Approvata definitivamente la legge sulla giustizia perseguita dalla P2 e da Berlusconi

Il 1° ottobre il Senato ha approvato definitivamente, convertendolo in legge con un solo maxi-articolo e per alzata di mano, il decreto legge n. 117/2025 recante “misure urgenti in materia di giustizia”. Si tratta di un dl varato in tutta fretta dal Consiglio dei ministri il 4 agosto scorso, allo scopo di raggiungere in corsa gli obiettivi stabiliti dal PNRR in materia di giustizia entro il 30 giugno 2026, pena la restituzione dei fondi stanziati dalla Ue per ammodernare il nostro sistema giudiziario: in particolare per ridurre del 40% i tempi abnormi di durata dei processi civili e per abbattere del 90% l'enorme arretrato nel settore civile, obiettivo raggiunto solo al 70%.
Quello della giustizia civile è un sistema non meno importante di quello della giustizia penale, perché va a influire sulla vita delle persone e delle famiglie e sulle attività economiche (si pensi alle cause di divorzio, al recupero di crediti, alle controversie condominiali, ai risarcimenti danni, ecc.). E, come è emerso anche nel dibattito in parlamento, questo sistema è attualmente gravato (settembre 2025) da circa 200 mila fascicoli da smaltire nei tribunali e altri 35 mila da smaltire nelle corti di appello, per rispettare gli impegni presi con l'Ue nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. In tutto il sistema giustizia mancherebbero almeno 1.800 magistrati togati, circa il 17% della pianta organica, e se si considera anche il personale amministrativo e tecnico, la carenza sfiora il 40%.
Mancano in particolare i magistrati di sorveglianza per le carceri, per aumentare e accelerare i pochi e lentissimi procedimenti di concessione di pene alternative e svuotare almeno parzialmente le carceri, oggi vere e proprie discariche sociali sovraffollate di detenuti che vivono in condizioni infernali e dove non si contano più i suicidi. In ambito civile, quello interessato dal suddetto decreto, i processi durano in media 1.900 giorni (quasi 5 anni e un mese), e l'obiettivo europeo è scendere sotto i 1.500 giorni entro il 2026. La riduzione rispetto al 2019 è stata fin qui del 20%, ma manca ancora un altro 20% per raggiungere l'obiettivo dei 1.500 giorni. Con le forze attuali, però, oltre il livello già raggiunto, e a prezzo di enormi sforzi organizzativi e produttivi dei magistrati, non si può andare. Anzi, le sopravvenienze crescono continuamente, soprattutto nel settore dell'immigrazione e della protezione internazionale, e i procedimenti civili sono aumentati del 12%, tanto che per centrare l'obiettivo occorrerebbe aumentare le definizioni annuali tra l'8 e l'11%. C'è poi il grave problema dei dodicimila lavoratori e lavoratrici precari assunti con i fondi del PNRR (addetti all'ufficio per il processo, funzionari, tecnici che hanno curato l'informatizzazione del sistema ecc.), che alla scadenza del 30 giugno 2026, andranno incontro alla disoccupazione, salvo solo 3.000 di loro che hanno una qualche speranza di stabilizzazione.

