Una grande e combattiva manifestazione a Udine per la Palestina libera e contro Israele genocida
In quindicimila da tutta Italia contro la “partita della vergogna”. Amnesty: “Uso abnorme ed indiscriminato di lacrimogeni e gas”
 
Martedì 14 ottobre lo stadio Friuli di Udine, è stato teatro di quella che è stata definita la “partita della vergogna”. Davanti ad appena novemila spettatori in un impianto da oltre ventiseimila e a interi settori completamente vuoti, Italia ed Israele si sono giocati la qualificazione ai mondiali di calcio del 2026.
La scelta da parte della FIGC di giocare la partita nel capoluogo friulano non è stata certo casuale, anche perchè si è ripetuta per il secondo anno consecutivo, e se da un lato la proprietà privata dello stadio dell'Udinese ha consentito di aggirare l'amministrazione comunale che si era dichiarata seppur timidamente contraria, dall'altro la posizione ai confini nazionali di Udine era anch'essa un potenziale freno all'organizzazione di grandi manifestazioni di piazza, già annunciate all'interno della mobilitazione contro il genocidio a Gaza.
Se un anno fa nella stessa manifestazione furono in tremila a sfilare, stavolta lo hanno fatto in quindicimila, provenienti da tutta Italia. D'altra parte un altro anno di bombardamenti e di genocidio ai danni di un popolo inerme sistematicamente sterminato, hanno avuto quell'effetto dirompente che è stato il motore delle immense piazze dell'ultimo mese, inclusa questa.
“È cambiato il sentimento comune – hanno affermato i promotori -. Questa manifestazione l'abbiamo costruita per settimane, con assemblee partecipatissime ad un livello non comune per Udine”, ed il risultato è stato ampio, combattivo e capace di coinvolgere uomi e donne, ragazzi e ragazze di ogni genere ed età, unite dall'antisionismo e dalla necessità di veder riconosciute le legittime aspirazioni del popolo palestinese.
La partita si è svolta in una Udine militarizzata, dove se per entrare allo stadio le auto sono state fatte transitare su una pedana che verificava l'eventuale presenza di esplosivo e con i metal detector ad ogni varco, in città Viminale e prefettura hanno disposto sorveglianza con droni, un elicottero a sorvolare il centro, e decine e decine di blindati e di agenti in assetto antisommossa. L’Hotel Friuli, dov'era alloggiata la squadra israeliana, era circondato da gabbie metalliche, con decine di cecchini appostati sul tetto.
Il corteo è stato aperto dalla comunità palestinese del Triveneto e dal Comitato Udine per la Palestina, in una miriade di bandiere palestinesi e da cartelli e striscioni come “Nessuna legittimazione all’occupazione israeliana”, oppure “Netanyahu assassino”, fino al “Free free free Marwan Barghouti” che chiedeva la scarcerazione del leader della resistenza palestinese, detenuto da oltre vent’anni nelle carceri israeliane.
“La partita di oggi contribuisce a normalizzare l’occupazione, allo stesso modo in cui lo fa il piano Trump”, gridano dal camion di testa, accompagnato dallo spezzone delle polisportive “popolari”, quelle cioè di proprietà dei propri atleti e dei tifosi che le sostengono, e dai tamburi del Collettivo di Fabbrica Ex-GKN di Campi Bisenzio (Firenze). Tra le oltre 380 adesioni al corteo, fra le associazioni palestinesi, quelle civili, i numerosi centri sociali, partiti politici antisionisti e sindacati di base, la maggior parte è giunta da società calcistiche di carattere popolare.
“Lo sport popolare crea comunità, noi siamo nati con il quartiere per impedire che un'area giochi o uno spazio verde diventasse un parcheggio. Oggi siamo qui perché non possiamo accettare che si giochi contro uno Stato che sta commettendo un genocidio”, hanno affermato alcune tra le tante associazioni sportive presenti. Alcune di esse hanno da tempo organizzato iniziative di protesta nei rispettivi campionati che proseguiranno oltre nei prossimi fine settimana quando i loro giocatori rimarranno fermi nei primi minuti di partita, indossando sulle divise simboli della Palestina ed un cartellino rosso rivolto a Israele.
