie e dei loro superiori ai danni dei detenuti.
56) Abrogare la legislazione penale per i malati di mente e chiusura dei manicomi giudiziari realizzando, all'interno delle carceri, strutture sanitarie idonee alla cura dei disturbi psichici dei detenuti con il concorso e la collaborazione dei servizi psichiatrici territoriali e le terapie riabilitative medico-psichiatriche.

16 luglio 2025