La logica truffaldina e piduista del dl Giustizia
Il guardasigilli Nordio e il governo neofascista Meloni hanno avuto tre anni e 3 miliardi del PNRR a disposizione per finanziare e attuare la riorganizzazione della giustizia penale e civile, adeguando le piante organiche dei magistrati e assumendo il personale necessario per l'ammodernamento e l'informatizzazione del sistema, così da esaurire l'arretrato e arrivare ad una ragionevole durata dei processi. Ma, come denuncia un documento dell'Associazione nazionale magistrati del 12 luglio, “invece di coordinare i suoi sforzi con i magistrati, che si sono impegnati senza risparmiare le risorse, il governo ha preferito dedicare le sue energie alla scrittura e all’approvazione di una riforma costituzionale (quella piduista della separazione delle carriere tra giudici e pm, ndr) che provocherà squilibri nell'assetto dei poteri dello Stato senza giovare minimamente alla efficienza della giustizia”.
Infatti, a meno di un anno dalla scadenza del PNRR, come hanno pensato Nordio e il governo neofascista di raggiungere gli obiettivi stabiliti per la giustizia? Non aumentando gli organici dei magistrati e stabilizzando tutti i 12 mila precari, ma senza stanziare nemmeno un euro (salvo quei pochi spiccioli indispensabili a incentivare i trasferimenti e pagare i cottimi, per la sperimentazione del braccialetto elettronico e per l'assunzione di un piccolo numero di magistrati di sorveglianza), bensì ricorrendo a tutta una serie di misure di “straordinarietà e urgenza”, in modo da concentrare le forze esistenti in quelle sedi e su quei procedimenti arretrati che più contano statisticamente ai fini del raggiungimento degli obiettivi europei; e questo a detrimento dei settori meno “in affanno”, o non influenti per i suddetti obiettivi. E nel contempo, come vedremo successivamente, ne hanno approfittato per imprimere anche alla giustizia civile una torsione costituzionale in sintonia con la controriforma piduista della separazione delle carriere.

Spostamenti di magistrati e processi a distanza
La legge approvata dal Senato si compone di 11 articoli, più due aggiunti durante la prima lettura il 22 settembre alla Camera. Gli articoli più importanti sono i primi cinque, che riguardano la redistribuzione dei magistrati e dei carichi di lavoro. L'articolo 1 stabilisce infatti la possibilità di spostare temporaneamente magistrati normalmente addetti all'Ufficio del massimario e del ruolo presso la Cassazione, nonché di spostare i giudici onorari di pace per supplire alla carenza di magistrati togati. Quest'ultima misura la dice lunga sull'intento “cosmetico” e cinicamente truffaldino di questa legge, perché i procedimenti dei giudici di pace non vengono conteggiati nelle statistiche ai fini del PNRR, mentre il loro diverso impiego peggiorerà sicuramente la giustizia di “prossimità”, quella che sbriga innumerevoli vertenze minori ma indispensabili alla cittadinanza, come ricorsi per multe, decreti ingiuntivi ecc., e che già ora, in molte città come Roma, Napoli, Milano, Torino, Palermo, Prato ecc., risulta pesantemente sotto organico e costretta a rimandare di mesi o anche anni le udienze.
L'articolo 2 mira ad incrementare la dotazione organica delle corti d’appello che entro il 30 giugno 2025 non abbiano raggiunto i target PNRR, favorendo il trasferimento incentivato dei magistrati ordinari, che il CSM è chiamato a facilitare, anche in deroga ai tempi minimi di permanenza. Ogni capo di ufficio deve predisporre un piano di smaltimento dei procedimenti civili maturi per decisione, così da garantirne l’utile definizione entro la scadenza del 30 giugno 2026. A questo scopo, però, il piano riguarderà solo le materie che rientrano nelle “macroaree” rilevanti per il PNRR, non ancora definite dal governo, creando una sorta di “corsia preferenziale” discrezionale per questi procedimenti rispetto a tutti gli altri.
L'articolo 3 prevede un piano straordinario di applicazione a distanza, su base volontaria, di magistrati ordinari per la definizione da remoto di procedimenti civili. In pratica potrà accadere che una sentenza verrà scritta da un giudice che non ha istruito né seguito il processo, contravvenendo al principio costituzionale del diritto all'immutabilità del giudice naturale.