“Show Israel the red card” (Mostra ad Israele il cartellino rosso), è infatti lo slogan nato in Scozia e che viene esibito attraverso cori, cartelli ed immensi striscioni in tutti gli stadi del mondo dai tifosi che si oppongono al genocidio, affinchè Israele sionista sia bandita da tutte le competizioni sportive internazionali. Lo slogan ha campeggiato anche in più di uno striscione ed in decine di volantini e vignette anche alla manifestazione di Udine.
Insomma, quello della città friulana è stato un corteo combattivo da cima a fondo, dal quale sono stati lanciati a gran voce numerosi slogan contro il piano “Trump”, contro gli insediamenti illegali in Cisgiordania, e per la Palestina libera “dal fiume al mare. Il corteo si è poi concluso in Piazza I Maggio, dov'è stato aperto un sudario lungo 25 metri e largo 7, sul quale erano scritti a mano i nomi dei diciottomila bambini e minori minori uccisi a Gaza fino a luglio.
Il Centro Studi “Ferruccio Cargnelutti” di Udine ha ricostruito ciò che si è verificato in piazza dopo le 21, ed in particolare i contatti fra le forze dell'ordine borghese di Piantedosi ed una parte dei manifestanti che, proseguendo il corteo, volevano dirigersi legittimamente verso lo stadio. Da alcuni video appare evidente di come sia stata la polizia a caricare a tenaglia coloro che si trovavano sotto il colle del castello e sui quali sono piovuti anche fuochi “d'artificio” provenienti dallo stesso schieramento di agenti in tenuta antisommossa.
Altri video mostrano che l'incalzare provocatorio della polizia si è protratto lungo via Piave, fino a piazza Repubblica, costringendo i manifestanti a realizzare improvvisate barricate con sbarre e cassonetti condominiali per difendersi.
Alla fine si contano 13 fermati, 2 arresti e numerosi fogli di via comminati arbitrariamente anche a chi si trovava ai margini dell'area interessata dai cosiddetti “scontri”, senza aver mosso un dito.
Il copione dunque è sempre lo stesso, quello che si rileva in questo tipo di manifestazioni dal carattere sostanzialmente antigovernativo, fatto di “zone rosse”, provocazioni, ed infine repressione di stampo squadrista che porge in omaggio al ministro Piantedosi ed al governo neofascista Meloni un certo numero di provvedimenti penali.
Dai manganelli meloniani, fra gli altri, sono rimasti feriti anche due giornalisti, uno dei quali in maniera grave al punto da essere accompagnato d'urgenza al pronto soccorso per un forte trauma cranico. Non a caso Amnesty International, attraverso i suoi attivisti presenti in piazza, ha denunciato “l'uso abnorme, massiccio ed indiscriminato di lacrimogeni e granate a gas” fatto dgli sgherri di Piantedosi e Meloni.
Fra i numerosi commenti dei partecipanti alla manifestazione, abbiamo raccolto quella di Luca, sindacalista della CGIL nel settore del credito, calciatore dilettante e convinto attivista della prima ora sulla questione palestinese.
“Ho promosso da tempo una petizione su change.org dal titolo “Nessuno allo stadio" – afferma Luca - poiché questa sera, partecipare come spettatori significherebbe, di fatto, legittimare e minimizzare questa tragedia umana. Il campo da gioco odora di sangue. È indegno "giocare" con Israele mentre davanti ai nostri occhi si sta realizzando la cancellazione di un intero popolo. Non possiamo fare sport condividendo il campo con la nazionale rappresentante di un governo responsabile di un massacro.”. Ed a proposito della repressione polizesca che ha contraddistinto ogni grande manifestazione per la Palestina libera e contro il genocidio, conclude: “Gli adulti non possono permettersi di aver paura quando i bambini muoiono.”.
La battaglia dunque continua, ed è fondamentale che il fronte pro-Palestina sappia mantenere viva e partecipata l'attenzione su Gaza e sulla questione palestinese, in particolar modo adesso che il piano neocolonialista ed imperialista su Gaza del dittatore fascista Trump è celebrato all'unisono da tutte le forze presenti nel parlamento borghese italiano come risolutivo per la pace in Palestina.

22 ottobre 2025