Il piano del ministro Urso si è rivelato un fallimento
Sciopero in tutti gli stabilimenti ex-ilva
Cortei, presidi e assemblee
I lavoratori: “il futuro vogliamo sceglierlo noi”

Giovedì 16 ottobre i lavoratori che fanno capo ai nove stabilimenti ex-Ilva sparsi per l'Italia hanno incrociato le braccia. Da Taranto, lo stabilimento più grande, a Genova, a Novi Ligure e Racconigi, è salito forte l'urlo di rabbia dei lavoratori, stanchi di essere presi in giro.
Tutti gli ultimi governi e i ministri che si sono succeduti alla guida del Paese hanno spostato in avanti le problematiche legate al futuro delle acciaierie ex-Ilva, aggravandone sempre di più la situazione. Da Renzi a Gentiloni, al Conte I e II, da Draghi fino a Meloni, e i ministri dello sviluppo economico Calenda, Di Maio, Patuanelli, Giorgetti e Urso, i proclami sono stati tanti: ma rilancio, risanamento ambientale, occupazione sono rimaste parole vuote, tanto che al momento attuale è in funzione un solo forno, quello di Taranto, e lo stabilimento non è mai stato così vicino alla chiusura.
Migliaia di lavoratori in cassa integrazione da anni, mentre il ricatto tra lavoro e salute ha creato una frattura nella popolazione di Taranto (e anche di Genova-Cornigliano), tra sindacati, lavoratori (che spesso sono anche abitanti delle zone limitrofe agli stabilimenti), comitati di quartiere e cittadini che ne chiedono la chiusura.
L'ultimo accordo tra governo ed enti locali e il nuovo bando per trovare un nuovo acquirente era stato salutato con toni trionfalistici. Queste alcune dichiarazioni di esponenti della maggioranza: “passo decisivo verso l’installazione dei forni elettrici in sostituzione degli altoforni, misura che potrà attrarre investitori e garantire la tutela dei posti di lavoro” e “si chiude la fase della trattativa e si guarda al futuro con prospettive di sviluppo”. Non da meno era stato il Governatore PD della Puglia, Michele Emiliano: “oggi è un giorno che resterà nella storia della Puglia e dell’Italia intera... abbiamo scritto una pagina nuova, attesa da dieci anni, costruita con tenacia, sacrificio e visione" (addirittura!).
Il piano del ministro Urso si è dimostrato invece un vero e proprio fallimento. Il bando per l’acquisizione del gruppo si è chiuso il 15 settembre con dieci offerte, ma solo due, quelle di Flacks Group e del fondo statunitense Bedrock Industries, prevedono l’acquisizione dell’intero gruppo. La seconda, quella che probabilmente andrà in una fase avanzata di discussione, prevederebbe appena 2mila occupati a Taranto e poco più di mille negli altri stabilimenti, mentre attualmente il totale degli occupati è di 10.700, di cuoi 8.200 a Taranto.
Di fronte a questi ultimi sviluppi, e alle richieste di ulteriore estensione della cassa integrazione, lavoratori e sindacati hanno deciso di lanciare un nuovo e forte segnale al governo confermando lo sciopero del 16 ottobre nonostante la convocazione dei rappresentanti dei lavoratori a Palazzo Chigi per la data del 28 ottobre.
A Taranto, sfidando il maltempo, è partito un combattivo corteo di lavoratori che dalla fabbrica ha raggiunto il municipio, dove si è tenuto un sit-in ed è stato consegnato un documento con le loro richieste al sindaco Piero Bitetti. Al corteo, aperto dallo striscione “il futuro vogliamo sceglierlo noi”, si sono uniti anche tanti lavoratori e lavoratrici dell'indotto che sono più di 5mila e che da mesi affrontano drammatici problemi salariali per i mancati pagamenti di Acciaierie d'Italia alle ditte committenti.
Lo sciopero di 24 ore ha registrato l'adesione al 100% dei lavoratori dello stabilimento genovese di Cornigliano. Qui i lavoratori hanno bloccato per tutto il giorno la portineria e si sono riuniti in assemblea davanti ai cancelli con striscioni e bandiere. Sciopero, presidio e corteo per le strade di Novi Ligure. Lo stabilimento ex Ilva in provincia di Alessandria occupa 550 dipendenti, un numero che si assottiglia sempre di più perché molti lavoratori, logorati dall’incertezza e dalla cassa integrazione, hanno cercato un alternativa. Sciopero e presidio davanti i cancelli anche nell'altro stabilimento piemontese di Racconigi.
I sindacati Fim-Cgil, Ulim e Fim-Cisl, in un comunicato congiunto chiedono "Un progetto industriale che garantisca la realizzazione della decarbonizzazione della produzione, l'ambientalizzazione ed il ripristino di luoghi di lavoro sicuri e dignitosi. L'intervento pubblico che garantisca tutta l'occupazione; la contrarietà ad una cassa integrazione senza una chiara prospettiva; il mantenimento dell'integrità del gruppo, NO allo spezzattino societario; l'apertura di un confronto che affronti la complessità delle questioni sociali e che individui un quadro di strumenti che diano risposte ai lavoratori, per il pregresso e per il futuro".

22 ottobre 2025