Un mostro giuridico iperliberista e neofascista che riporta indietro il diritto del lavoro di 50 anni L'articolo 8 della manovra del governo Berlusconi deve essere abolito Cancella il contratto nazionale e lo statuto dei lavoratori, permette le deroghe alle leggi, dà il via libera ai licenziamenti facili Marchionne ringrazia Sacconi Noti e autorevoli giuslavoristi democratici lo hanno definito un mostro giuridico con chiari segni anticostituzionali che mette in discussione "l'intero diritto del lavoro", "un vero tentativo di eversione dell'ordinamento". La CGIL e i "sindacati di base" promotori sia pure autonomamente del recente sciopero generale del 6 settembre scorso lo denunciano come il più grave e distruttivo attacco degli ultimi 50 anni ai diritti sindacali e contrattuali dei lavoratori con ricadute pesantissime, intollerabili sulle loro condizioni di lavoro e di vita. Stiamo parlando dell'ormai famigerato articolo 8 contenuto nella manovra economica e finanziaria di oltre 50 miliardi di euro del governo del neoduce Berlusconi approvata definitivamente alla Camera con l'ennesimo voto di fiducia il 14 settembre. Condividiamo ambedue i giudizi. In questo articolo 8, voluto fortemente dal ministro del welfare, l'ex craxiano e oggi berlusconiano di ferro Maurizio Sacconi, fatto proprio dall'intero esecutivo e appoggiato da Confindustria e dai sindacati collaborazionisti CISL e UIL permette in sede aziendale di derogare dal contratto nazionale e, salvo alcune eccezioni, dalle leggi. Ciò porta, di fatto, alla demolizione del contratto nazionale di lavoro, alla cancellazione dello Statuto dei lavoratori, allo svuotamento del diritto del lavoro così come si è venuto a determinare fino ai nostri giorni. Nel testo dell'articolo è scritto infatti che a livello aziendale è possibile sottoscrivere, magari da sindacati di comodo, contratti di lavoro che "operano in deroga alle disposizioni di legge" e "alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali". Più chiaro di così! Tra le materie che possono far parte delle intese sottoscritte con un contratto aziendale svetta per importanza quella relativa al recesso del rapporto del lavoro. Tradotto, i padroni avrebbero la facoltà di non applicare le norme dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori e quindi licenziare liberamente senza "giusta causa" con un semplice indennizzo di qualche mese di salario. Il fatto che ci sia qualche eccezione (il licenziamento discriminatorio, il licenziamento di lavoratrici in concomitanza del matrimonio e della gravidanza) non toglie nulla alla gravità iperliberista e neofascista del provvedimento. Dunque licenziamenti facili per i padroni ma non solo. Sulla base della formula sopra richiamata, innumerevoli risultano i campi in cui le deroghe possono intervenire. Per esempio le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate a progetto e le partite Iva. Il che significa che il sindacato potrebbe sottoscrivere dei contratti che prevedono l'impiego di lavoratori autonomi, quali sono formalmente i collaboratori e le partite Iva, come lavoratori dipendenti. Un atto questo considerato finora violazione di legge da sanzionare. Ma c'è di più, le deroghe permettono anche di cambiare il rapporto di lavoro da quello a tempo indeterminato a quello a tempo determinato, magari sotto il ricatto del licenziamento e della chiusura delle attività. Sono in gioco innanzi tutto, è bene ribadirlo lo Statuto dei lavoratori e il contratto nazionale di lavoro. Dell'art.18 si è accennato. Sotto scacco anche l'art.4 che vieta il controllo dei lavoratori con impianti audiovisivi nel corso delle loro attività lavorative e ogni altro movimento; l'articolo 8 della manovra permette di derogarvi. Saltano anche le norme contrattuali che regolano l'orario di lavoro. Sulla base di specifiche intese aziendali i lavoratori si vedranno costretti a lavorare una settimana 60 ore e l'altra 20 sulla base delle uniche esigenze dell'impresa. Le pause alla catena di montaggio possono fare la stessa fine: essere diminuite, oppure cancellate. Non c'è più certezza nemmeno sulla qualifica professionale a cui il lavoratore ha diritto. Le deroghe contemplate nell'articolo 8 danno