Poteri straordinari ai capi degli uffici giudiziari
Con l'articolo 4 si conferiscono ai capi degli uffici poteri straordinari di riorganizzazione interna, anche riassegnando fascicoli per compensare ritardi e squilibri, al fine del raggiungimento della riduzione della durata dei processi imposta dal PNRR. Anche qui in deroga ai poteri spettanti al CSM, prorogando i termini per la sua approvazione delle tabelle organizzative, degli uffici giudicanti e dei progetti organizzativi delle procure per il quadriennio 2026/2029.
Inoltre, con l'articolo 5, si modifica il tirocinio dei magistrati neoassunti, facendoli entrare subito nelle corti d'appello per accelerare la loro operatività. Questa è una misura senza scadenza, quindi si suppone non temporanea ma definitiva. Il che ha sollevato forti critiche tra i magistrati e gli avvocati, perché il processo di appello dovrebbe dare ancora più garanzie di quello di prima istanza, e dovrebbe quindi assicurare maggiori e non minori certezze di professionalità ed esperienza dei magistrati, come accadrebbe con l'impiego fisso di tirocinanti.
Significativi, riguardo alla logica opportunistica e truffaldina del governo, sono anche gli articoli 6 e 9 della legge: il primo, per non dover distogliere risorse e personale ad altri impieghi che non siano quelli finalizzati ai risultati del PNRR, stabilisce il differimento di una serie di disposizioni in materia di giustizia e di professioni pedagogiche, come il tribunale per le persone, i minori e le famiglie, dell'operatività di alcune sezioni distaccate, della modifica di alcune circoscrizioni giudiziarie, ecc. Il secondo modifica la cosiddetta legge Pinto relativa all'indennizzo per superamento della “ragionevole durata del processo”, allo scopo di accelerare i pagamenti ed evitare la procedura di infrazione europea; ma lo fa introducendo maliziosamente dei termini di decadenza per le domande in cui potrebbero incappare i beneficiari non abbastanza informati.

Misure “urgenti” ma di ispirazione piduista
Come abbiamo già accennato la gravità di questo provvedimento va oltre le assurdità delle sue misure “straordinarie” evidenziate sopra, perché alcune di esse appaiono coerenti con la stessa logica della controriforma costituzionale della giustizia che il governo neofascista Meloni ha ereditato dalla P2 e da Berlusconi, alla cui approvazione definitiva manca solo un ultimo passaggio al Senato. Ciò è completamente sfuggito all'imbelle e arrendevole opposizione parlamentare, che ha parlato di “provvedimento raffazzonato” (PD), di “gioco delle tre carte” (M5S), e di “legge cerotto (AVS), ma non ha colto l'intento politico del governo di imprimere con questa legge un'ulteriore torsione neofascista al sistema giudiziario. E questo attraverso la riduzione delle prerogative del CSM, i poteri straordinari ai capi degli uffici giudiziari, più controllabili direttamente dal governo, la deroga al principio del diritto al giudice naturale, che può tornare utile per manipolare i processi contro politici e colletti bianchi, e tutto ciò contando sul fatto che il più delle volte in Italia le misure di “emergenza” finiscono per diventare strutturali.
Lo hanno colto meglio invece e messo in evidenza gli avvocati civilisti, con un comunicato dell'11 agosto del presidente della loro associazione (Uncc), Alberto Del Noce, che mette in guardia dall’ampio e ricorrente utilizzo del decreto-legge e dalle possibili ripercussioni su principi costituzionali fondamentali, come quello del giudice naturale e l’autonomia del Consiglio Superiore della Magistratura. “La rapidità nell’approvazione non può prescindere dalla qualità, dalle garanzie e dal rispetto dei diritti”, sottolinea Del Noce, evidenziando le “numerose criticità” della legge.
Tra queste, e in particolare tra quelle con “profili di possibile incostituzionalità”, il comunicato dell'Avvocatura evidenzia infatti “le deroghe ai requisiti di professionalità e anzianità per l’applicazione dei magistrati, l’attribuzione di poteri straordinari ai capi degli uffici giudiziari e le previsioni sulle udienze da remoto con una limitata possibilità di opposizione da parte delle parti coinvolte”. Al punto da esprimere la sua “forte preoccupazione” per un’organizzazione giudiziaria “sempre più orientata al raggiungimento di obiettivi meramente statistici e sempre meno alla realizzazione della giustizia sostanziale”, e dal ribadire la sua “ferma contrarietà a qualsiasi stabilizzazione di interventi eccezionali”.

15 ottobre 2025