Un disastro annunciato
Milano sott’acqua, Lombardia in ginocchio
L’esondazione di Seveso e Lambro, i quartieri allagati e le frane in Brianza non sono frutto del caso, ma del fallimento delle giunte regionale Fontana e milanese Sala: vasche di laminazione incomplete, cementificazione selvaggia e complicità con i palazzinari hanno trasformato la pioggia in calamità sociale
Dal corrispondente del PMLI per la Lombardia
Lunedì 22 settembre una pioggia torrenziale, con picchi di oltre 200 millimetri in poche ore, ha trasformato la Lombardia in un reticolo di fiumi straripati, quartieri allagati e strade impraticabili. Il Seveso è esondato a Milano nel quartiere Niguarda, travolgendo cantine, box e sottopassi; il Lambro ha invaso parchi e vie periferiche; la Brianza ha contato frane e smottamenti. A Como la statale Regina è rimasta chiusa, bloccando intere comunità.
La cronaca è quella di un’emergenza meteorologica estrema, ma le cause profonde non stanno solo nel cielo: sono radicate nella terra, nei palazzi del potere borghese e nelle scelte politiche di chi governa regione e comune di Milano in particolare.
Le vasche di laminazione, “fiore all’occhiello” della giunta regionale del governatore fascioleghista Attilio Fontana, si sono riempite in poche ore e in parte hanno ceduto. La vasca di Bresso è tracimata, quella di Senago ha mostrato limiti di capacità, mentre altre - come Paderno Dugnano, Lentate e Varedo-Limbiate - restano ancora incompiute, intrappolate tra burocrazia, ritardi e mancanza di volontà politica.
La regione rivendica miliardi spesi per la difesa del suolo, ma i fatti raccontano altro: un sistema incompleto, fragile, incapace di proteggere davvero gli abitanti prevedibilmente esposti. Ogni alluvione diventa così un déjà-vu, con le stesse strade sommerse, le stesse famiglie sfollate, gli stessi proclami.
Se le vasche hanno fallito, il terreno su cui poggia Milano ha fatto il resto. Negli ultimi decenni la città è stata divorata dalla cementificazione, un processo che la giunta comunale del sindaco PD Giuseppe Sala ha continuato ad alimentare con grandi operazioni immobiliari, dall’area ex Expo a Porta Romana, dai nuovi grattacieli di CityLife alle colate di cemento della cintura metropolitana.
Ogni nuovo progetto edilizio, presentato come “riqualificazione” - col suo marcio retroscena emerso con l’inchiesta giudiziaria di Palazzopoli - ha ridotto spazi verdi, aree permeabili e zone di espansione naturale dei fiumi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il terreno non assorbe più la pioggia, i tombini saltano, i quartieri diventano piscine improvvisate. La speculazione edilizia ha reso la città fragile come mai prima d’ora.
Fontana e Sala, l’uno della destra e l’altro della “sinistra” del regime capitalista neofascista, si incontrano nello stesso punto: nella gestione fallimentare del territorio. Il governatore fascioleghista inaugura cantieri e promette collaudi mai arrivati, il sindaco PD concede deroghe e varianti urbanistiche ai grandi gruppi immobiliari. Entrambi preferiscono il profitto immediato o la propaganda elettorale alla costruzione di una difesa seria contro i cambiamenti climatici.
Non basta stanziare soldi o vantarsi di attrarre investitori se, al primo temporale, la popolazione resta intrappolata con le cantine allagate, gli automobilisti nei sottopassi e le famiglie senza corrente elettrica.
Quello del 22 settembre non è un evento “imprevedibile”: è il frutto di anni di ritardi, sottovalutazioni e complicità. Regione e Comune hanno avuto tempo e risorse per cambiare direzione. Non l’hanno fatto semplicemente perché non l’hanno voluto.
Dal Seveso al Lambro, da Milano alla Brianza, i fiumi esondano e i quartieri affogano. Non è fatalità ma il risultato della complicità tra il governatore fascioleghista Fontana e il sindaco “progressista” Sala, uniti nel saccheggio del territorio e nella svendita della città ai palazzinari. Il disastro del 22 settembre è l’ennesima prova del fallimento di un sistema capitalistico che mette i profitti davanti alla vita delle masse popolari.
1 ottobre 2025