Tre morti a Marcianise (Caserta) nell'esplosione di un silo
Senza fine le stragi sul lavoro ma dal governo solo promesse
Istituire una procura speciale e il reato di omicidio sul lavoro

Un vero è proprio settembre nero. A partire da lunedì 8: quattro morti sul lavoro in un solo giorno. Purtroppo non si tratta di un evento eccezionale, ma della “normalità”, perché in Italia si viaggia alla terrificante media di tre morti al giorno nei cantieri, nei magazzini, nei campi e nelle fabbriche, dal Nord al Sud del Paese.
La prima vittima è stato un operaio di 69 anni: è precipitato con il cestello di una gru da oltre 12 metri, a Torino. Yosif Abdel Malak Gamal, operaio egiziano residente a Moncalieri, era impegnato nell’affissione di un manifesto pubblicitario su un palazzo, quando ha perso l’equilibrio ed è caduto da oltre dieci metri. Lascia la moglie e tre figli in Egitto a cui ogni mese inviava parte del suo stipendio. L’uomo, a quanto pare, non indossava alcuna imbragatura di sicurezza né era legato con un moschettone. Insieme a lui stava lavorando un connazionale, che si trovava ai piedi della gru: è rimasto lievemente ferito ed è stato trasportato in ospedale in stato di shock per aver assistito alla tragedia.
Un altro operaio, di 53 anni, è morto a Riposto, nel Catanese. Secondo una prima ricostruzione l’uomo, impegnato nell’ampliamento di capannoni di una ditta di serramenti per edilizia, dopo aver perso l’equilibrio è precipitato da un’impalcatura, perdendo la vita sul colpo dopo un volo di oltre otto metri. Sul posto sono arrivati il personale del 118 e i carabinieri della locale stazione. Inutili i tentativi di rianimarlo da parte dei soccorritori, intervenuti anche con un elicottero.
Altra vittima in Brianza. Si chiamava Mamadou Touré, aveva 48 anni e 4 figli, cittadino italiano originario della Guinea, viveva con la famiglia a Lesmo. Secondo i primi accertamenti l’operaio sarebbe stato violentemente colpito da un oggetto metallico mentre stava lavorando al tornio, ed è morto sul colpo. La quarta vittima a Roma, dove un operaio è morto schiacciato da un carrello elevatore mentre stava lavorando lungo la banchina del Tevere. Si chiamava Daniele Cucchiaro ed aveva 47 anni.
Martedì 9 settembre un altro morto a Roma. A Ostia, un operaio, di nazionalità romena, è morto dopo essere precipitato dal quinto piano di un edificio durante i lavori di ristrutturazione di una palazzina. L'11 settembre ennesimo morto sul lavoro, e ancora in un cantiere edile. Questa volta è successo a Vittorito, in provincia dell’Aquila, dove un 55enne ha perso la vita precipitando giù da un ponteggio alto circa 13 metri. Immediati i soccorsi del personale sanitario e medico del 118, ma per l’uomo non c’è stato nulla da fare.
Il martedì successivo altre tre persone hanno perso la vita mentre stavano lavorando. A Leini, in provincia di Torino, un operaio è morto a seguito di un incidente in una ditta di autodemolizioni. È rimasto schiacciato da un carro attrezzi sul quale stava effettuando dei lavori. A San Giuliano Milanese, un operaio di 36 anni di origine tunisina, Jihed Selmi, è precipitato da un capannone durante lavori di montaggio di pannelli solari. La dinamica lascia ipotizzare un cedimento del tetto. L’altra vittima è un operaio italiano, un 48enne residente nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, transfrontaliero che lavorava nel Canton Ticino. L’uomo è rimasto schiacciato dall'escavatore che stava guidando.
Il 19 settembre strage sul lavoro a Marcianise, in provincia di Caserta. Tre operai sono morti dall'esplosione di un silos pieno di oli esausti, alla cui calotta stavano installando un sensore tramite saldatura. Lo scoppio ha sbalzato i tre a decine di metri di distanza. Probabilmente una scintilla ha causato la deflagrazione. La Ecopartenope si occupa del trattamento di rifiuti, anche pericolosi, e già in passato è stata oggetto di inchieste da parte della magistratura.
Queste sostanze producono vapori che possono deflagrare alla prima scintilla. “Una saldatura su un silos non si può fare senza svuotare prima i vapori”, spiega Giancarlo Ricciardelli, direttore del dipartimento di prevenzione e sicurezza ambientale dell’Asl di Caserta. “Si sono occupati in prima persona di un’attività che, devo ritenere, non svolgevano quotidianamente e della quale dunque non conoscevano a fondo le procedure di sicurezza. Sarebbe stato invece necessario affidarla a saldatori professionisti, perché costoro avrebbero saputo che non si poteva operare senza prima aprire il silos per diluire i vapori”.
