Nel dibattito alla Camera sull'aumento al 5% del Pil deciso da Nato e Ue
Il governo neofascista conferma l'aumento della spesa militare di 100 miliardi l'anno in 10 anni
L'opposizione di cartone gli contrappone la draghiana “difesa comune europea”

Il 10 settembre alla Camera, con la bocciatura da parte della maggioranza di governo delle 5 risoluzioni dei partiti dell'opposizione parlamentare (PD, M5S, AVS, IV e Azione), si è conclusa la discussione sull'aumento delle spese militari al 5% sul Pil entro il 2035, firmato dal governo Meloni in seguito alla decisione del vertice Nato del 24-25 giugno a L'Aja. Una decisione imposta dal dittatore fascioimperialista Trump e accettata senza fiatare dagli altri membri della Nato, Italia compresa, con la sola eccezione della Spagna di Sanchez, che ha negoziato una riduzione al 2,1%. E fatta subito propria anche dall'Ue imperialista, con il varo del guerrafondaio piano di riarmo europeo da 800 miliardi proposto dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
Una discussione del tutto inutile e puramente formale, quindi, giacché l'impegno all'aumento di spesa al 5% (di cui il 3,5% per la difesa in senso stretto e l'1,5% in altre voci connesse, come la cybersicurezza, le comunicazioni, le infrastrutture militari di trasporto ecc., fino al potenziamento dell'industria militare) era già stato firmato a giugno dal governo neofascista Meloni, sia in sede Nato che Ue, senza consultare prima il parlamento. Con l'annuncio, anzi, che già entro il 2025 l'Italia incrementerà la spesa per la difesa dall'attuale 1,57% fino al 2% del Pil, già raggiunto o superato dalla maggior parte degli altri paesi europei.

Le dimensioni colossali dell'aumento di spesa
Si tratta quindi di una decisione gravissima, presa sopra la testa del popolo italiano e delle giovani generazioni, non solo perché avvicina la partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale imperialista, ma anche perché i costi spropositati di questo riarmo senza precedenti saranno addebitati interamente alle masse popolari, tagliando la sanità, la scuola, le pensioni, i servizi e l'assistenza sociali. Secondo dati dell'Osservatorio Milex, come riportato nella risoluzione di AVS, “per raggiungere il 5% l'Italia deve passare dai 45 miliardi di euro di oggi (35 in difesa e quasi 10 in sicurezza) a ben 145 miliardi di euro nel 2035 (oltre 100 in difesa e quasi 44 in sicurezza), cioè oltre il triplo di oggi, con un salto di 100 miliardi di euro: circa 66 miliardi in più per la difesa e 33 in più per la sicurezza. Saranno dunque necessari aumenti annui dell'ordine di 9-10 miliardi di euro, per un ammontare complessivo decennale di 100 miliardi di euro di risorse finanziarie aggiuntive. Secondo questa scellerata direzione progressiva, nei prossimi dieci anni l'Italia spenderà, in totale, quasi mille miliardi di euro in difesa e sicurezza (quasi 700 miliardi in difesa e quasi 300 in sicurezza)”.
A detta della maggioranza di governo neofascista (che non ha presentato una sua risoluzione per i noti disaccordi interni, con Salvini che cavalca elettoralmente l'avversione popolare al “Rearm Eu”, pur essendo favorevole al 5%, ma si è limitata a bocciare tutte le risoluzioni delle opposizioni), questa montagna di miliardi non sarà sottratta alla sanità e allo “Stato sociale”, ma anzi è da considerare un “investimento”. Questa tesi truffaldina è stata sostenuta in aula da tutti gli oratori dei partiti della maggioranza, e soprattutto di quello della Mussolini in gonnella, con la deputata di FdI, Paola Chiesa, che ha detto: “Gli investimenti in difesa non devono essere alternativi, ma complementari agli investimenti per la sanità, per la scuola, per il welfare, perché senza difesa non c'è niente, perché senza difesa non c'è scuola, perché senza difesa non c'è sanità, perché senza difesa non c'è crescita sociale”. Un artificio retorico che non spiega affatto come questi pretesi “investimenti” vengano finanziati, dal momento che si nega di togliere un solo centesimo a sanità e “Stato sociale”, ma ci si guarda bene dal parlare di aumentare le tasse o mettere patrimoniali sulle grandi ricchezze.

