Alle elezioni amministrative parziali del 26 e 27 maggio delegittimati i partiti, le istituzioni e i governi del regime L'astensionismo vola: diserzione dalle urne al 37,6% L'affluenza cala al 62,5%, a Roma al 52,8%, a Pisa al 55,8%. Crolla il M5S. Perdono voti il PDL, PD e Lega Nord. Alcuni comuni non raggiungono nemmeno il quorum. Un segnale contro il governo Letta-Berlusconi Trasformare il dissenso e la rabbia in lotta contro il capitalismo, per il socialismo Il 26 e 27 maggio si è tenuta una tornata parziale di elezioni amministrative riguardanti 564 comuni (di cui 16 comuni capoluoghi di provincia) nelle regioni a statuto ordinario e nella regione Sardegna per un totale 6.895.701 elettori chiamati alle urne. Nella sola giornata di domenica si è votato anche nella regione autonoma del Trentino-Alto Adige, e precisamente nel comune di Pergine Valsugana (Trento) e si è rinnovato il consiglio regionale della regione autonoma della Valle d'Aosta. Un test, seppur parziale, particolarmente interessante. Il primo dopo le elezioni politiche del febbraio, atteso per verificare i notevoli scossoni elettorali che si erano verificati in quella tornata: crollo di PD e PDL, avanzata del Movimento 5 stelle. Si è trattato poi di un primo test elettorale per il governo Letta-Berlusconi e, infine, fra le città coinvolte ci sono la capitale Roma e Siena al centro dello scandalo che ha travolto il Monte dei Paschi e il PD. L'astensionismo Il primo e assoluto vincitore di queste elezioni è stata comunque la diserzione dalle urne che è letteralmente volata al 37,6% rispetto alle precedenti elezioni comunali. Soprattutto vola al centro-nord portando la diserzione ai livelli del Sud e anche oltre. Record alla Toscana col 39,8% e all'Emilia-Romagna col 38,2%. Al 38% c'è la Basilicata, ma la Lombardia e la Liguria superano il 37%. Fra i comuni capoluogo di provincia (Ancona, Avellino, Barletta, Brescia, Iglesias, Imperia, Isernia, Lodi, Massa, Pisa, Roma, Siena, Sondrio, Treviso, Vicenza, Viterbo), Roma col 47,2% di diserzione straccia tutti, ma va alla grande anche a Pisa, proprio la città del premier Letta, col 44,2%, ad Ancona (41,8%), Sondrio (40,4%), Vicenza (37%), tutti comuni in mano al "centro-sinistra". A Pisa e a Roma, rispettivamente col +24,2% e +20,9%, va anche il record del maggior incremento rispetto alle passate elezioni comunali che qui si sono tenute nel 2008. Il ministro degli interni, nonché segretario del PDL, Angelino Alfano, ha giustificato l'alto incremento di astensionismo con il fatto che nel 2008 le elezioni comunali si erano tenute concomitanti a quelle politiche. In parte può giustificare una minima differenza, ma certo non spiega l'entità dell'incremento. Tant'è vero che ad Ancona dove nelle passate elezioni comunali si era votato nel 2009 l'incremento è stato comunque del 15%, a Lodi dove si è votato nel 2010 la diserzione è cresciuta dell'11,5% e a Imperia (precedenti elezioni nel 2009) l'incremento è stato dell'11,2%. C'è inoltre da sottolineare che mai come in questa circostanza si sono moltiplicate le liste civiche per catturare il voto dell'elettorato meno informato. A Roma per esempio erano ben 41 le liste, 19 i candidati a sindaco e migliaia e migliaia i candidati a consigliere comunale. Alcuni comuni non hanno raggiunto nemmeno il quorum e la consultazione è stata dichiarata non valida. Infatti nelle elezioni comunali nei comuni fino a 15.000 abitanti, se è presente una sola lista, è necessario il raggiungimento di un duplice quorum: l'affluenza non deve risultare inferiore al 50 per cento degli aventi diritto (quorum strutturale) e la lista deve aver riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti (quorum funzionale). È così successo a Montefusco (Avellino) dove l'affluenza è stata del 32,4%, Futani (Salerno) dove è stata del 44,1% e Roccaforte del Greco (Reggio Calabria), comune sciolto per infiltrazioni mafiose, dove si è presentato alle urne solo l'11,6% degli aventi diritto. Anche alle regionali della Valle d'Aosta l'astensionismo totale (diserzione dalle