Relazione conclusiva del presidente della commissione parlamentare antimafia Assurda tesi di Pisanu: i vertici istituzionali estranei alla trattativa Stato-mafia Il boss pentito Brusca: "Della trattativa sapeva anche la sinistra, compresi i comunisti" La requisitoria del pm Di Matteo smentisce Pisanu Una trattativa vera e propria tra lo Stato e la mafia non ci fu; ci fu solo una "tacita e parziale intesa tra parti in conflitto". Anzi, "lo Stato, nei suoi organi decisionali, non ha interloquito, e ha risposto energicamente all'offensiva terroristico-criminale": questa la stupefacente e grottesca conclusione della relazione conclusiva sulle stragi politico-mafiose del 1992-93 che il presidente della Commissione parlamentare antimafia, il senatore Beppe Pisanu, ha consegnato alla stampa il 9 gennaio scorso. Una conclusione diametralmente opposta a quella sostenuta dai magistrati di Palermo, che proprio nelle stesse ore stavano svolgendo la requisitoria nell'aula bunker dell'Ucciardone in ordine al processo su quella sanguinosa stagione, e che contraddice in pieno anche la sentenza della Corte d'assise di Firenze del 5 ottobre 2011 che ha processualmente accertato l'esistenza di quella trattativa. Eppure per il senatore ex DC ed ex PDL, oggi approdato alla lista di Monti, la trattativa tra gli uomini delle istituzioni e gli uomini di Cosa nostra non c'è stata, o se c'è stato qualcosa del genere viene declassato a un'iniziativa autonoma dei carabinieri, senza mandato né copertura dello Stato: "La trattativa Mori-Ciancimino - si legge infatti nella relazione - partì come un'ardita operazione investigativa che, cammin facendo, uscì dal suo alveo naturale, forse per imprudenza dei carabinieri, e ancor di più per l'ambizione di Vito Ciancimino". È accertato invece che la trattativa fu avviata dai carabinieri del Ros su impulso politico, e che il generale Subranni fu sollecitato a contattare gli uomini di Riina su richiesta dell'allora ministro DC Calogero Mannino tramite il maresciallo Guazzelli, perché temeva per la sua vita dopo l'uccisione di Salvo Lima. La trattativa fu condotta dal generale Mori e da Vito Ciancimino, e dopo la strage di Capaci in cui morì il giudice Falcone ebbe come fine la cessazione della strategia stragista in cambio di concessioni da parte dello Stato. Concessioni che si concretizzarono nel novembre '93, "per dare un segnale", con la revoca del carcere duro stabilito dall'art. 41 bis per centinaia di detenuti mafiosi ad opera dell'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, oggi sotto processo a Palermo insieme a Mannino e all'ex ministro degli Interni dell'epoca, Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza. Anche Borsellino era venuto a conoscenza della trattativa in corso, e forse per questo fu ucciso, tanto che pochi giorni prima di morire nell'attentato di via D'Amelio aveva confidato alla moglie di aver capito che Subranni, che considerava un amico, lo stava invece tradendo. I tanti interrogativi ignorati dalla relazione Eppure la bozza di relazione dell'Antimafia stesa da Pisanu ignora tutto ciò e ammette solo che su Mannino rimane "il sospetto che, dopo l'uccisione di Salvo Lima, uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre Cosa nostra a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato". E che per quanto riguarda Mancino, sentito dalla Commissione, "è apparso a tratti esitante e perfino contraddittorio, ma una semplice richiesta di rinvio a giudizio non può dare corpo alle ombre". Mentre invece è noto che Mancino è accusato di essere stato al corrente della trattativa dall'ex guardasigilli Martelli, e che si è attivato col capo dello Stato Napolitano per far trasferire l'inchiesta di Palermo. Anche le rivelazioni di Massimo Ciancimino lo inchiodano, ma il figlio dell'ex sindaco di Palermo, secondo la relazione Pisanu, "è un noto mentitore abituale", e quindi inattendibile. E gli altri vertici istituzionali dell'epoca, il presidente della Repubblica Scalfaro e gli ex presidenti del Consiglio Amato e Ciampi? "Hanno sempre affermato di non aver mai sentito parlare di trattativa", dice la relazione, e pertanto "non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà alla Costituzione e allo Stato di diritto": e tanto deve bastare! Con buona pace delle ricostruzioni che hanno accertato l'intervento dell'allora capo della polizia Parisi e del vicedirettore dell'amministrazione penitenziaria Di Maggio, in stretto contatto con Scalfaro, per far revocare il 41 bis ai mafiosi. E la latitanza dorata e protetta di Bernardo Provenzano? E il covo di Riina "dimenticato" dalle perquisizioni dei carabinieri dopo il suo arresto? E la famosa agenda rossa di Borsellino "sparita" sotto il naso di decine di poliziotti, carabinieri e agenti dei servizi sul luogo dell'attentato? E il depistaggio sul finto esecutore della strage di via D'Amelio durato per anni con la complicità dei servizi segreti e di settori della magistratura? Tutte cose che la relazione dell'Antimafia non prende neanche in considerazione, salvo qualche vago accenno a possibili interventi "esterni", come "consulenze tecnologiche" riguardo all'esplosivo usato per la strage di Capaci, e alla fine se la cava concludendo che "non si può ipotizzare l'esistenza di mandanti esterni mentre sono verosimili input esterni. Dunque non si possono escludere temporanee convergenze di interessi tra settori deviati delle istituzioni, mafia ed altri soggetti". Smentite a Pisanu dal processo di Palermo Tutto questo proprio mentre il pubblico ministero di Palermo al processo dell'Ucciardone, Nino Di Matteo, stava tenendo la sua requisitoria in cui ribadiva in aula la certezza ricavata dalla lunga inchiesta sulle stragi del '92-'93, e cioè che "su input politico uomini delle istituzioni trattarono con la mafia e lo fecero in nome di un'inconfessabile ragion di Stato". La trattativa nacque, secondo il pm, per salvare la vita di alcuni parlamentari siciliani e rafforzò Cosa nostra, che dirottò poi le azioni violente sui "possibili ostacoli all'accordo", come il giudice Borsellino, trasformando nel '93 il ricatto allo Stato in un assalto terroristico con gli attentati a Roma, Firenze e Milano. Una strategia che si fermò solo alla fine del '93, quando secondo il "pentito" Spatuzza, reo confesso della strage di via D'Amelio, Cosa nostra aveva ormai individuato in Berlusconi e Dell'Utri i suoi nuovi referenti politici. Proprio dal processo dell'Ucciardone arrivava anche un'altra smentita alle conclusioni mistificatorie della relazione Pisanu, attraverso la deposizione del pentito Giovanni Brusca, autore della strage di Capaci, che non solo confermava l'esistenza della trattativa, ma ribadiva anzi che "la sinistra sapeva della trattativa", tanto che fu lo stesso Riina nel '94 a Reggio Calabria a lanciare "un messaggio" parlando dei "comunisti". Certamente il fatto che la rappresentante del PD nella Commissione Pisanu, Laura Garavini, abbia offerto la copertura del suo partito alle conclusioni di comodo della relazione, definendola "un primo passo importante", non contribuisce a smentire le gravi affermazioni di Brusca. E le dichiarazioni dell'eurodeputato PD, Pino Arlacchi, suonavano anzi come una vera e propria conferma, quando affermava con soddisfazione che la relazione dell'antimafia "sgonfia il pallone dell'inchiesta di Palermo". 3 aprile 2013 |