Assad schiera i carri armati per reprimere la rivolta del popolo siriano Non convincono le riforme annunciate e la cancellazione dello stato di emergenza in vigore da 48 anni I carri armati dell'esercito siriano sono entrati la mattina del 25 Aprile nella città meridionale di Daraa e a Duma, un sobborgo alla periferia della capitale Damasco, per reprimere la rivolta popolare iniziata oltre un mese fa per la libertà, con al centro la richiesta dell'abrogazione dello stato di emergenza in vigore da 48 anni. Testimoni hanno riferito che l'esercito ha sparato contro la popolazione provocando almeno una ventina di vittime che si aggiungono alle oltre cento causate dalle repressione delle manifestazioni del 22 aprile e alle altre decine nelle numerose manifestazioni che si sono svolte in varie città della Siria. Secondo le opposizioni, il numero delle vittime della rivolta popolare ammonterebbe a oltre 400, centinaia i feriti e gli arrestati. Sull'esempio delle rivolte tunisine e egiziane, pure salutate con favore dal presidente Bashar Al Assad in carica dal 2000 quando ha ereditato la presidenza succedendo a suo suo padre Hafez al-Assad, le proteste per le libertà politiche e la fine della corruzione erano iniziate a Daraa il 18 marzo, dove tra l'altro le forze di sicurezza avevano arrestato un quindicina di giovani accusati di aver scritto sui muri contro il regime del partito unico Baath. Manifestazioni si svolgevano nei giorni successivi in altre città da Latakia, il porto a nordovest di Damasco, nella capitale, a Homs. Bashar, che gode ancora di popolarità, prometteva l'abolizione dello stato di emergenza e il varo di riforme democratiche ma l'escalation repressiva dell'esercito e il crescente numero di vittime tra i dimostranti accendevano ancora di più la protesta. Il 28 marzo gli agenti sparavano sulle centinaia di dimostranti che convergevano verso la piazza principale intonando slogan come "Vogliamo dignità e libertà" e "No alle leggi speciali". Lo stesso a Latakia mentre altre proteste infiammavano le città di Sanmin, Daeel, Duma, Banias, Aleppo e Hama. Il parlamento di Damasco chiedeva a Assad di andare in aula a spiegare il suo programma di riforme democratiche, quelle promesse che avrebbero dovuto promuovere la "Primavera di Damasco" ma che non erano mai partite. Era invece rimasta pienamente applicata la legge sullo stato di emergenza, entrata in vigore con l'avvento del partito Baath nel 1963, che regola il funzionamento dei tribunali speciali, consente alle forze dell'ordine di fermare eventuali presunti dissidenti e di convalidare il loro fermo sulla base di accuse generiche come "attentato alla sicurezza dello Stato" che di fatto davano mano libera alla polizia. Il 29 marzo Bashar accettava le dimissioni del premier Naji al-Otari, in carica dal 2003, e formava un nuovo esecutivo. Una mossa che doveva servire a placare la protesta come quella del giorno successivo quando in parlamento giocava di nuovo la carta delle promesse: "ha ragione chi pretende il cambiamento subito, noi siamo in ritardo ma cominceremo da oggi. Ė dovere dei governi ascoltare le rivendicazioni del proprio popolo. Le riforme cominceranno da oggi". Ci vorrà ancora quasi un mese, e una nuova serie di manifestazioni per arrivare al 21 aprile, alla firma da parte di Assad di tre progetti legislativi varati dal governo e riguardanti l'abrogazione dello stato d'emergenza, lo scioglimento della Corte suprema per la sicurezza dello Stato (il tribunale speciale) e la concessione del diritto di manifestazione pacifica. Una decisione tardiva che non fermava le manifestazioni del 22 aprile quando decine di migliaia di dimostranti scendevano in piazza a Deraa, Qamishli e Amuda, due località a maggioranza curda al confine con Turchia e Iraq, a Latakia, Dayr az Zor, Hama, Aleppo, Homs e alla periferia di Damasco. L'esercito sparava sui manifestanti, preludio dell'intervento coi carri armati a Daraa e a Duma. La Siria non ha il petrolio della Libia ma è lo stesso nel mirino delle potenze imperialiste dato che occupa una posizione geografica tra Iraq, Turchia, Libano, Israele e Giordania che la rende strategica nelle vicende mediorientali. E in particolare nelle questioni palestinese e libanese per l'appoggio di Damasco a Hamas e a Hezbollah; da non dimenticare che la Siria è sempre ufficialmente in guerra con i sionisti di Tel Aviv che occupano il territorio siriano sulle alture del Golan. Secondo quanto rivelato da Wikileaks, le amministrazioni americane da Bush a Obama hanno lavorato per scardinare il potere degli Assad attraverso finanziamenti all'opposizione iniziati nel 2005 e continuati fino alla fine dello scorso anno. Sulla scia dell'intervento imperialista in Libia anche la Francia di Sarkozy vorrebbe mettere bocca nel futuro della ex colonia. A margine del vertice di Roma con Berlusconi del 26 aprile il presidente francese ha sottolineato che il precedente della risoluzione dell'Onu per l'intervento in Libia ha segnato una "svolta" nella politica estera francese anche se "questo non significa che si debba intervenire ovunque nel mondo" e ha assicurato che "non ci sarà intervento in Siria senza una risoluzione dell'Onu". Che il suo ministro degli Esteri ha già ventilato chiedendo a Onu e Unione europea l'adozione di "misure forti" per far cessare "l'uso della forza contro la popolazione". La questione del futuro della Siria, della fine o meno del regime del partito Baath, spetta al popolo siriano. Gli imperialisti devono stare alla larga. 28 aprile 2011 |