urne, schede nulle e bianche), cresce dell'1,4% rispetto al 2008 e del 2% rispetto alle politiche 2013 conquistandosi la posizione di primo "partito" col 29,8%. Insomma, si tenta ancora di arrampicarsi sugli specchi per non riconoscere che l'astensionismo è ormai una scelta di voto vera e propria. Un voto che l'elettorato sceglie di usare consapevolmente a seconda del tipo di elezione, della posta in gioco, del momento politico e sociale. Un voto scarsamente influenzato dalla stagione, dal tempo, dagli eventi sportivi e quant'altro. È un voto che viene scelto dall'elettorato, più o meno consapevolmente, per delegittimare i partiti, le istituzioni e i governi del regime. Quanto meno per manifestare il proprio dissenso, la propria ripulsa, la propria protesta. L'altissimo astensionismo registra ancora una volta la grave crisi politica in cui versa la classe dominante borghese che accompagna e aggrava la grave crisi economica e finanziaria del sistema capitalistico italiano. Una classe dominante borghese frammentata, in grosse difficoltà a garantire stabilità politica e governativa a livello centrale e locale, a controllare attraverso i propri partiti un elettorato sempre più distante, fluido e ribelle. Puniti PD, PDL e Lega È un segnale chiaro e assai significativo anche contro il governo Letta-Berlusconi. Se si analizzano i risultati elettorali sulla base dei voti assoluti e delle percentuali sull'intero corpo elettorale, e non già dei soli voti considerati validi, i due maggiori partiti che lo sostengono, PD e PDL, escono dalla consultazione con le ossa rotte. Non è possibile produrre una tabella riassuntiva a livello nazionale. Si tratta infatti di comuni sopra e sotto i 15 mila abitanti che hanno un sistema elettorale diverso, dove sono presenti una miriade di liste civiche dietro cui a volte si celano i partiti principali, infine i risultati non sono nemmeno definitivi perché mancano all'appello tre sezioni (due delle quali a Pisa e Treviso). Se ci limitiamo comunque ai 16 comuni capoluogo che rappresentano la metà dell'elettorato coinvolto in questa consultazione, il PD quasi dimezza i suoi voti rispetto alle precedenti comunali passando da 680 mila voti a 387 mila voti. Idem rispetto alle politiche del febbraio scorso dove aveva ottenuto 634 mila voti. A Roma, il PD perde 253 mila voti rispetto al 2008 e 191 mila rispetto alle politiche di tre mesi fa. Anche aggiungendo impropriamente i 75.494 voti della lista del candidato sindaco della coalizione di "centro-sinistra", Marino, mancano all'appello ancora 178 mila voti, ossia il 34% degli elettori che aveva votato PD nel 2008. Il "centro-sinistra" può aggiudicarsi tutti i 16 comuni capoluoghi di provincia. Prima della consultazione 10 erano del "centro-sinistra" e 6 erano del "centro-destra". Adesso 5 sono già del "centro-sinistra" e negli altri 11, dove si andrà al ballottaggio, è in vantaggio. Ma questo che viene sbandierato come un successo è in realtà il segno della debolezza del "centro-destra", non della forza elettorale del "centro-sinistra". A Siena il PD va al ballottaggio con il candidato Bruno Valentini, renziano, funzionario MPS e già dirigente PCI, poi DS e quindi PD. Non accadeva da ben 20 anni, da quando nel 1993 la DC portò al ballottaggio il PDS. Solo due anni fa il diessino Franco Ceccuzzi, dimessosi a seguito dello scandalo politico-bancario del MPS, vinse al primo turno staccando il candidato PDL di 37 punti percentuali sui voti validi. Negli stessi comuni capoluogo il PDL ha raccattato appena 249 mila voti dei 707 mila che aveva in precedenza perdendone circa 458 mila, quasi i due terzi. Rispetto alle politiche, dove il calo verticale vi era già stato, la perdita è di 164 mila voti. A Roma il calo più vistoso: da 560 mila voti nel 2008 passa a 196 mila. Con PD e PDL ridotti in questo modo non si sa proprio come Letta possa affermare che "La gente ha capito, vince la scelta delle larghe intese". Anche la Lega Nord va male un po' ovunque. Bruciante è la sconfitta a Brescia, dove passa da 16 mila voti a 6 mila e 700, e