Per protesta contro il film blasfemo su Maometto Assalti e roghi contro le ambasciate dell'imperialismo americano Ucciso l'ambasciatore Usa a Bengasi. Obama invia subito navi da guerra, droni e marines in Libia. Morti e feriti nelle piazze del Medio Oriente e in Asia Attaccate anche le ambasciate di Gran Bretagna e Germania Le immagini di un film blasfemo su Maometto, prodotto negli Usa con la sponsorizzazione di gruppi reazionari cattolici e postate su Youtube, hanno innescato una serie di proteste a partire dai paesi islamici che si sono allargate in tante parti del mondo e in alcuni casi sono sfociate in assalti e roghi contro le ambasciate dell'imperialismo americano, dalla Libia allo Yemen, dalla Tunisia al Sudan dove sono state attaccate anche le ambasciate di Gran Bretagna e Germania. A Bengasi, in Libia, nell'assalto dell'11 settembre alla sede consolare è stato ucciso l'ambasciatore americano e altri 3 addetti dell'ambasciata; morti e feriti anche tra i dimostranti in molte piazze del Medio Oriente e in Asia. Una protesta, iniziata in Egitto e altri paesi arabi il 10 settembre e che è dilagata nei giorni successivi fino alle comunità islamiche nelle città europee e in Australia, che il film blasfemo ha scatenato ma che è alimentata quotidianamente dai soprusi e dalle ingerenze dell'imperialismo americano, non ultima la strage di donne afghane che ha infiammato la protesta in Afghanistan contro le truppe occupanti del contingente Isaf, di cui fa parte anche l'Italia. La risposta dell'imperialismo americano è stata l'invio di altre navi da guerra e marines nei paesi arabi a "protezione" degli americani, annunciava Obama, o meglio degli interessi imperialisti americani. L'episodio che ha maggiormente richiamato l'attenzione su una protesta contro gli Usa fino allora quasi ignorata è stato l'assalto al consolato degli Stati Uniti a Bengasi durante una manifestazione di protesta, nel quale sono morti i quattro cittadini americani. La data dell'assalto, l'11 settembre anniversario delle stragi terroristiche negli Usa, secondo la Casa Bianca suggellerebbe la firma dei responsabili, un gruppo islamico sunnita libico. Il gruppo ha smentito l'accusa. Obama ha preso le distanze dal film e difeso contemporaneamente la "libertà di espressione", ha comunque deciso di inviare subito navi da guerra, aerei senza pilota e marines in Libia. Già il 12 settembre, mentre a Tripoli e Bengasi sbarcavano 200 marines delle forze speciali per "proteggere" i cittadini e gli interessi degli Stati Uniti, i droni che l'Italia di Monti ospita nella base siciliana di Sigonella iniziavano a sorvolare i cieli libici per dare la caccia ai presunti colpevoli. Un lavoro di supplenza, non una aperta ingerenza negli affari della Libia, secondo il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, che affermava: "il governo libico è un governo molto nuovo e non è ancora in grado di garantire la sicurezza". Sottinteso, ci pensiamo noi. Altri 50 marines partivano per Sanaa, nello Yemen, quelli in partenza per il Sudan erano fermati dal no del governo di Khartoum. Fra le prese di posizione sul film blasfemo registriamo quella dell'Associazione islamica "Imam Mahdi" che in un comunicato denunciava che "i responsabili delle violenze causate dal recente film anti-islamico sono i suoi produttori, finanziatori e coloro che con la scusa della 'libertà di espressione' li difendono e spalleggiano" e invitava "a non cadere nel tranello degli Stati Uniti e del sionismo internazionale che mirano a creare divisioni e scontri tra musulmani e cristiani. Invitiamo piuttosto tutti i cristiani a unirsi a noi nella comune difesa dei principi religiosi e delle figure divine e profetiche oggetto di offese e scherno da parte della miscredenza e dell'arroganza mondiale". Dopo l'assalto di Bengasi e la reazione americana si amplificavano le proteste in Egitto, al Cairo dove il 13 settembre il corteo dei manifestanti diretto all'ambasciata americana era stato fermato dagli sbarramenti di filo spinato stesi dalla polizia che presidiava in forze le strade del quartiere. I manifestanti cercavano di forzare i blocchi e nel corso degli scontri si registravano 200 feriti e una quarantina di arrestati. Scontri con morti e feriti si registravano a Sanaa, nello Yemen, dove la polizia sparava sui dimostranti che riuscivano comunque a entrare nella sede diplomatica americana appiccando il fuoco e bruciando la bandiera americana. Altre manifestazioni si svolgevano a Tunisi, Casablanca, Dakha e Teheran. La protesta dilagava il 14 settembre quando tentativi di assalto alle sedi diplomatiche degli Stati Uniti erano registrati anche in Sudan, Tunisia, Marocco, Nigeria, India e Bangladesh. Manifestazioni intorno alle ambasciate americane si svolgevano di nuovo al Cairo e Tehran e a Tripoli in Libano, Amman, Jakarta, Kuala Lumpur, Gaza e Gerusalemme. A una delle manifestazioni al Cairo hanno partecipato anche rappresentanti della chiesa cristiano copta. A Tunisi i manifestanti riuscivano a entrare nel recinto della sede diplomatica americana, abbandonata dal personale, nonostante l'intervento della polizia che usava i lacrimogeni e anche le armi da fuoco uccidendo tre di loro. Scontri e manifestanti arrestati anche a Khartoum in Sudan dove i manifestanti hanno attaccato le ambasciate americana, tedesca e inglese prima di essere sgomberati dalla polizia. Corteo e proteste a Gaza e a Rafah dove migliaia di manifestanti sono sfilati per le strade impugnando le bandiere di Hamas e dei movimenti islamici della resistenza urlando "Morte all'America, morte a Israele". A Dacca in Bangladesh 10 mila manifestanti dopo aver bruciato bandiere americane e israeliane hanno tentato di raggiungere l'ambasciata statunitense e sono stati respinti dalla polizia. Il 15 settembre si svolgevano diverse manifestazioni delle comunità islamiche in Europa e in Australia contro l'imperialismo americano. Altre proteste in Pakistan, Turchia e alle Maldive. 19 settembre 2012 |