la possibilità alle aziende di attribuire a un operaio specializzato la qualifica di generico, senza tante discussioni, prendere o lasciare. Inoltre, le aziende potranno assumere giovani con un salario più basso, potranno spedire in un'altra città lavoratori non più considerati utili o non particolarmente graditi. Insomma, un salto indietro di 50 anni, una tabula rasa di diritti e conquiste realizzate in anni e anni di lotte da più generazioni del movimento operaio. In un appello promosso da un gruppo di giuslavoristi per chiedere l'abolizione dell'articolo 8 si legge che: "non è in gioco questa o quella legge protettiva, ma lo sono tutte, ovvero l'intero diritto del lavoro, perché l'art.8 consente ai contratti aziendali (o territoriali) di derogare non solo ai contratti collettivi nazionali, ma - e questo è davvero enorme - anche ai dispositivi di legge. Si tratta di un vero tentativo eversivo - continua - dell'ordinamento. Ed in specifico del principio fondante di gerarchia delle fonti del diritto, che da sempre prevede la prevalenza della legge sul contratto individuale e collettivo, e, in materia di lavoro, che le leggi siano inderogabili, perché i lavoratori siano protetti ... contro la loro debolezza e ricattabilità". Il provvedimento è, anche tecnicamente insostenibile e per più versi anticostituzionale "e come tale sarà" fermamente "combattuto da tutti gli operatori giuridici democratici". Esso è stato scritto prendendo a modello gli accordi padronali imposti da Marchionne alla Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, sia nella filosofia che nei contenuti concreti. In aggiunta prevede anche un principio di retroattività che nelle intenzioni vorrebbe di mettere in sicurezza questi accordi dai ricorsi giudiziari promossi dalla FIOM-CGIL. Logico quindi che Sergio Marchionne con una dichiarazione al Salone dell'auto di Francoforte abbia voluto ringraziare ufficialmente il ministro (dei padroni) Sacconi. "Ora abbiamo la certezza - ha detto - di poter gestire, che era la cosa importante per noi. Quello che serviva ci è stato dato, non solo a noi ma a tutti gli industriali". Una faccia di bronzo senza pari quella del segretario della CISL, Raffaele Bonanni, quando afferma che che sull'articolo 8 si fanno troppi allarmismi e che il testo è stato migliorato con emendamenti richiesti dalla sua organizzazione. Secondo lui non c'è la libertà di licenziamento perché, sostiene mentendo, nessun sindacato firmerebbe intese che la prevedono. Salvo aggiungere che in casi di crisi si può fare. "La vicenda Pomigliano - ha detto - fa scuola". Per disinnescare la protesta operaia Bonanni ha proposto a CGIL di fare un patto peloso che escluda dalle intese aziendali previste nel decreto lavoro i licenziamenti. Che sarebbe di nessuna efficacia nella pratica di fronte alla richiesta padronale di ottenere quanto la legge gli concede. Per il momento la Camusso, segretario generale della CGIL continua a rivendicare la cancellazione di tale articolo. Ma lo fa con una posizione debole e contraddittoria dal momento che contestualmente riconferma la validità dell'accordo interconfederale del 28 giugno contenente anch'esso le deroghe al contratto nazionale di lavoro. Da segnalare l'iniziativa assunta dal segretario generale della FIOM, Maurizio Landini. Il quale con una lettera ufficiale indirizzata a Giorgio Napolitano ha chiesto al presidente della Repubblica di non firmare la legge in questione poiché le norme in essa contenute sono "un attentato alla Costituzione", oltre che "un regalo al Lingotto". Ma Napolitano che spesso si vanta di stare dalla parte dei lavoratori, ha fatto orecchie da mercante. Anzi si è mostrato infastidito da tale richiesta e, come di consueto, ha dato via libera alla manovra di Berlusconi, da lui stesso d'altronde più volte sollecitata. Dal punto di vista degli operaie dei lavoratori c'è una sola strada vincente da seguire: quella degli scioperi e della mobilitazione di piazza per cancellare il decreto lavoro, affossare la manovra e buttare giù il governo del neoduce Berlusconi, il governo del massacro sociale e della distruzione dei diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori. 21 settembre 2011 |