“L'esercito è fatto per prepararsi alla guerra”
Dove sta allora il trucco, da dove saltano fuori tutti questi soldi? La furbata del governo (a parte trucchi contabili come conteggiare nelle spese per la difesa voci come le pensioni dei militari e addirittura i 15 miliardi del ponte sullo Stretto, facendo infuriare l'ambasciatore americano), consiste in sostanza nel finanziare le prime rate a debito, cioè accollandole come al solito al già mastodontico debito statale e alle nuove generazioni, e passare la patata bollente dei tagli allo “Stato sociale” alla prossima legislatura, chiunque ci sia a governarla.
È per questo che la premier neofascista e il ministro delle Finanze Giorgetti hanno già chiesto alla Commissione l'attivazione dei prestiti sul fondo europeo Safe a tasso agevolato, creato apposta per l'acquisto di armamenti, e progettano di utilizzare allo stesso scopo i Fondi europei di coesione destinati alle regioni, e in particolare al Mezzogiorno; nonché i fondi del Next Generation Eu, vale a dire i fondi non spesi del PNRR, tra cui quelli per gli asili nido, le scuole, le Case della salute, ecc. E oltre a ciò vorrebbero ottenere dalla Commissione, per le spese di riarmo, anche la “clausola di salvaguardia” della sospensione degli obblighi di bilancio derivanti dall'aver sottoscritto il nuovo patto di stabilità.
Ma in un modo o in un altro il riarmo si farà, perché, come ha sentenziato la deputata neofascista citando un generale di corpo d'armata, “'l'esercito è fatto per prepararsi alla guerra'. Fino a qualche anno fa era una parola che non potevamo utilizzare, oggi la realtà ci ha chiamati a confrontarci con la guerra”. Avendo poi la sfacciataggine di sostenere che “noi non vogliamo riarmare l'Italia. Noi vogliamo difendere questa Nazione, come hanno fatto proprio i nostri soldati nella Prima e nella Seconda guerra mondiale, che hanno difeso i nostri confini, la nostra libertà e la nostra sovranità”: come se gli interventi imperialisti unilaterali dell'Italia, sia nella Prima che nella Seconda guerra mondiale, potessero essere spacciati come altrettanti esempi di “difesa della patria”.
In sostanza il governo è venuto in aula solo per ribadire che l'aumento al 5% delle spese militari e l'adesione al “Rearm Eu” erano da considerarsi un caso già chiuso e irreversibile e il dibattimento una pura formalità, certificando ancora una volta l'impotenza e l'irrilevanza del parlamento nel decidere il presente e il futuro del Paese. Tant'è vero che aveva inviato solo un sottosegretario a rappresentarlo, e anche i partiti di opposizione avevano affidato i loro interventi, a parte il solo leader dei Verdi, Bonelli, a deputati neanche di secondo piano.