soprattutto a Treviso, suo feudo storico, dove si presentava col suo uomo forte e più rappresentativo, Giancarlo Gentilini. Invece a Treviso la Lega raccatta appena 3 mila voti dei 7 mila che aveva nel 2008 e il suo candidato si ferma al 34% dei voti validi e andrà al ballottaggio staccato di ben 10 punti dal candidato di "centro-sinistra". Crollo di M5S Le sconfitte di PD, PDL e Lega sono state un po' oscurate dal clamoroso crollo del Movimento 5 Stelle rispetto alle politiche di febbraio. Il M5S non conquista nessun comune e va al ballottaggio solo nella piccola cittadina di Pomezia (Roma). La percentuale più alta è quella di Ancona (15% sui voti validi), dieci punti in meno rispetto alle politiche di 3 mesi fa. In 14 comuni capoluogo di provincia dove si è presentato (a Iglesias si è spaccato in due, a Isernia non ce l'ha fatta a formare una lista per assenza di candidati sufficienti), il M5S ha preso in totale 165.683 voti. Alle politiche 2013, negli stessi comuni, aveva preso 586.311 voti. Ne ha dunque persi ben 420.628, quasi i due terzi. Emblematico il caso di Roma dove da 436.340 voti è sceso a 130.635. Anche a Siena, dove sembrava voler far sfracelli camminando sul cadavere del PD travolto dallo scandalo MPS e Grillo si è speso in prima persona per farla diventare una propria roccaforte, è invece passato da 7.047 voti presi alle politiche ai 2.194 attuali. Eppure a Siena il PD ha perso quasi la metà del suo elettorato. Insomma, appare chiaro che il M5S non può contare su un voto di appartenenza vera e propria. Si è avvantaggiato del voto di protesta e di dissenso verso i partiti borghesi tradizionali sia di "centro-destra" che di "centro-sinistra" e ha recuperato anche una parte di astensionisti. In questo senso il M5S, come hanno più volte affermato gli stessi leader del Movimento, è stato un vero e proprio puntello delle istituzioni e del capitalismo impedendo a molti elettori di riversarsi in massa nell'astensionismo e anche di esprimere nelle piazze il proprio dissenso e la propria rabbia. Molti di quegli elettori che erano transitati nel M5S ora sono tornati all'astensionismo e in parte in liste minori. È comunque falso, come abbiamo visto, che siano tornati a sostenere PD e PDL. Vergognosa è stata la reazione del leader del Movimento, Beppe Grillo, che con arroganza e disprezzo, mascherata da falsa ironia, per giustificare la sconfitta ha attaccato duramente sul suo blog l'elettorato che non ha votato M5S e in particolare i lavoratori del pubblico impiego e i pensionati, assimilati a "chi vive di politica", perché avendo il reddito assicurato farebbero parte di un'Italia A, così definita da Grillo, che avrebbe votato PD e PDL perché "interessata allo status quo". "Vi capisco avete fatto bene. Si vota per se stessi e poi per il Paese", è la conclusione del milionario qualunquista. Il vero cambiamento La verità è che una consistente fetta di elettorato, specie di sinistra, ingannato dal M5S, ben presto si è reso conto che nemmeno questo rappresenta il nuovo e non può assicurare il vero cambiamento. Si tratta di capire ora che dissenso e rabbia devono essere trasformati in lotta cosciente contro il capitalismo e per il socialismo. Come si legge a conclusione del documento dell'Ufficio politico del Partito sul governo Letta-Berlusconi: "Imbroglioni politici si susseguono in continuazione, e non si può fare nulla per impedirlo. Una cosa però si può fare, ed è quello di non farsi imbrogliare. La via è una sola: acquisire al più presto la cultura del proletariato e della rivoluzione sociale e politica, ossia il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, e capire che è possibile rovesciare cielo e terra se uniti, a milioni, sotto le bandiere rosse dei Maestri e del PMLI si dà battaglia al capitalismo e al suo governo qualsiasi sia la sua etichetta, si lotta quotidianamente per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle masse e si preparano le condizioni soggettive della rivoluzione socialista. Un nuovo mondo ci attende, lottiamo per conquistarlo!" 29 maggio 2013 |