L'assalto di Mumbai non è la via giusta Almeno 140 morti e più di 350 feriti è il bilancio provvisorio dell'assalto a una decina di obiettivi nella città indiana di Mumbai (ex Bombay) scattato il 26 novembre. Gli assalitori hanno resistito alla reazione delle forze speciali e dell'esercito indiano per due giorni, asserragliati in due alberghi e in un centro residenziale e commerciale con numerosi ostaggi. Secondo la ricostruzione resa nota dal governo dello stato del Maharashtra, di cui Mumbai è la capitale, la maggior parte degli assalitori è arrivata dal mare e dividendosi in gruppi ha attaccato gli uffici di polizia di Colaba, il Leopold Café, la stazione Victoria e altri edifici prima di concentrarsi negli hotel di lusso Taj Mahal, che con i suoi 105 anni è uno dei simboli della città nel cuore della capitale finanziaria dell'India, e Oberoi e nell'edificio residenziale di Nariman Point che ospita anche un centro ebraico. L'attacco è stato rivendicato in un primo momento dai "Deccan Mujahideen", un'organizzazione finora sconosciuta, l'altopiano del Deccan occupa una vasta porzione dell'India meridionale, che poteva avallare la tesi di una vicenda legata a contraddizioni interne dell'India; in seguito alla cattura di uno degli assalitori il governo indiano ha accusato la "Lashkar-e-Taiba" (Let), organizzazione islamica attiva nella regione pachistana dell'Azad Kashmir che i servizi di Nuova Delhi considerano legata a Al Qaeda e ai servizi segreti di Islamabad. Un portavoce del Let ha negato qualsiasi coinvolgimento negli attacchi a Mumbai che ha condannato denunciando che "chi vuole collegare il nostro nome a questi eventi vuole speculare per screditare la lotta per la libertà in Kashmir". Una smentita che non era tenuta in considerazione dal ministro degli esteri indiano Pranab Mukherjee che rincarava la dose accusando "elementi in Pakistan" della responsabilità dell'attacco a Mumbai e quindi indirettamente del governo di Islamabad. Proprio ora che il nuovo presidente pachistano Asif Ali Zardari aveva annunciato che il Pakistan era pronto a recedere dal principio del "primo colpo", il diritto a colpire per primo il vicino nemico con l'arma atomica se la difesa della sovranità nazionale lo richiedesse, e proposto l'apertura di un dialogo per migliorare il commercio tra i due paesi. La posizione di Nuova Delhi è stata di fatto avallata dall'americano Obama che in sovrappiù ha dato una specie di via libera a eventuali ritorsioni militari da parte dell'India. In una conferenza stampa dell'1 dicembre Obama sosteneva che "le nazioni sovrane hanno il diritto di difendersi", e l'India ha il permesso americano di farlo a condizione che "le indagini sulla carneficina di Mumbai raggiungano conclusioni definitive e poi bisogna vedere se il Pakistan darà seguito al suo impegno di eliminare il terrorismo". Sembra di sentire Bush quando accusava l'Afghanistan prima dell'aggressione imperialista e della successiva occupazione che Obama vuol consolidare. Non è la prima volta che in India si registrano sanguinosi attacchi come quello dell'11 luglio del 2006 quando sette attentati coordinati nelle stazioni della metropolitana provocarono la morte di oltre 200 persone e il ferimento di più di 700. Anche allora l'India accusò il Pakistan di essere l'ispiratore della strage. In questo caso l'attacco ha avuto uno svolgimento e obiettivi diversi, non bombe a caso nella metropolitana ma in luoghi simbolo dell'India, in una Mumbai che è uno dei cuori economici dell'Asia e della stessa potenza imperialista indiana in ascesa, stretta alleata degli Usa in Asia. Certo è che obiettivi dichiarati degli attentatori, che si proponevano di compiere una carneficina con 5.000 morti, erano gli americani, gli inglesi e gli israeliani, cioè i paesi che più di tutti sono responsabili di guerre di aggressione e di occupazioni militari ai danni dei popoli arabi e palestinese. Quali ne siano i responsabili, se quelli indicati dai servizi indiani come sviluppo della contraddizione col vicino paese che dura dal 1947, dal momento della divisione del possedimento britannico secondo le decisioni dei colonialisti inglesi, o altri resta comunque una considerazione da fare. L'assalto a Mumbai non è la via giusta per combattere l'imperialismo e per la libertà dei popoli e l'indipendenza delle nazioni; l'imperialismo non può essere combattuto e abbattuto con questi metodi, né tantomeno con i miopi e folli attentati terroristici come quello dell'11 settembre 2001 negli Usa. Non esistono scorciatoie a prescindere dalla lotta di massa e dalle guerre di liberazione nazionale. 3 dicembre 2008 |