Di tutti questi morti non interessa niente al governo Meloni, che fa tanti proclami e promesse, ma al di là della propaganda non prende alcuna misura concreta. Sono i numeri che parlano chiaro: se nel 2024 si erano superati i mille morti il 2025 si preannuncia persino peggiore. Nei primi sette mesi dell’anno l’Inail ha registrato 607 morti sul lavoro, con un aumento del 5,2%, rispetto all’anno precedente. Le denunce di infortunio sono state 350mila, mentre le malattie professionali sono cresciute del 9,9%.
Il presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro (Anmil) Antonio Di Bella ha commentato: “ Non possiamo più accettare che il dolore e l’indignazione si ripetano ogni giorno senza un cambiamento concreto, chiediamo un cambio di passo immediato e radicale”. In effetti si deve cambiare assolutamente registro, con misure che vadano oltre i semplici proclami, come ad esempio l'istituzione di una Procura speciale che si occupi esclusivamente dei reati legati alla sicurezza e quella del reato di omicidio sul lavoro, come da tempo chiedono, a vario titolo, grandi sindacati italiani come Cgil, Uil e Usb. In parlamento giacciono da anni proposte di legge che vanno in questa direzione, ma fin'ora non se ne è fatto niente.
Alcuni magistrati chiedono da più di 20 anni l'istituzione di una procura nazionale e distrettuale del lavoro, con un Pubblico Ministero specializzato, per svolgere indagini mirate e processi più celeri. Questo consentirebbe inoltre di superare la confusione e la disfunzione della macchina giudiziaria e amministrativa, con Asl che rispondono a più procure o viceversa più Asl che rispondono a una sola procura, mentre Inps e Inail sono organizzate sul territorio in maniera autonoma, senza alcuna connessione diretta. Tutto ciò crea disorientamenti e difficoltà organizzativa, oltre alla più completa anarchia sul piano interpretativo da organo a organo e da territorio a territorio.
Per quanto riguarda gli omicidi sul lavoro, attualmente vigono delle pene per omicidio colposo, ma non esiste uno specifico reato. Sindacati, partiti e associazioni, sulla falsariga della legge che ha istituito l'omicidio stradale, chiedono sia fatta la stessa cosa per le morti di operai e lavoratrici. L'attuale normativa permette ai padroni di passarla liscia. Un esempio su tutti quello dei responsabili della morte di Luana d’Orazio, l’operaia toscana ventiduenne morta in fabbrica il 3 maggio del 2021, dopo essere stata risucchiata e stritolata da un macchinario manomesso per velocizzare le operazioni di lavoro e fare quindi maggiori profitti. Per questo omicidio, i due titolari dell’azienda hanno patteggiato la pena e sono stati condannati rispettivamente a due anni e a un anno e sei mesi, con la sospensione condizionale. È stato un atto voluto, i titolari hanno modificato volutamente l’orditoio per ottenere ricavi maggiori dell’8% e per questo non sconteranno neanche un giorno in galera.
Naturalmente non è solo la legislazione carente la causa delle morti sul lavoro. La causa principale è il capitalismo stesso e i rapporti di lavoro che caratterizzano le aziende italiane. Secondo l'Istat in Italia ci sono tre milioni di lavoratori a nero, è evidente che se questi continuano ad esistere sfuggono ad ogni controllo. Poi c'è la controriforma Fornero, che ha costretto molti a lavorare fino a 70 anni in mestieri pericolosi. Non a caso sono molte le morti di operai di origine straniera e di quelli in età avanzata. La precarietà del rapporto di lavoro, specie in alcuni settori, che porta le lavoratrici e i lavoratori a non denunciare la mancanza di sicurezza.
Questi due provvedimenti, Procura speciale e reato di omicidio sul lavoro, non sarebbero certo risolutivi, ma costituirebbero un efficace deterrente per limitare questa strage di lavoratori. Ma il governo su questi temi è totalmente sordo e immobile. Il ministro “della giustizia” Nordio si è detto contrario all'istituzione della Procura Nazionale. Per quanto riguarda i 650 milioni di risorse, già di per sé misere, promesse in pompa magna dalla premier Meloni il primo maggio per contrastare le morti sul lavoro, poi confermate ai sindacati nell’incontro a Palazzo Chigi dell’8 maggio, ancora non si sono viste. Come non c’è nulla per vietare i subappalti a cascata e non ci sono nuove assunzioni di ispettori.
Del resto cosa ci si deve aspettare dal governo guidato dal duce in gonnella Meloni, che alla sua prima uscita da presidente del consiglio esordì, riferendosi agli industriali, dicendo che “ il nostro motto sarà non disturbare chi vuole fare”?.
 
24 settembre 2025