Le risoluzioni dell'opposizione parlamentare
Quanto alle posizioni politiche dei partiti di opposizione sul riarmo, espresse nelle cinque rispettive risoluzioni, diciamo che si va da quella di destra ultra atlantista e bellicista di Azione, a quelle “centriste” di IV e PD, fino a quelle di “sinistra” di AVS e M5S. La risoluzione del partito di Calenda, infatti, non solo sottoscrive integralmente gli aumenti, ma chiede al governo a tale scopo di “attivare urgentemente tutti gli strumenti finanziari dell'Ue disponibili” (Safe, Fondi di coesione, NGEu ecc.), di rendicontare passo passo “l'effettivo potenziamento della capacità operativa delle forze armate”, nonché di “rafforzare la cooperazione con i paesi 'volenterosi' e con il Regno Unito.
Quella di IV somiglia molto a quella del PD, sia per la politica renziana di riavvicinamento al PD e al “campo largo” in vista delle vicine elezioni regionali, sia per le correzioni a destra che la Schlein ha dovuto concedere alla corrente interna renziana. Nonostante che tre suoi rappresentanti, Guerini, Quartapelle e Madia, abbiano poi votato contro le risoluzioni di AVS e M5S, contravvenendo alla decisione concordata in Direzione di astenersi sulle stesse. La risoluzione del PD chiede infatti di “non aderire all'obiettivo del cinque per cento” ma di “intraprendere un percorso analogo a quello della Spagna, promuovendo un dialogo all'interno dell'Alleanza che valorizzi il principio della condivisione equilibrata degli oneri”: di ricontrattare uno sconto per l'Italia, in sostanza. Quella di IV non rimette in discussione il 5% già deciso, ma si limita ipocritamente a chiedere al governo di “accompagnare ogni aumento della spesa militare con il miglioramento e l'efficientamento della spesa sanitaria, anche al fine di abbattere le cosiddette liste d'attesa, nonché ad adottare il modello 'un euro in spesa militare, un euro in cultura'”.
Le risoluzioni di AVS e M5S chiedono invece entrambe di recedere dal patto del 5% sottoscritto da Meloni a L'Aja, così come chiedono di vietare l'utilizzo per la difesa dei fondi Safe, di coesione, NGEu ecc., rifinanziando invece il Fondo sanitario nazionale. Anche se quella del partito di Conte è più esplicita, chiedendo a questo fine di “scongiurare qualsiasi ipotesi di aumento della spesa in difesa e sicurezza in riferimento al raggiungimento dei nuovi target Nato”, e chiede al governo di manifestare in tutte le sedi internazionali “la ferma contrarietà al piano 'Rearm Eu'”.
Ma alla fine se non è zuppa è pan bagnato, perché tanto le risoluzioni di AVS e M5S, quanto quelle del PD e dei renziani, non solo non denunciano la natura imperialista e guerrafondaia dell'Ue, confermata dal suo gigantesco piano di riarmo, ma finiscono per altra via ad accodarsi servilmente ad essa, sposando e propugnando la linea della “difesa comune” e dell'“esercito comune” europei, in “alternativa” al riarmo dei singoli paesi dell'Ue previsto dal piano della Commissione europea: così recitano infatti, quasi in fotocopia, tutte e quattro le risoluzioni, chiedendo all'unisono al governo di impegnarsi in tutte le sedi per promuovere una “difesa comune europea”, in luogo di un riarmo non coordinato degli eserciti nazionali.

Una “difesa comune” per la superpotenza europea
Questa linea del cosiddetto “campo largo”, mutuata dalla dottrina Draghi, e non meno militarista e imperialista, nella sostanza, rispetto a quella della guerrafondaia von der Leyen e della neofascista Meloni, è stata esposta fuori dai denti nell'intervento del deputato del M5S, Arnaldo Lo Muti, che ha ammesso candidamente: “Noi vogliamo dirlo e ribadirlo, per l'ennesima volta lo diciamo, sono mille volte che ve lo diciamo: per il Movimento 5 Stelle il rinnovamento e l'ammodernamento del nostro sistema di difesa nazionale è una voce prioritaria. Quello che contestiamo a voi, Governo e maggioranza, è l'approccio, il metodo. Noi vogliamo semplicemente che i soldi per la difesa vengano spesi meglio, sia a livello nazionale e, forse ancor di più, a livello sovranazionale, con un esercito comune europeo, con una difesa comune europea. Se lo facessimo, Presidente, noi balzeremmo subito ad avere, come Europa, la seconda potenza militare più grande al mondo dopo gli Stati Uniti”.
In conclusione, anche e soprattutto riguardo alla politica estera e militare, l'opposizione di cartone conferma di discostarsi di poco, e solo come sua variante di “sinistra”, dalla linea atlantista, militarista e imperialista del governo. Dovrebbe denunciare con forza l'Unione europea imperialista e il governo neofascista Meloni, propugnando l'uscita dell'Italia dall'Ue e chiamando le masse in piazza per buttare giù la Mussolini in gonnella. Ma non lo fa perché, come ha denunciato efficacemente la compagna Caterina Scartoni, nel suo interessante discorso tenuto a nome del CC del PMLI alla 49ª Commemorazione della scomparsa di Mao: “I partiti della 'sinistra' borghese (PD, M5S, SI, AVS e partiti alla loro sinistra, fuorché il PMLI e le forze anticapitaliste) non riconoscono che siamo in presenza a una riedizione della dittatura fascista.
Prendere urgentemente coscienza della natura, degli scopi e dei pericoli fascisti di questo governo, denunciarli apertamente e agire di conseguenza: è questo oggi un compito principale che sta di fronte non solo ad ogni anticapitalista e fautore del socialismo ma anche ad ogni democratica e democratico e antifascista conseguente ”.
 
17 settembre 2025